Di Valter Maccantelli
Gli attentati che nelle prime ore del giorno hanno colpito Teheran ci dicono che qualcosa di “epocale” sta avvenendo in Medio Oriente. Secondo le informazioni pervenute due gruppi di terroristi armati sono entrati rispettivamente nel parlamento e nel mausoleo di Khomeini. Si parla di numerosi morti e, inizialmente, di alcuni ostaggi. Fonti governative hanno comunicato nel pomeriggio di aver ripreso il controllo di entrambi i siti e sventato un terzo attacco.
L’azione è stata rivendicata dall’ISIS/Daesh, con un tempismo che ha lasciato dubbioso qualche commentatore ma che si poterebbe spiegare con la vicinanza del teatro operativo rispetto ai centri di comando del sedicente Stato Islamico. Per contro, sembrano poco convincenti i sospetti che qualcuno ha cercato di orientare verso i Mujahedin del Popolo, un movimento di ispirazione islamo-marxista, molto attivo nell’apposizione al regime degli ayatollah. È difficile che un gruppo politico iraniano, anche se di opposizione, attacchi uno dei simboli più condivisi del paese come il mausoleo di Khomeini.
L’avversione ideologica del sedicente califfato nei confronti del mondo sciita è fatto noto. Abu Musab al-Zarqawi, considerato il fondatore remoto di ISIS, ruppe con al-Qaida, di cui era referente per Siria e Iraq, su alcuni punti tra i quali spiccava proprio l’atteggiamento verso gli sciiti. Mentre al-Zarqawi voleva considerarli alla stregua di infedeli e quindi riteneva doveroso ucciderli durante le sue incursioni, Bin Laden riteneva si dovesse adottare un atteggiamento meno violento, anche per non inimicarsi le popolazioni di Iraq e Iran. Il dilemma sul come comportarsi quando si prendeva un villaggio dove si trovavano sciiti si è ripresentato nelle terre del Siraq e la soluzione adottata è stata spesso lo sterminio.
Allo stesso tempo l’Iran è stato ed è uno degli attori meno citati ma più presenti nella guerra contro l’ISIS/Daesh, l’unico che abbia messo per davvero le scarpe sul terreno sin dal 2014. Gli obiettivi che si prefigge sono molteplici: difendere il regime di Assad, uno dei pochi alleati che Teheran ha in Medio Oriente; contrastare l’influenza saudita che è molto presente nella resistenza anti-governativa siriana; impedire la diffusione verso est – cioè verso il confine iraniano – dell’ultra-fondamentalismo sunnita; presentarsi come il difensore della maggioranza sciita in Iraq per assumere un ruolo egemone in caso di una spaccatura del paese. Direttamente, o tramite la controllata Hezbollah, l’Iran ha lasciato sul campo centinaia di morti tra i quali un generale, cosa non comune nelle guerre contemporanee.
Nonostante questa antica inimicizia, se dovesse risultare confermata la matrice ISIS/Daesh si potrebbe parlare di una novità assoluta. Nessuna delle due organizzazioni terroristiche che si contendono la leadership dell’ultra-fondamentalismo islamico, ISIS/Daesh e al-Qaida, aveva mai compiuto un attentato significativo sul territorio della Repubblica Islamica. Il parlamento e più ancora la tomba del fondatore sono obiettivi di primissimo livello e indicano un’aperta volontà di sfida nei confronti dello Stato iraniano in quanto tale. Non solo un fatto nuovo, ma anche un cambio di strategia importante: nelle ultime settimane gli analisti hanno notato un netto aumento di interesse delle strutture propagandistiche del “califfo” verso l’Iran con proclami, annunci e pubblicazioni in lingua farsi.
Verosimilmente l’Iran incrementerà la propria presenza militare nel Siraq e questo potrebbe produrre la contro-mossa dei sauditi, ipersensibili sul punto e già impegnati nel confronto a distanza con Teheran sul ruolo del Qatar nel Golfo Persico.
Sarà interessante vedere l’atteggiamento degli USA nelle prossime ore: anche le condoglianze sono strumenti della guerra asimmetrica. Una dichiarazione di cordoglio da parte della Casa Bianca potrebbe rappresentare una specie di “cessate il fuoco” nello scontro per recedere dall’accordo sul nucleare appena raggiunto. Un silenzio o, peggio, una polemica su esecutori e moventi degli attentati, significherebbe che la scelta di Trump è irreversibile. Certamente non mancherà, per contrasto, la partecipata vicinanza di Putin.