Si dice che gli italiani non facciano più figli – negli ultimi anni abbiamo registrato
record negativi da sempre – a causa del deterioramento della situazione economica con la connessa gravissima e persistente crisi occupazionale, che affligge in particolare i giovani ed il meridione. Sembra ragionevole, come si può mettere su famiglia in un contesto di precarietà? Ma le cose stanno davvero così?
La crisi finanziaria, economica e sociale tuttora in corso si sviluppa a partire dall’estate 2007: crollano le Borse, i prezzi degli immobili, l’economia si avvita su se stessa, fino a divenire crisi occupazionale, sociale, di fiducia, in tutti i Paesi sviluppati, con l’aggravante della crisi dei debiti sovrani nei Paesi periferici dell’area euro a partire dall’estate 2011.
I Paesi afflitti dal debito come l’Italia rischiano di avvitarsi in un lungo cammino di crescita a ridosso dello zero, che non è certamente funzionale né alle famiglie né alle imprese, che sono i veri artefici della crescita economica. E qui casca l’asino, perché se il mondo delle imprese è gravato da balzelli insostenibili che servono a sostenere uno Stato moloch, dal perimetro sempre più esteso con spesa pubblica fuori controllo, la famiglia per parte sua sta attraversando una fase di profonda crisi, aggredita da legislazioni sempre più pregiudizievoli alla stabilità familiare – si pensi al divorzio “breve e facile” promosso dal governo Renzi o alle “colonizzazioni ideologiche” del gender così apprezzate dal nuovo Ministro dell’Istruzione Fedeli.
Ma al di là della crisi economica-finanziaria che perdura oramai da oltre 8 anni e dai recenti attacchi all’istituto familiare da parte del governo Renzi, la crisi della famiglia data da più lontano, per lo meno dalla rivoluzione culturale del ’68, con la conseguente introduzione del divorzio, la riforma del diritto di famiglia e l’aborto. È dagli inizi degli anni ’80 che il numero di figli per donna è sceso ben al di sotto del tasso di sostituzione, cioè quei 2,1 figli per donna necessari a mantenere la popolazione stabile, in assenza di flussi migratori positivi.
Da moltissimi anni, da quando il quadro economico era ancora positivo, quindi ben prima dello scoppio della crisi economico-finanziaria, l’Italia è entrata in una situazione di “inverno demografico”, con 1,4 figli per donna, un vero e proprio suicidio che minaccia di dimezzare il numero di italiani da ora al 2050, secondo le previsioni Istat.
E qui il cerchio si chiude, perché l’invecchiamento demografico insieme alla contrazione della base produttiva, cioè della popolazione in età lavorativa, rischia di portare ad una crisi del sistema previdenziale, assistenziale e sanitario. In una situazione di costi fissi crescenti per sostenere un Welfare State sempre più precario, il prelievo fiscale è destinato a rimanere molto alto, scoraggiando così gli investimenti privati ed azzoppando sul nascere ogni velleità di ripresa economica reale.
È quindi la crisi demografica che rende strutturale la crisi economico-finanziaria e non viceversa: senza persone che lavorano, con buona formazione tecnica e professionale, con una produttività favorita dall’accumulazione del risparmio e del capitale, in un contesto per di più appesantito dall’enorme mole del debito pubblico, la fuoriuscita dalla crisi sembra davvero difficile.
Soprattutto poi se i governi si ostinano a colpire la libertà economica e le imprese, la proprietà, la famiglia ed il risparmio. Da questa crisi culturale ed antropologica, prima che economica e finanziaria, usciremo solo invertendo direzione, mettendo al centro la famiglia e la libertà economica.
Dalla politica, in Italia come in Europa, non sta arrivando alcun segnale in tal senso. Anzi.
Maurizio Milano
Foto da La Meridiana