I panettieri bolognesi se la prendono con la Cgil per l’abolizione dei voucher, invitando i futuri disoccupati del settore a rivolgersi al sindacato per avere un lavoro
Lo scorso 17 marzo il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato il decreto legge per l’abolizione, a partire dal prossimo anno, dei cosiddetti voucher, i buoni lavoro da 10 euro lordi (7,5 euro netti per 1 ora di lavoro, con un tetto di utilizzo massimo di 7.000 euro annui netti per lavoratore). I voucher avevano avuto un buon utilizzo negli ultimi due anni, per un controvalore complessivo di circa 100 milioni di euro mensili, pari allo 0,40% delle ore lavorate.
Ma dov’era il requisito di “necessità ed urgenza” per giustificare un intervento a mezzo decreto-legge? Semplice, il Governo ha ceduto alle pressioni della Cgil, senza consultare le parti sociali ed imprenditoriali, per evitare l’indizione di un referendum contro uno strumento malvisto dal sindacato, considerato l’emblema della precarizzazione dei rapporti di lavoro.
I voucher erano stati introdotti nel Jobs Act del 2015 (artt. 48, 49 e 50) come uno strumento per fare fronte ad esigenze temporanee, per prestazioni di lavoro accessorie, saltuarie, soprattutto nei lavori stagionali per i giovani studenti durante le vacanze, i pensionati, i cassa integrati, i lavoratori a part-time. L’obiettivo era di ridurre il ricorso al lavoro in nero, visto che i voucher garantivano anche il versamento degli oneri previdenziali all’Inps e di quelli assicurativi all’Inail (2,5 euro ogni buono da 10 euro; nessun prelievo fiscale).
Uno strumento di cui si è anche abusato per occultare rapporti di lavoro subordinati ordinari. Certamente, e nessuno pretende che i voucher fossero la forma ideale per regolare i rapporti di lavoro, visto che non tutelavano da disoccupazione, maternità, malattia.
Nell’Enciclica Laborem Exercens del 1981, Giovanni Paolo II ha scritto pagine fondamentali sulla dignità del lavoro umano, sulla sua priorità, sulla giusta remunerazione, su tutti quei diritti del lavoratore che discendono dalla chiamata al lavoro da parte di Dio creatore. Il Magistero non entra negli aspetti “tecnici”, certamente, ma fornisce princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive per l’azione, importanti per trovare soluzioni giuste.
Nella fattispecie, pare imprudente eliminare uno strumento di flessibilità in un momento di grave e persistente crisi economica ed occupazionale, soprattutto tra la popolazione giovanile. Una misura che non aiuterà certamente i lavoratori precari e i più svantaggiati. Anzi, li respingerà probabilmente nelle spirali del lavoro in nero. Il meglio, si sa, è spesso nemico del bene.
Il premier Gentiloni ha invero annunciato lo studio di misure alternative per riempire il vuoto lasciato dai voucher: per le imprese si parla dei cosiddetti minijobs, molto diffusi in Germania, che garantiscono contributi previdenziali decisamente migliori rispetto a quelli modesti dei voucher; per le famiglie sono allo studio soluzioni alla francese, che prevedono l’istituzione di una piattaforma telematica alla quale si potrebbero iscrivere sia le famiglie sia le aspiranti collaboratrici domestiche, badanti e baby-sitter, con la possibilità di pagare direttamente on line il servizio e di avere anche garanzie sulle persone che si vogliano contattare.
Speriamo che vengano presto proposte soluzioni valide ed eque, purché senza oneri per i contribuenti: sarebbe stato meglio, tuttavia, introdurle prima di abolire i voucher, senza creare un vuoto normativo improvviso e pericoloso, che rischia di danneggiare proprio quelle fasce più deboli che si pretende di voler meglio tutelare.
L’esecutivo ha ceduto al ricatto del sindacato massimalista, la cui visione ideologica contribuisce, ancora una volta, ad acuire il problema anziché a risolverlo. Una scelta criticata non solo dalla Confindustria o dalla Confcommercio ma anche dalla Cisl: una vittoria solo per Susanna Camusso. Meglio però che se ne stia alla larga dalle panetterie.
Maurizio Milano