Dopo oltre 8 anni di profonda crisi economica la società italiana, nonostante tutto, regge ancora. Giovani disoccupati che sopravvivono grazie al supporto degli anziani genitori in un contesto però di precarietà diffusa anche tra gli adulti; anziani con pensioni mediamente dignitose ma con un numero crescente di persone costrette a cedere la nuda proprietà della propria abitazione per mantenere un tenore di vita accettabile; famiglie che galleggiano ma non riescono più a risparmiare e che devono sempre più intaccare il capitale accumulato dalle generazioni passate, risparmi peraltro non più remunerati a causa dei tassi di interesse schiacciati verso lo zero dalla Banca Centrale Europea.
Una classe media, insomma, che si contrae sempre più, afflitta da un carico fiscale insostenibile e con un Welfare State con prestazioni a tendere sempre meno generose, complice l’invecchiamento della popolazione con conseguente avvitamento strutturale dell’economia, in una spirale perversa.
Ciononostante, dicevamo, stiamo ancora in piedi. Come mai? La risposta è semplice: nonostante tutti gli attacchi di cui è oggetto e l’indebolimento costante degli ultimi decenni, la famiglia italiana ha radici profonde e vitali, che affondano nell’humus di quella che fino a due-tre generazioni or sono era ancora una società cattolica e culturalmente omogenea.
Questa famiglia, ferita e disorientata, rimane nonostante tutto la cellula fondamentale della società italiana, e continua a fare da ammortizzatore nei periodi di crisi. Un prezioso, ineliminabile ruolo di collante e di solidarietà inter-generazionale. Fino a quando la famiglia potrà svolgere questo ruolo chiave?
Lo Stato italiano riconoscerà mai la famiglia come “soggetto economico”? In altre parole, lo Stato inizierà a tenere conto che le famiglie con figli contribuiscono più dei singoli alla sopravvivenza del “corpo sociale” e che di conseguenza meritano un occhio di riguardo? Al momento non ci sono, purtroppo, segnali in tal senso.
Basti pensare agli aspetti fiscali: le famiglie numerose non beneficiano di un sistema di detrazioni adeguate, gli assegni per i figli a carico sono simbolici e per di più avvantaggiano le coppie non coniugate perché per marito e moglie che lavorano si considerano i redditi congiunti, una vera beffa ed un bell’incentivo alla semplice convivenza. Per non parlare dei costi molto elevati degli asili nido, con detrazioni fiscali pari a 120 euro annui a fronte di spese che possono raggiungere tranquillamente i 6000 euro annui per bambino nei nidi privati.
Se poi la famiglia dovesse optare per proseguire con una scuola privata si troverebbe a sostenere costi davvero ingenti, pagando due volte il servizio visto che la scuola pubblica è finanziata dalla fiscalità generale, quindi anche dalle famiglie che poi mandano i propri figli alle paritarie.
Giova poi ricordare, en passant, che la scuola pubblica costa al contribuente 50 miliardi di euro annui, a fronte di soli 500 milioni riconosciuti dallo Stato alle paritarie, un centesimo del totale a fronte di un 10% degli studenti totali. Renzi ci ha dato la “Buona scuola”, le famiglie italiane avrebbero invece preferito il tanto spesso promesso e mai concesso “buono-scuola”, in modo da potere scegliere liberamente la scuola che preferiscono per i propri figli. Ciò farebbe crescere la concorrenza e scendere i costi complessivi del sistema scolastico, per una scuola più meritocratica e di qualità, volano di crescita economica e sociale.
Non ci sarà futuro senza famiglia, soprattutto per un Paese come l’Italia. E visto che parlavamo di scuola, una nota per il neo Ministro dell’Istruzione Fedeli: la famiglia naturale, che in Italia è anche quella tradizionale e costituzionale, è fatta di un marito di sesso maschile, una moglie di sesso femminile ed auspicabilmente dei figli. Ovvio, ma ci tocca ricordare anche l’ovvio ai tempi della follia “gender”, del “poliamore”, dell’obamiano”love is love”.
Maurizio Milano