Nel romanzo L’oblato (tr. it., D’Ettoris, Crotone 2016) del celebre scrittore decadente e poi convertito Joris Karl Huysmans (1848-1907), il protagonista Durtal – alter ego dell’autore – a più riprese definisce l’oblazione benedettina come particolarmente adatta agli artisti, legando spesso la spiritualità monastica alla creazione artistica: «[…] l’oblazione si addice soprattutto agli artisti, dà loro il sostegno di grazie monastiche, lo stesso aiuto del Patriarca e comunque lascia loro una certa libertà» (p. 236). Non che esista una specifica spiritualità, né tanto meno un’estetica benedettina – il che appare chiaro anche nel romanzo, scritto da un profondo conoscitore delle istituzioni monastiche, oblato egli stesso nel monastero di Ligugé. Piuttosto, ed è proprio qui il nesso tra l’arte e il chiostro, la spiritualità benedettina consiste nell’essere eminentemente liturgica: nihil operi Dei praeponatur, leggiamo nella Regola, così che l’intera vita dei monaci e di chi, pur vivendo nel mondo, trae da essi ispirazione, si caratterizza per il solo fatto di essere interamente plasmata dalla liturgia.
Quella che propone Durtal, in altre parole, è una rinascita dell’arte liturgica, ben distinta dall’arte genericamente religiosa. Quest’ultima infatti può essere di vario genere, passando dalla personale riflessione religiosa dell’artista, senza escluderne i conflitti interiori, ad un’arte persino devozionale, risultando senza dubbio edificante, tuttavia… è un’arte ancora terrena, guarda al cielo dal basso, con maggiore o minore chiarezza, ma non scaturisce invece dal cielo stesso, non intinge il pennello nella Gerusalemme celeste. Tra arte religiosa e arte liturgica c’è la stessa differenza che passa – nella migliore delle ipotesi – tra un pio manualetto di devozione e la potenza dell’Ufficio Divino che Durtal sperimenta al di là delle sue distrazioni. Potremmo dire che, tra arte vagamente religiosa – e persino devozionale – e arte liturgica ci sia una differenza di fondo: la prima va dall’introspezione all’esortazione morale, mentre la seconda si pone al livello della più alta contemplazione estetica, sospendendo le nostre riflessioni per restare a bocca aperta di fronte a Colui che è la vera bellezza.
La liturgia evangelizza, ma lo fa in modo non mediato da ragionamenti bensì in maniera im-mediata, attraverso lo stupore. Dinanzi ad una bella liturgia, come di fronte a qualsiasi vera e profonda esperienza del bello, cessa qualsiasi obiezione alla verità e al bene, lasciando il posto allo stupore. Ed è qui in fondo anche una possibile via d’uscita dal “conflitto” che, da oltre mezzo secolo, oppone estimatori e detrattori di tanti recenti edifici di culto, il cui problema non sta tanto nell’aver abbandonato l’antico, semmai dall’aver eclissato l’eterno. Arte liturgica, significa forse dipingere solo Madonne e santi? Limitarsi a ciò che è strettamente legato al culto? Non diventerebbe forse un’arte rubricistica? Niente affatto, poiché la vera questione non è l’oggetto, bensì lo sguardo: non si tratta di forzare la realtà nei confini del chiostro, semmai far risplendere la luce del chiostro fino alle più minute realtà quotidiane. Del resto, la vita del monaco è liturgica non solo nei sacri uffici, ma anche nella quotidianità, nella mensa, nel lavoro.
Riprendendo una celebre espressione di Benedetto XVI – che auspicava una «ragione allargata» – potremmo parlare, a tale proposito, di una «liturgia allargata», che abbracci l’intera realtà in quella che Plinio Corrêa de Oliveira definiva «contemplazione sacrale dell’universo». Questo nuovo sguardo, che trova nella liturgia la sua dimensione sorgiva, consiste nell’accostarsi anche alla natura con approccio non meramente naturalistico, bensì sacramentale, come una colossale lettera d’amore che Dio ci invia ogni giorno attraverso il sole e la pioggia, il vento, il mare e le montagne, l’alternarsi delle stagioni e il trascorrere delle ore. Da una semplice natura morta, anzi più viva che mai, alle grandi opere destinate alle chiese, un’arte che prenda le mosse da questo sguardo avrà come naturale riflesso quell’animazione cristiana delle cose temporali che non si può perseguire artificiosamente tramite slogan e sforzi umani, ma prima di tutto nel far riemergere, nell’incessante intreccio tra le meraviglie della creazione e le molteplici attività umane, quella sinfonia di fondo del cosmo il cui direttore d’orchestra è lo Spirito Santo.
Stefano Chiappalone
Foto da “Notiziario Sant’Alessandro”