« Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte » (Lc 23,33-34).
Gesù dall’alto della croce pronuncia sette parole. Non sette “parole” intese come parti del discorso, ma sette discorsi che costituiscono ciascuno una unità di significato. I cristiani si sono accorti fin da subito della cosa e hanno constatato il simbolismo. Il numero sette indica chiaramente un ciclo concluso, in qualche modo perfetto. Le ultime sette parole di Gesù in croce rappresentano così il suo testamento, perciò devono contenere quanto vi è di più importante ed essenziale nel suo messaggio. La prima parola è: « Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno ». La possiamo intendere in senso morale, come un esempio ed insegnamento di perdono. Così spesso la intende la pietà cristiana. Davanti a qualcuno che sperimenta la fatica del perdono, l’esempio di Gesù ha una efficacia straordinaria. Ma c’è qualcosa di più. Qui Gesù interpreta autorevolmente quello che sta per fare. La sua morte in croce è il perdono supremo e definitivo. È l’atto sommo di misericordia, cioè il momento in cui l’Amore infinito di Dio tocca la miseria dell’uomo. Miseria che qui prende le sue caratteristiche più evidenti. Il signore è circondato da una folla di persone che lo deridono. “Se sei il Figlio di Dio salva te stesso e noi!”. Davanti a questo peccato la risposta di Dio è il perdono.