Una delle chiavi di lettura più importanti della storia venezuelana è scritta nel suo nome ufficiale: Repubblica Bolivariana de Venezuela. “Bolivariano” è un appellativo che nella politica di quella regione non si nega quasi a nessuno e proprio per la sua genericità si presta a molte letture. Il termine fa riferimento alla figura di Simon Bolivar, prototipo dell’eroe plurinazionale illuminista: presidente di quattro stati (Colombia, Venezuela, Bolivia, che da lui prende il nome, e Perù) nonché Libertador di Ecuador e Panama.
Bolivar fu soprattutto un rivoluzionario “operativo” e un massone di lunga carriera. Pur diviso fra l’entusiasmo per gli ideali della Rivoluzione Francese e l’ammirazione per il liberalismo americano, più che una vera e propria dottrina coltivò una visione politico-sociale. Convinto sostenitore del liberalismo economico riteneva che tale modello non potesse essere applicato ai popoli “arretrati” del Sud America se non attraverso una politica paternalistica di tipo centralista dove lo stato – qualcuno dei suoi eredi dirà: il partito – si doveva accollare totalmente l’onere di educare il popolo al proprio bene.
La storia sociale, politica ed economica del Venezuela si muove attraverso uno schema che possiamo definire “classico” almeno per i paesi dell’area. Si può sintetizzarlo in tre fasi:
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Una decolonizzazione piuttosto repentina ispirata da rivoluzionari di formazione europea e di matrice liberal-illuminista fortemente orientata verso l’utopia massonica.
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La sostituzione di schemi di vita tradizionali con modelli importati, ispirati al liberalismo economico e sociale, che danno vita ad élite consociative ed incrementano le differenze economiche fra le classi sociali.
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La sostituzione, spesso violenta, del sistema di potere di queste élite con il modello socialista che nel nome del “pueblo” invoca la redistribuzione delle risorse economiche e sociali, prima rivendicata e poi imposta con la forza.
Nel Venezuela contemporaneo, l’esito ultimo di questo percorso è stato il “Chavismo”: l’azione e il pensiero di Hugo Chávez, classe 1954.
Chávez era un ufficiale dell’esercito con alle spalle un periodo di reclusione per un fallito colpo di stato del 1992 ed è diventato Presidente del Venezuela nel 1999; lo rimarrà fino alla morte, nel 2013. Viene eletto in un paese diviso da rilevanti differenze sociali ma con un ottimo potenziale economico. Le sue promesse di ridistribuire le ricchezze del paese, porre fine alla corruzione e ristabilire un più efficiente ordine sociale, gli assicurano un forte sostegno popolare e gli permettono di superare indenne un tentativo di colpo di stato (2002) e numerosi scontri con l’opposizione.
La congiuntura economica gli era favorevole: il greggio al momento della sua prima elezione era quotato attorno ai 20 dollari e stava per iniziare la corsa che lo avrebbe portato ai 140 dollari del 2008. Questa escalation permette a Chávez, uomo dotato di un certo carisma personale, di varare con successo una serie di politiche di espansione della spesa pubblica che non sarebbero state sostenibili in nessun’altra condizione (qualcuno lo ha definito un “socialismo petrolifero”).
In questo modo el Tribilìn, come lo chiamavano i suoi compagni di baseball, oltre a consolidare il consenso popolare, può lanciare la sua dottrina politica, supportata da un apparente successo socio-economico: il Socialismo nel XXI Secolo. Fra il 2004 e il 2008 il PIL pro-capite del Venezuela raddoppia e colloca il paese tra le economie emergenti del Sud America. In un famoso discorso al quinto World Social Forum di Porto Alegre nel 2005 Chávez parla di socialismo democratico, libertà di parola, rispetto dei diritti umani, indigenismo, antiglobalizzazione, etc.
La grande ammirazione, forse reciproca, per Castro e il modello cubano porta alla volontà di realizzare il socialismo per via di partecipazione diretta, ove l’anima del popolo si invera nel carisma quasi divino del suo padre/padrone.
In realtà le cose sono andate diversamente: la democrazia diretta è consistita nel lanciare sesterzi, stampati a debito, ad un popolo che ne reclamava, comprensibilmente, sempre di più; il ripudio della violenza e la libertà di parola sono stati applicati a tutti tranne che…. agli oppositori, colpevoli dell’unico peccato politico non perdonabile: tentare di arrestare il cammino glorioso della rivoluzione; la democrazia è vissuta nel cuore di un sol uomo al comando e nella denuncia di ogni possibile contrappeso come malevolo “complotto straniero”.
Oggi molti imputano il disastro all’incapacità dei suoi successori di portare avanti la politica chavista. In realtà le vere basi del disastro si sono poste proprio sotto Chávez: con un programma fortemente ideologico e nel tentativo di riequilibrare le disparità economiche, ha finito con il buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ha sospeso le leggi del libero mercato sostituendole con un dirigismo burocratico che rende di fatto impossibile l’esercizio delle attività economiche e dell’iniziativa privata: espropri, prezzi imposti, cambi teorici, interessi sul debito irrealizzabili.
Nicolás Maduro, che si è trovato a succedergli nel 2013 dopo essere stato il suo fedelissimo negli anni precedenti, ha solo continuato su una strada già segnata che conduce al disastro che stiamo vedendo. Il greggio, con il calo dei suoi prezzi dal 2014 ad oggi, è certamente l’attore principale di questa tragedia ma non ne esaurisce tutta la trama. Con la rendita petrolifera, quando c’era, Chávez ha speso molto ma non ha realizzato quasi nulla di stabile. Un dilemma che, sia detto per inciso, occuperà la mente anche del prossimo Re dell’Arabia Saudita che, pur in un contesto sociale e politico molto differente, corre rischi simili per ragioni analoghe.
Quando nel 2013 Chávez muore, non improvvisamente ma a soli 58 anni, il greggio viaggia ancora attorno ai 100 dollari al barile, ma di lì a poco avrebbe cominciato la sua picchiata fino a 27 dollari, in un momento in cui molti debiti del Venezuela arrivavano a scadenza. Maduro ha applicato, con più forza per il peggioramento delle condizioni al contorno, la lezione imparata da Chávez: arroccamento politico contro ipotetici agenti stranieri (l’opposizione) e restrizioni sul piano economico che richiamano l’Albania di Enver Hoxha.
A dicembre 2015 si sono svolte, in un clima assai pesante, le elezioni politiche nelle quali il cartello delle opposizioni ha ottenuto una “supermaggioranza” di 112 seggi su 167, il Partito Socialista Unificato del Venezuela, fondato da Chávez e oggi diretto da Maduro, ne ha ottenuti 55. Ma il Venezuela è una repubblica presidenziale, nella quale il Presidente ha la possibilità di emanare decreti che non necessitano dell’approvazione parlamentare e, per buona misura, Maduro si è affrettato a dichiarare che il Parlamento è «Pieno di fascisti. È solo questione di tempo prima che scompaia». Sono stati cancellati tutti gli appuntamenti elettorali fino alla fine del 2017 ed è stata cancellata anche la possibilità di effettuare un referendum “revocatorio” della presidenza Maduro, per la quale si erano raccolte più due milioni di firme. Da qui prendono origine le proteste di piazza di questi giorni, focalizzate sulla politica ma in realtà mosse dalla fame, quella vera.
Le imprese private, quelle poche che non sono state espropriate e affidate alla burocrazia statale e che quindi lavorano in mostruosa perdita, devono vendere i propri prodotti – specie quelli alimentari – con ricarichi fissi imposti da tabelle statali, mediamente il 30 %. Ma queste stesse aziende devono acquistare, quasi sempre importare, le materie prime con una valuta il cui cambio ufficiale è meno di un decimo di quello reale, pagare salari erosi istantaneamente da un’inflazione galoppante, produrre nella totale latenza delle infrastrutture ma sotto il tallone di decine di migliaia di regole imposte dall’apparto burocratico creato per “tutelare gli interessi del popolo contro gli speculatori”. È impossibile, ma se non lo fanno l’azienda viene espropriata e l’imprenditore e i responsabili arrestati come accaparratori per il mercato nero. Morale: i beni di qualunque livello di necessità sono oramai introvabili. Negli ultimi anni in Venezuela è nata una nuova professione, il Bachaquero, che si alza alle 4 del mattino per mettersi in fila al supermercato per conto di terzi, ovviamente il governo ha risposto limitando la quantità degli acquisti individuali. Lo stesso governo vorrebbe arginare l’inevitabile stampando denaro, ma il problema non è la mancanza di denaro è la mancanza di possibilità di spenderlo utilmente e, comunque, la cosa è resa impossibile dal fatto che la Zecca non ha i soldi per comprare la carta per le banconote (!).
L’informazione della sinistra globalista e radical, per cui Chávez e Maduro rappresenta(va)no uno dei pochi miti sopravvissuti al reale, ha tenuto sottotono l’informazione su quanto accadeva; ora che non è più possibile celare i fatti si è passati al rituale concetto di “rivoluzione tradita”. Dall’altro lato il mainstream liberale e ultra-capitalistico ha buon gioco, e qualche ragione, nell’affermare la prevedibilità del disastro e l’ineluttabilità del successo del liberismo mercantile.
In realtà sbagliano, ma soprattutto hanno sbagliato in passato, entrambi. Gli ultra-liberisti perché è stato il loro sistema a generare le condizioni che hanno portato al potere Chávez, i social-globalisti perché hanno applicato al problema, che esiste, una soluzione contraria ai più basilari princìpi di sussidiarietà, innaturale e anti-libertaria, quindi disastrosa.
“Con il senno del poi sono capaci tutti”, potrà obiettare qualcuno. È vero, quindi chiudo evocando “il senno del prima”: era il 1985 quando San Giovanni Paolo II visitò un Venezuela che oggi ci appare molto lontano, ma nel quale egli già vide i germi dei problemi che lo stanno distruggendo.
(Discorso al corpo diplomatico nella Nunziatura, Caracas, 27 gennaio 1985)
«La Chiesa si mette dalla parte dell’uomo e della sua dignità. Per secoli, in questo continente della speranza, essa ha levato la sua voce in difesa dei diritti della persona, specialmente dei più deboli e bisognosi. Nel suo impegno per promuovere, nei limiti delle sue possibilità, il progresso morale e materiale degli uomini e dei popoli, essa è consapevole di aver a che fare con un’opera che richiede una volontà costante e rinnovata di perfezionamento. E in quest’opera essa si fa sostenitrice dei mezzi della persuasione interiore, del ricorso alle forze morali. Voi ben sapete, signore e signori, che la pace e il progresso morale e materiale sono elementi imprescindibili per la vita giusta e ordinata delle nazioni. E conoscete gli impegni che ciò implica.»
(Incontro con i giovani allo Stadio Olimpico, Caracas, 28 gennaio 1985)
«L’impegno nel campo sociale è un altro settore che richiede totale dedizione, come pastori e come Chiesa, nella vostra nazione. Il vostro Paese possiede abbondanti ricchezze, e questo non impedisce che vi siano ampi strati sociali soggetti alla povertà e perfino alla miseria estrema. So che giustamente vi preoccupa questa situazione precaria di tanti venezuelani, che denunzia una cattiva distribuzione delle risorse della società e della loro proficua utilizzazione.
È vero che la Chiesa ha la sua propria e specifica missione nel compito dell’educazione alla fede e della salvezza in Cristo redentore. Questo non deve essere dimenticato mai, né può essere relegato a un posto secondario. Tuttavia è anche vero che Cristo vuole la dignità di ogni uomo e di tutto l’uomo. Perciò la Chiesa, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli – soprattutto questi ultimi che hanno come compito specifico quello di trasformare il mondo dal di dentro, alla luce della fede – debbono collaborare per quanto è possibile a questa dignificazione ed elevazione dell’uomo, per renderlo più umano, più sviluppato e più aperto al Dio della trascendenza.
Vi esorto, perciò, a diffondere sempre più l’insegnamento sociale della Chiesa fra i vostri sacerdoti, seminaristi, religiosi e fedeli. Cercate tutte le strade possibili. E questo contribuisca ad una maggiore elevazione morale e materiale dei bisognosi. Predicate anche senza stancarvi le esigenze sociali del cristianesimo, e favorite tutte le forme di avvicinamento e di aiuto – purché con criteri e finalità evangeliche, secondo le indicazioni della Chiesa – ai più bisognosi dei vostri fedeli, all’uomo venezuelano che soffre.»
Valter Maccantelli