« Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Disse loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù gli disse: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” » (Mt 16,13-19)
La mentalità del nostro tempo ci ha disabituati a vedere l’autorità come un dono. Eppure gli uomini ne hanno un estremo bisogno. Anche un’operazione banale come il trasporto di un tavolo da una stanza all’altra richiede che uno diriga le operazioni. Più si è numerosi e più questo bisogno si fa impellente, perché è necessario che i diversi atti dei singoli non si disperdano in direzioni disparate, ma trovino l’unità nel dirigersi verso il fine. C’è un qualcosa di più che i molti da soli non sono in grado di darsi. Questo “di più” è il proprio dell’autorità: non è un caso che il termine autorità venga dal latino augere, cioè aumentare. Se il liberalismo e l’individualismo hanno corroso intrinsecamente la nozione di autorità, facendone solo un inevitabile male, i totalitarismi e gli autoritarismi moderni hanno contribuito a discreditarla e a falsificarne l’immagine. Alla luce di queste premesse è possibile allora comprendere nel loro vero senso le famose parole di Gesù a Cesarea di Filippo, in cui parla della Chiesa come di un edificio in costruzione e della roccia su cui deve poggiare e da cui deve trarre stabilità e coesione. Innanzitutto il Maestro imposta con gli apostoli il problema della sua identità; il Verbo si è fatto carne, perciò ormai sull’identità della sua persona tutto si fonda. “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 18,13). Al che essi lo informano delle voci che girano sul suo conto: c’è chi lo considera alla stregua di un nuovo Giovanni Battista. Altri parlano di Elia o di Geremia o di un altro profeta. Non c’è affatto bisogno di scomodare la concezione della reincarnazione per capire un tale modo di esprimersi. La reincarnazione è assolutamente estranea alla mentalità biblica: si tratta piuttosto di una eredità spirituale. Allora Gesù pone direttamente la domanda agli apostoli: “Voi chi dite che io sia?” ed è Pietro a rispondere. Sono circa 171 i passi del Nuovo Testamento in cui a Pietro è attribuito un posto preminente. Pietro ricollega la persona di Gesù non a una qualche missione profetica o eredità spirituale dell’antica profezia, ma la pone immediatamente al centro stesso della vita intima di Dio, nell’origine assoluta: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Allora Gesù, davanti a questa perfetta professione di fede pronuncia le parole decisive. Pietro ha parlato ed è al solo Pietro che si rivolge: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Il passo è ricco di aramaismi e di espressioni simboliche ebraiche e ha quindi tutta la freschezza di un evento della vita terrena di Gesù. Secondo la concezione ebraica Dio ha fondato il mondo sulla roccia come una pietra angolare e su di essa è poggiato anche il Tempio. In particolare su questa roccia è situato il Santo dei Santi. La moschea di Omar, che attualmente si erge sulla spianata del Tempio proprio nel luogo corrispondente al Santo dei Santi e all’altare dei sacrifici, è chiamata “Cupola della roccia”. Questa roccia sacra era anche considerata come il coperchio che trattiene le acque caotiche dell’oceano primordiale e insieme anche la porta del regno dei morti. La Chiesa è come il nuovo e definitivo tempio, non più fatto di pietre ma composto di uomini. Come il Tempio sta saldo sulla roccia, così il nuovo Tempio che è la Chiesa trae stabilità e unità dal ministero di Pietro. È sempre questo ministero che impedisce alle forze disgreganti di dissolvere l’unità della Chiesa e alle potenze del male di trionfare su di essa. Noi sappiamo che la pietra angolare è Cristo (cfr. Ef 2,20), ma questo non impedisce che Cristo stesso attribuisca questa sua prerogativa a Pietro perché vi partecipi intimamente, così come accade per altre prerogative, come ad esempio quella di maestro. Gesù si rivolge a Pietro. La prerogativa di “legare e sciogliere”, cioè di esercitare una autorità dottrinale è attribuita anche all’insieme degli apostoli (cfr. Mt 18,18), ma al solo Pietro è dato di essere roccia e di avere le chiavi del regno. Anche gli apostoli dunque partecipano della suprema autorità nella Chiesa, ma al solo Pietro è dato di essere il principio dell’unità e della stabilità. D’altra parte l’insieme (il “collegio”) degli apostoli non è tale senza Pietro. Tanto si è detto e fatto contro la «papolatria», termine dispregiativo che mette in ridicolo la devozione al Papa del popolo cattolico. Certamente abusi ed esagerazioni ci sono stati. Ma chi o che cosa non può essere oggetto di abuso da parte dell’uomo peccatore? Ciò non toglie che l’amore al Papa, quando è sincero, sia una legittima e del tutto naturale manifestazione di amore alla Chiesa, che non può essere che personale, perché tutto è personale nella Chiesa. Ultimamente, come tutto nella Chiesa, è manifestazione di amore a Cristo. Il papa infatti, secondo la tenera espressione di santa Caterina da Siena è «il dolce Cristo in terra».