Giancarlo Cerrelli, Cristianità n. 378 (2015)
Nella scarsa consapevolezza di molti la società occidentale è sempre più soggiogata da una dittatura — che Papa Benedetto XVI (2005-2013) non ha esitato a definire «dittatura del relativismo» (1) —, i cui effetti si avvertono fin sui banchi di scuola. Con il pretesto di essere educati al rispetto delle idee altrui si viene indotti a coltivare il dubbio e nel contempo si è addestrati a sviluppare uno spirito critico che è, però, riluttante verso la verità oggettiva. Si viene, così, persuasi a credere alla inesistenza di una verità sull’uomo e di un bene oggettivo. Tale dittatura, così corrosiva verso il vero, diventa più stringente e aggressiva contro chi ha la pretesa di sostenere tesi che hanno un qualche riferimento a Dio.
Il relativismo è, dunque, lo sfondo culturale del nostro tempo ed è facile rilevare che il «politeismo etico» (2) oggi dominante non è altro che una delle manifestazioni più espressive del nichilismo. Con l’avvento della modernità, infatti, si è affermata una libertà intesa come auto-determinazione della volontà, concepita come dominium. La cifra essenziale della modernità, invero, sta nel tentativo di realizzare un nuovo stato di cose che, mettendo da parte l’ordine naturale, pretende di fondarsi sull’individualismo (3).
L’uomo contemporaneo — avendo perso come riferimento il Creatore — non riconosce più, dunque, un ordine naturale e considera come bussola dell’esistenza i propri desideri. Egli si è definitivamente emancipato dalla propria natura e non si sente più creatura. Dopo aver messo in discussione le categorie di natura, di normalità e di ordine, ora per mezzo della tecnica tenta di sostituirsi a Dio per divenire artefice di una nuova creazione e, in una prospettiva gnostica, ha la pretesa di creare un «mondo nuovo» (4).
Se fino a qualche tempo fa l’origine dell’uomo era espressa con i concetti di «generazione» e di «concezione», ora la trasmissione della vita umana è descritta con la parola «riproduzione». Anche la sessualità viene depotenziata della sua funzione originaria, non avendo più nulla a che fare con la propagazione della specie umana, ed è soltanto un elemento di narcosi in un mondo sempre più individualista. Mentre con l’uso della pillola anticoncezionale è stato tecnicamente separato l’atto sessuale dalla riproduzione, con la fecondazione artificiale la riproduzione è stata disgiunta dalla sessualità. In questo modo viene incoraggiata da qualche tempo una pianificazione della riproduzione umana, organizzata e diretta scientificamente. In sostanza, «la PMA, la Procreazione Medicalmente Assistita, trasferisce l’atto della generazione fuori dall’ambito dell’agire umano, per porlo nell’ambito del fare: da atto umano la generazione diventa così un atto tecnico»(5).
Allo scopo di regolamentare in Italia tale materia, il Parlamento ha approvato nel 2004 la legge n. 40 sulla PMA. Nonostante la stessa non fosse del tutto aderente all’insegnamento della Chiesa in tema di fede e di morale, dal momento che le tecniche di procreazione artificiale sono contrarie al principio della intrinseca inseparabilità della dimensione unitiva e procreativa nella generazione umana (6), la Conferenza Episcopale Italiana, nel giugno del 2005, in occasione dello svolgimento dei referendum tendenti ad abrogare alcune parti della normativa, ha favorito la difesa della legge, ritenendo a ragione che essa non solo poneva un argine agli abusi ma conteneva anche alcuni elementi fattuali e di principio degni di tutela. La strategia usata dalla Chiesa italiana si è inserita in quel proposito, previsto dal Magistero, di«[…] offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica» (7).
Dopo la sconfitta i promotori dei referendum hanno iniziato a percorrere la strada giudiziaria, propiziando la presentazione di ricorsi presso tribunali civili e amministrativi contro parti della legge. Sia gli organi giurisdizionali italiani sia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sono intervenuti più volte, dando inizio a uno smantellamento scientifico e progressivo della normativa, anche travalicando la funzione politica del Parlamento (8).
In particolare, la Corte Costituzionale con sentenza n. 151 del 2009 ha abrogato il limite della produzione di tre embrioni da trasferire con un unico impianto, salvando, però, il divieto di distruzione degli embrioni soprannumerari (9); con sentenza n. 162 del 2014 ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa, legittimando di fatto ogni pratica di riproduzione umana (10); con sentenza n. 96 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, nella parte in cui non consentivano il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, aprendo di fatto alla possibilità dello scivolamento verso una deriva eugenetica della giurisprudenza costituzionale (11); e con sentenza n. 229 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata a evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili (12).
Vale la pena innanzitutto ricordare che la Consulta, con la citata sentenza n. 96, era stata sollecitata dal Tribunale di Roma a prendere posizione sul «diritto della coppia ad avere un figlio “sano”», nella prospettiva del «diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative», anche sulla base dell’argomentazione secondo cui non ha senso impedire l’accesso alla PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche se poi le stesse hanno diritto di ricorrere «alla scelta tragica dell’aborto terapeutico del feto».
Fra le suddette pronunce giudiziarie la più devastante, però, è la n. 162 del 2014, che conferma di fatto la falsa pretesa secondo la quale tutti i desideri devono diventare diritti. Il diritto, infatti, finisce per sottostare al dominio della tecnoscienza e viene aperta la strada al vergognoso mercato dei gameti: nessuno potrà garantire che — come già attualmente accade all’estero — sia attuato lo sfruttamento di chi si trova in difficoltà economiche.
Se è legittimo il desiderio di avere un figlio e si comprendono le sofferenze dei coniugi afflitti da problemi d’infertilità, tuttavia tale desiderio non può giustificare la «produzione» di un figlio, né, tantomeno, assecondare il desiderio delle coppie di non volere un bambino già concepito. Il principio di fondo è insito nella salvaguardia dell’unità fra procreazione e atto coniugale, ai fini di assicurare il diritto esclusivo dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l’uno mediante l’altro. La procreazione umana è un atto personale della coppia uomo-donna non suscettibile di alcun tipo di delega sostitutiva e perciò è da considerare eticamente inaccettabile la dissociazione della procreazione dal contesto integralmente personale dell’atto coniugale.
Alla luce di tale considerazione il Magistero della Chiesa considera moralmente illecite tutte le tecniche di fecondazione artificiale eterologa e le tecniche di fecondazione artificiale omologa poiché sostitutive dell’atto coniugale. Il Magistero è intervenuto, in particolare, con la citata istruzione Donum vitae e poi con la Dignitas personae(13). In particolare, si legge nella Donum vitae che è moralmente illecita la fecondazione di una donna con un donatore diverso dal marito e la fecondazione da parte maschile di un ovulo non proveniente dalla propria sposa. Nella Dignitas personae la seconda parte è dedicata ai nuovi problemi riguardanti la procreazione. Precisa l’articolo 12 che, per quanto riguarda la cura dell’infertilità, le nuove tecniche mediche devono rispettare tre beni fondamentali: il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale; l’unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l’uno con l’altro; i valori specificamente umani della sessualità, che esigono che la procreazione di una persona debba essere perseguita come frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore fra gli sposi. Le tecniche che si presentano come un aiuto alla procreazione non sono da rifiutare in quanto artificiali. Come tali, esse testimoniano le possibilità dell’arte medica, ma devono essere valutate sotto il profilo morale in riferimento alla dignità della persona umana, chiamata a realizzare la vocazione divina al dono dell’amore e della vita. Escluse le tecniche di fecondazione artificiale eterologa e omologa, sono invece ammissibili quelle che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua fecondità. Ne segue che il dovere di fedeltà non implica solo la necessità di astenersi da atti sessuali adulterini, bensì anche quella di non tradire il rapporto spirituale che si genera fra coniugi e li fa unitariamente collaboranti alla provvidenza creatrice della Divinità.
Alcune potenti forze politiche, culturali e finanziarie fanno parte di quella galassia libertaria nella quale si trovano insieme i nemici della legge e quanti mirano, in modo militante, a depotenziare la famiglia eterosessuale, fondata sul matrimonio, chiedendo l’equiparazione a questa delle unioni di persone conviventi e di quelle di persone dello stesso sesso. Questo fronte libertario trova come compagni di strada anche taluni giudici, che attuano un’interpretazione evolutiva e creativa del diritto e pongono sé stessi come motore del cambiamento sociale, pretendendo di vedere nella legge ciò che non vi è, ma che essi vorrebbero tanto che vi fosse. Il giudice, però, non deve modellare la società futura, ma tutelare quella esistente.
Non sfugge, a tal proposito, che è in corso un pressing da parte delle istituzioni comunitarie e dei giudici della CEDU per imporre colore e tonalità alle legislazioni degli Stati nazionali in tema di matrimonio e di famiglia e, per l’intima connessione, anche in tema di filiazione, di fecondazione e di educazione. Quale opposizione è allora possibile nei confronti di tali forze che mirano a riscrivere le basi antropologiche della società? Che cosa è possibile fare nei confronti di un’interpretazione della Costituzione non rispettosa della vita e della famiglia?
Appare evidente che la società contemporanea soffre di una grave crisi spirituale, culturale e, dunque, antropologica. La dittatura del relativismo ha favorito un oscuramento del vero, del bello e del buono oggettivi, a favore di un’esaltazione delle emozioni e dei desideri soggettivi.
Tuttavia, una società che permette per legge la fecondazione in vitro — potremmo dire: ancora di più l’aborto — mette in pericolo i diritti fondamentali dei suoi appartenenti. Questi diritti sono, infatti, esigenze inalienabili che non dipendono dal riconoscimento altrui e per questo, nella maggior parte dei casi, vengono garantiti costituzionalmente. Far dipendere la dignità della vita umana dal suo essere desiderata e il suo valore dal suo essere riconosciuto significa svuotare i nostri fondamentali, che corrono il rischio di non essere più incondizionati, ma di aver bisogno del riconoscimento e dell’approvazione altrui.
Una seria ed efficace opposizione, allora, dovrà essere orientata ad aiutare il nostro prossimo a riscoprire il bene oggettivo. È doveroso diventare missionari del buon senso in un mondo che ha perso contatto con la realtà e con l’ovvio. Pur non trascurando una strategia giudiziaria volta a restaurare un diritto rispettoso dell’umano, anche per mezzo, cum grano salis, della proposizione di «cause pilota» che propizino un’inversione di rotta della giurisprudenza, appare, però, necessaria e indifferibile un’azione culturale e spirituale volta a far scorgere al corpo sociale, in modo diffuso, il vero e il giusto oggettivo. Un diritto separato da questi canoni e dalla giustizia può facilmente diventare una minaccia per i più piccoli e per i più indifesi.
È da costatare, peraltro, che l’odierno uso tecnocratico del diritto come strumento per cambiare la realtà e il corso della natura diventa il mezzo per propiziare una società artificiale. Un diritto, però, che tradisce la realtà non è diritto. È da auspicare, pertanto, anche per gli operatori del diritto, un «ritorno al reale» (14).
Sarà utile a tal proposito favorire per essi una formazione che non sia soltanto tecnica, ma anche aperta alla scoperta del bene umano oggettivo. Se da un lato, infatti, è da registrare la presenza nell’ordine giudiziario di una componente ideologica che tecnocraticamente vuole costruire un «mondo nuovo» non basato sulla legge naturale, è altresì facile trovare fra gli operatori del diritto persone che risentono della confusione valoriale della società. Di questi è necessario prendersi cura per propiziare l’esercizio di un diritto che sia rispettoso dell’umano. Per non tradire il diritto, infatti, è necessario far riferimento all’essenza della giustizia, condensata nel brocardo «dare a ciascuno il suo». È solo su queste basi che sarà possibile contribuire alla costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio (15).
Note:
(1) Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata Mondiale della Pace, dell’8-12-2012, n. 2.
(2) Francesco D’Agostino, Diritto e Giustizia. Per una introduzione allo studio del diritto, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2000, p. 121.
(3) Cfr. il mio Famiglia e Diritto, in Giorgia Brambilla (a cura di), Temi scelti di bioetica. Sessualità, gender ed educazione, ESI. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2015, pp. 287-307.
(4) Cfr. Aldous Huxley (1894-1963), Ritorno al mondo nuovo, trad. it., Mondadori, Milano 1961.
(5) Chiara Mantovani, La Procreazione Medicalmente Assistita: alcune considerazioni dopo l’approvazione della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, in Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 5-12 e p. 30 (p. 6).
(6) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione «Donum vitae» sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, del 22-2-1987.
(7) San Giovanni Paolo II (1978-2005), Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana «Evangelium vitae», del 25-3-1995, n. 73; cfr. anche Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24-11-2002, n. 4.
(8) Cfr. il mio Nuovi tentativi di modificare la legge sulla fecondazione artificiale e di aggirare la volontà popolare, in Cristianità, anno XL, n. 365, luglio-settembre 2012, pp. 53-61.
(9) Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 151 dell’8-5-2009, all’indirizzo Internet: <http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2009&numero=151> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 30-11-2015).
(10) Cfr. Eadem, Sentenza n. 162 del 9-4-2014, all’indirizzo Internet: <http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162>; sulla quale cfr. Alfredo Mantovano,Eterologa, dove arriva la legge, in La nuova Bussola Quotidiana, quotidiano online, del 21-7-2014.
(11) Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 96 del 5-6-2015, all’indirizzo Internet: <http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=96>; sulla quale cfr. A. Mantovano, Così la Corte costituzionale tratta un figlio come oggetto, ibid., 12-6-2015.
(12) Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 229 dell’11-11-2015, all’indirizzo Internet: <http://www.giurcost.org/decisioni/2015/0229s-15.html>.
(13) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione «Dignitas personae» su alcune questioni di bioetica, dell’8-9-2008.
(14) Cfr. Gustave Thibon (1903-2001), Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, sociale, trad. it., conPrefazione di Gabriel Marcel (1889-1973), a cura e con Considerazioni introduttive di Marco Respinti, Effedieffe, Milano 1998.
(15) Cfr. San Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana sul tema «Dalla “Rerum novarum” ad oggi: la presenza dei cristiani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa», del 31-10-1981, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. IV, 2, 1981. (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, pp. 519-523 (p. 523).