Il denaro costituisce un tema costante nelle nostre scelte di lavoro, consumo, risparmio e investimento. Noi tutti comprendiamo intuitivamente come,al di là del valore nominale,ciò che rileva è solo il potere d’acquisto, nel tempo e nello spazio: è chiara a tutti la “funzione” del “denaro” come “mezzo universale di scambio” e tuttavia, forse, non sapremmo definire chiaramente la sua “quidditas”.
di Maurizio Milano
«Papà, che cosa sono i soldi?», mi domanda il mio bimbo di 6 anni: e come molte domande che pongono i bambini, la risposta non è per nulla banale. «I soldi servono per acquistare le cose di cui abbiamo bisogno», rispondo io. «Sì, ma che cosa sono?», incalza lui. E qui il papà, laureato in economia, si trova alle strette e si rimette a studiare, dopo un quarto di secolo trascorso ad occuparsi di tematiche finanziarie in banca.
In effetti, non esiste un consenso unanime della dottrina sull’origine, sulla natura e sulla qualificazione giuridica del denaro: varie sono le posizioni, che oscillano dalla visione “nominalista” a quella “realista”.
Secondo l’impostazione “nominalista”, dominante ai giorni nostri, è “denaro” ciò che l’autorità politica legittima decide che sia tale, un semplice “segno” senza alcun riferimento a un possibile valore “intrinseco”:per esempio un pezzo di carta su cui è scritta una certa cifra, accettata quindi esclusivamente sulla fiducia. Nei sistemi monetari moderni, a tutte le latitudini e longitudini, il denaro è in effetti denaro “fiduciario”, fiat, emesso in regime di monopolio da una Banca Centrale che lo crea ex-nihilo, immesso nei circuiti come “moneta scritturale” dalle banche commerciali e considerato legal tender per imposizione pubblica, col dovere quindi dei creditori di accettarlo nei pagamenti e dei contribuenti di usarlo per pagare le tasse.
Nell’accezione “realista”, invece, il denaro non è un semplice segno, ma possiede un valore intrinseco, dice cioè relazione a un sottostante di un qualche tipo.La Scuola austriaca di economia lo spiega molto bene ripercorrendo l’origine storica del denaro. Nel suo libro Denaro (Geld, 1892), Carl Menger (1840-1921), fondatore della suddetta scuola, individua la nascita del denaro nel momento in cui gli scambi tra le persone superano la fase iniziale del baratto, in cui, cioè, la merce “A” viene scambiata direttamente con la merce “B”, «uova contro insalata» per esempio. Nelle economie primitive alcune merci, particolarmente desiderate, vengono ad assumere un po’ per volta il ruolo di “denaro-merce”, vengono cioè richieste non solo per se stesse, ma utilizzate anche per intermediare gli scambi di tutti gli altri beni. Nel momento in cui merci come il sale, oppure le conchiglie o un certo metallo, sono oggetto di forte domanda per se stesse, diviene più economico scambiare tutte le merci che si intendono vendere con queste merci particolari, che si possono poi utilizzare più facilmente per acquisire i vari beni di cui si abbisogna: dal baratto si passa, così, allo scambio “indiretto”, col “denaro-merce” che assolve al ruolo di mezzo universale di scambio. Attraverso un lungo processo di selezione naturale, il denaro nasce quindi come un’istituzione sociale spontanea, dal basso, per superare il baratto e favorire gli scambi. Questo consente una crescente divisione e specializzazione del lavoro e, quindi, una maggiore cooperazione volontaria tra le persone, perché altro non è, a ben vedere, il “mercato”. La specializzazione permette a sua volta un incremento della produttività del lavoro, e quindi del benessere, sempre più marcata. Il processo di selezione del mercato porta, poi, naturalmente le persone a prediligere merci le cui caratteristiche intrinseche le rendono particolarmente utili per gli scambi perché scarse, non deperibili, facilmente trasportabili, suddivisibili, ecc. I metalli preziosi divengono tali, cioè “preziosi”, proprio per la loro scarsità e per le loro caratteristiche intrinseche chimico-fisiche: candidati ideali per assolvere la funzione di “merce-denaro”. Non solo l’oro: è soprattutto l’argento che si diffonde ovunque come «mezzo universale di scambio».
Il passaggio alla monetazione è poi un’evoluzione naturale, perché è molto più semplice contare delle monete di cui si conosce il titolo e il peso piuttosto che pesare dei pezzi informi di metallo e cercare di sincerarsi sulla qualità del metallo stesso. Le monete nascono anch’esse come istituzione sociale, ma non “politica”, nel senso che sono inizialmente emesse da privati, in concorrenza tra loro, e solo in un secondo momento dagli stati. Anch’esse sono in una certa misura moneta “fiduciaria”, nel senso che gli emittenti devono acquisire e mantenere nel tempo la fiducia della gente sulla bontà delle proprie emissioni, pena dovere chiudere l’attività. Uno degli snodi storici chiave è quello in cui gli Stati iniziano a battere moneta e, poi, ne assumono il monopolio, acquisendo un beneficio di “signoraggio”, di per sé lecito nella misura in cui la certificazione dà valore aggiunto al metallo non monetato, rendendolo più fungibile, ma assolutamente immorale se usato per “manipolare” il contenuto intrinseco del metallo prezioso soggiacente alle monete coniate. Lo ius cudendi, il diritto di battere moneta, diviene così un modo semplice e veloce per aumentare le entrate dello stato, meno trasparente delle tasse e più facile del ricorso all’indebitamento, particolarmente importante per finanziare le guerre.
Su tale punto un testo fondamentale è il Tractatus de origine, natura, iure et mutationibus monetarum del pensatore della tarda Scolastica, vescovo, matematico, fisico, astronomo ed economista francese Nicola d’Oresme (1320 ca.-1382). Tale studio, composto in latino nel 1355-56 e successivamente tradotto in volgare francese a beneficio del Delfino, il futuro sovrano Carlo V di Francia (1338-1380), rientra a pieno titolo nel genere testuale degli specula principum, con finalità formative e prescrittive. Il Magister sostiene la teoria realista della moneta-merce, ripresa cinque secoli dopo dalla Scuola austriaca di economia, contro la visione “nominalista” allora dominante, che vedeva la moneta come un semplice segno. Il suo obiettivo è quello di condannare moralmente le manipolazioni monetarie dei prìncipi, anticipando di due secoli la famosa «legge di Gresham», teorizzata dal mercante e banchiere inglese Thomas Gresham nel XVI secolo, sulla «moneta cattiva che scaccia la moneta buona».
Il momento storico in cui scrive Oresme è quello della Guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra, che nel decennio 1350-60 è caratterizzata da una vera e propria “anarchia monetaria”, con frequenti alterazioni del contenuto delle monete in circolazione per far fronte alle spese belliche. La moneta, per Oresme, non appartiene al principe, ma a tutta la comunità, e il principe deve proteggerne l’integrità: la tutela della bontà della moneta è ordinata alla difesa della proprietà privata, alla correttezza degli scambi e dei contratti, rientra quindi a pieno titolo nel bonum commune, che costituisce il fine ultimo della comunità politica e, quindi, il dovere primo del sovrano. Il sovrano che «commette falsa testimonianza» facendo il “falsario” per cupidigia dei beni dei propri sudditi, a cui sottrae indebitamente ricchezza – violando quindi in un colpo solo l’VIII°, il X° e il VII° Comandamento –, diviene un “tiranno” ex defectu exercitii. A tal proposito, Oresme scrive che «ricavare lucro dalle mutazioni monetarie, così come accrescerlo, è un atto fraudolento, tirannico e ingiusto; una tale pratica non può essere perseguita a lungo senza che il regno non si snaturi, non essendo più tale, e non degeneri, anche in molti altri aspetti, in una tirannide». La violazione della fiducia su cui si deve fondare la comunità, per di più da parte del principe che ne deve essere il supremo garante, è intollerabile e non può che portare alla rovina l’intero Stato. Un signoraggio basato sull’alterazione della purezza della lega e/o sulla riduzione del peso, all’insaputa della comunità, costituisce una falsificazione moralmente illecita e turpe: non può trovare giustificazione alcuna.
Dal momento in cui gli stati hanno assunto il monopolio dell’emissione della moneta, imponendola come legal tender, cioè mezzo legale di pagamento, la tentazione di falsificare le monete da parte del detentore dell’autorità pubblica è purtroppo stata una costante, spesso spinta dalla “necessità” di finanziare delle campagne militari. Il “salto di qualità”, per così dire, si è poi avuto col passaggio alla cartamoneta, prima considerata “convertibile” in metalli preziosi a seconda del tipo di regime monetario (in oro o in argento tipicamente, i cosiddetti gold standard e silver standard), poi sganciata progressivamente dal collegamento col sottostante. A partire dal 15 agosto 1971 tramonta definitivamente anche il regime di gold-exchange standard: con gli accordi di Bretton Woods del 1944 le principali divise nazionali, pur non essendo convertibili in oro direttamente, si erano legate tra loro con un rapporto di cambio fisso col dollaro statunitense, con la facoltà per le varie Banche Centrali nazionali di chiedere alla Federal Reservedi convertire in oro le proprie divise. Un qualche freno alla libertà di inflazionare le varie divise nazionali era quindi assicurata indirettamente dal regime di cambi fissi e dalla copertura in oro fisico del dollaro Usa. Il sistema di Bretton Woodscollassò perché gli Usa non riuscivano più a far fronte alla convertibilità in oro a causa dell’incremento della propria spesa pubblica per finanziare la guerra in Vietnam e per l’allargamento del perimetro del Welfare State attuato negli anni ’60 (cfr. il mio Il pericolo di un «socialismo finanziario»). Una conferma che la leva monetaria, quando esiste, viene inevitabilmente utilizzata dai governanti per allargare sempre più la propria azione di intervento, per evitare di passare dall’imposizione fiscale e dall’indebitamento, troppo palesi.
I sistemi monetari attuali sono tutti nominalisti: le Banche Centrali possono espandere i propri bilanci virtualmente ad libitum per acquistare a man bassa asset sui mercati finanziari; le banche commerciali, grazie al meccanismo del “moltiplicatore dei depositi”, possono fare prestiti detenendo una riserva frazionaria minima (nell’area euro è pari all’1%), e quindi spingere potenzialmente gli impieghi a decine di volte tanto i depositi (nell’area euro virtualmente fino a 100 volte tanto). La banca commerciale, pur prestando denaro che non ha, anzi, che non esiste neppure, non rischia di trovarsi nella condizione di non potere far fronte a richieste improvvise e simultanee di rimborso dei propri correntisti (il cosiddetto bankrun) perché coperta alla bisogna dalla propria Banca Centrale che agisce da «prestatore di ultima istanza», con potenza di fuoco virtualmente infinita. Un esempio di “usura istituzionale”, visto che il denaro prestato è denaro scritturale, generato nel momento in cui la banca commerciale eroga il prestito, contravvenendo alla nota locuzione latina ex nihilo nihil fit.
Il sistema monetario fiat produce, per di più, rialzi artificiali dei corsi azionari, dei corsi obbligazionari e di altri asset finanziari, incentiva l’indebitamento e distorce le corrette allocazioni di risparmio/investimento, amplificando così i cicli economici e borsistici, come ci insegna l’esperienza degli ultimi 20 anni: 4 grandi crash finanziari e crisi economiche ricorrenti, insieme ad un’espansione continua della liquidità globale M2, balzata da circa 20.000 miliardi di dollari Usa a circa 40.000 negli anni 2007-2009 della Grande Crisi Finanziaria, dai circa 80.000 pre-Covid ai circa 92.500 miliardi attuali (novembre 2020). Una liquidità generata ex-nihilo, con un click del mouse, che ha fatto risalire le Borse mondiali verso i massimi e, addirittura, portato l’azionario Usa a toccare nuovi picchi storici, ancorché le economie reali si stiano avvitando su se stesse. Una risalita dei prezzi al consumo, a causa dei fiumi di liquidità che stanno inondando tutti i Paesi del mondo, è l’obiettivo principale perseguito con accanimento dalle autorità monetarie per stabilizzare i debiti, ovviamente a danno dei creditori/risparmiatori, e per abbassare il potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni, recuperando così “produttività” in modo indiretto e subdolo.
Il vescovo Oresme si indignava perché i sovrani alteravano fraudolentemente titoli e pesi delle monete d’oro e d’argento, un po’ per volta e nel corso degli anni: che cosa direbbe oggi di fronte all’interventismo esponenziale delle Banche Centrali, alla perdita di ogni riferimento reale del denaro e, quindi, alla discrasia crescente tra dinamiche finanziarie e dinamiche reali? Svalutare la moneta per diminuire artificialmente il potere d’acquisto di beni mobili e immobili, ledendo la fides che ogni civis deve poter riporre nella propria moneta, in modo irracionabiliter et iniuste, ac eciam in preiudicium multorum…
Da turpe pratica fatta nel nascondimento a prassi consolidata delle istituzioni monetarie moderne: come può svilupparsi un’economia libera, uno dei desiderata della dottrina sociale della Chiesa, quando la moneta – che è unità di conto, riserva di valore e mezzo universale di scambio – viene sistematicamente inflazionata, cioè svilita, dalle stesse istituzioni preposte alla sua emissione, falsificando così le regole del gioco?
Non è davvero facile rispondere alla domanda «che cosa sono i soldi»…
Giovedì, 12 novembre 2020