Da “La nuova bussola quotidiana” del 28 novembre 2016. Foto da “Il Giornale”
Una ricaduta sicura della riforma costituzionale, direttamente collegabile all’accentramento del potere nelle mani dell’esecutivo, è l’ulteriore assottigliamento della sovranità italiana rispetto alle normative europee. Come è noto, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo dei ministri legifera su parecchie materie: economia, moneta e mercati, politica estera, sicurezza e difesa, salute, diritti umani… Temi che toccano da vicino valori e principi di cui ciascun popolo è portatore per tradizioni culturali e religiose.
Larga parte delle norme varate dalle istituzioni europee hanno efficacia nel nostro ordinamento solo a seguito di un procedimento di recepimento, con legge ad hoc, da parte del Parlamento: Esso è tenuto ad uniformarvisi a pena di sanzioni nei confronti dello Stato per omissione o ritardi. La sovranità nazionale dell’Italia è stata fortemente limitata in favore di istituzioni lontane dal territorio, nei cui confronti i nostri cittadini non hanno la possibilità di esercitare alcuna forma di interlocuzione e/o di controllo. L’Unione Europea non è una federazione di Stati, bensì un unico grande Stato centralizzato, egemonizzato da paesi e forze politiche con interessi talvolta in aperto conflitto con quelli nazionali: l’esatto opposto del principio di sussidiarietà.
Un rimedio a presidio di quello che resta è la categoria dell’ordine pubblico interno, definito come il “complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni” (art. 159 del D. Lgs. n. 112/1998). Nel ventaglio degli interessi primari vi sono, tra gli altri, il diritto di famiglia, la sicurezza interna, la difesa del territorio nazionale… Poiché anche nel diritto comunitario vi sono riferimenti ad un “ordine pubblico” si pongono problemi di interazione e di rapporti tra o.p. “interno” e o.p. “comunitario”. Al riguardo, l’art. 16 comma 1 della legge n. 218/1995 (Riforma del sistema di diritto internazionale privato), dispone che “la legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico”.
L’art. 17 fa salva la prevalenza «delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera». Alcuni regolamenti comunitari prevedono, su talune materie, limiti di applicazione per ragioni di “ordine pubblico interno” del diritto straniero pur derivante da convenzioni internazionali e, pertanto, la prevalenza delle norme del singolo Stato per il caso di conflitto. Delicato compito del giudice italiano è spesso interpretare e delimitare i confini oltre i quali il diritto europeo non può dilatarsi nonostante il ruolo di fonte primaria di diritto riconosciutogli dall’ordinamento italiano.
Ancor prima, compito del Parlamento, in quanto organo rappresentativo degli interessi dell’intera Nazione è rafforzare l’operatività di alcuni irrinunciabili principi di ordine pubblico da opporre alla crescente tendenza accentratrice ed invasiva delle istituzioni europee e dei suoi organi giurisdizionali. Tutto ciò presuppone che vi sia una reale discussione in un Parlamento effettivamente rappresentativo del corpo elettorale: il che, allo stato, è escluso dal meccanismo più volte descritto del c.d. Italicum, che rende il Parlamento “ratificatore” delle leggi imposte dal Governo. Un Governo che – come è avvenuto di fatto negli ultimi tre anni, allorché ha anticipato nella sostanza il contenuto della riforma – risponda sempre meno al Parlamento e sempre più a interessi e politiche di lobbismo di vario tipo – neo-malthusiana ed lgbt – porrebbe ben poco argine e freno all’invasione delle norme provenienti dalle istituzioni Ue.
Aldo Ciappi