Con la legge l’esistenza umana non è più un diritto indisponibile (le vacanze però sì)
La proposta di legge sul biotestamento è stata approvata dalla Camera con 326 voti favorevoli, 37 contrari e 4 astenuti. Ora passa al Senato. Ieri sono state stabilite le cosiddette “DAT”, le disposizioni anticipate di trattamento, con cui esprimere le proprie future convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari. Viene indicato un «fiduciario» che rappresenti il paziente nelle relazioni con medici e strutture sanitarie. Le DAT sono vincolanti, nonostante possano essere disattese qualora appaiano palesemente incongrue o le condizioni nel frattempo siano mutate e se siano sopraggiunte nuove terapie. Per i deputati cattolici, tra cui Paola Binetti e Rocco Buttiglione, viene così introdotta «l’eutanasia per fame e per sete».
Sei a favore o contro il consenso informato? Vuoi avere a che fare con un medico crudele che ti allunghi la sofferenza della morte? Vuoi che si accanisca su di te con terapie che non hanno possibilità di successo? Sono le domande retoriche che riecheggiano sui media e nell’Aula della Camera: poste in questi termini per sollecitare tutti noi a guardare con favore alla legge sulle dat, aggiungendo luoghi comuni in quantità.
Come quello secondo cui la nuova legge attuerà le convenzioni internazionali sulla dignità del morire; è sufficiente leggere la Convenzione di Oviedo del 1997 (uno dei testi più evocati), per accorgersi che non è così: «I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione». «Tenere in considerazione» è diverso dall’obbligo di «rispettare la volontà espressa dal paziente» sull’interruzione del trattamento sanitario, che è previsto dall’art. 1 co. 7 della legge sulle dat.
Con questa legge accade qualcosa di grave: per la prima volta nel nostro ordinamento si afferma il principio della disponibilità della vita umana contro quello della sua indisponibilità. Questo è inscritto nella Costituzione, quello è avanzato solo nell’ultimo decennio, in prevalenza per via giurisprudenziale.
Le ferie sono più o meno importanti della vita di una persona? Se e quando passerà questa legge godere delle ferie resterà un diritto indisponibile: se non le fai devi recuperarle. La tua vita no: se – pur in modo implicito – ti sarai espresso in epoca, contesto e in condizioni differenti da quelli attuali, perfino su alimentazione e idratazione (che terapie non sono), quell’atto di volontà costringerà il medico a diventare il tuo boia, senza che gli venga riconosciuto il diritto di obiezione. E anche se lavora in una struttura religiosa.
La nuova normativa stravolge il ruolo del medico, gli toglie ogni spazio di discrezionalità/professionalità, lo espone a denunce e azioni di danno sia che opti per cure sopravvenute rispetto al momento delle dat sia che esegua queste ultime. In contrasto col profilo millenario dell’ars sanitaria, l’art. 1 fa diventare il consenso informato «atto fondante» del rapporto fra medico e paziente. Finora «atto fondante» è stato il perseguimento del bene del paziente, il quale va certamente informato: ma imporre per legge un canone di orientamento diverso dal perseguimento del suo bene significa che l’impegno maggiore cui il medico sarà chiamato consisterà nel far comprendere e accettare al paziente ogni singolo passaggio della terapia o dell’intervento che gli propone. Rischiando che una comprensione imperfetta domani diventi oggetto di censura o di richiesta risarcitoria verso il medico. E se il consenso non si è esteso – e come avrebbe potuto? – al «che fare» di fronte a un imprevisto, il medico come deve regolarsi?
Finora lo ha ben saputo, perché vige il principio di beneficialità; e domani? Se – come accade ogni minuto in ogni ospedale -deve intervenire con urgenza, col paziente vigile che ascolta, il medico si soffermerà sull’illustrazione analitica del consenso? Il paziente morirà: informato, ma morirà.
Una fantastica Legislatura che ha conosciuto il varo del divorzio breve, del divorzio facile, della droga free, del matrimonio same sex, e a fianco a esse il dilagare del gender nelle scuole, non può giungere alla meta senza approvare una bella legge sull’eutanasia.
Buon senso dice che la sola realtà che merita oggi il “fine vita” è la Legislatura in corso, con un Parlamento che avverte come priorità non affrontare il tracollo demografico o la crisi economica, ma disciplinare la morte in modo rapido ed efficace. E cioè coronare il motto della socialdemocrazia scandinava “dalla culla alla bara”. Con un codicillo: visti i problemi sul lato “culla”, avanti con la “bara”!
Alfredo Mantovano
Da “Il Tempo” del 21 aprile 2017. Foto da Agenpress