di Michele Brambilla
Papa Francesco cerca «pastori con l’odore delle pecore», ma non esita egli stesso a chinarsi sul gregge, rompendo persino alcune consuetudini, affinché il gregge si possa maggiormente avvicinare al Signore.
È così che stabilisce, per la prima volta dal beato Paolo VI (1897-1978), che concordò la modifica con lo Stato italiano nel 1977, di tornare a celebrare la Cappella papale ‒ la Messa presieduta dal Pontefice ‒ del Corpus Domini non il giorno proprio, ovvero il giovedì dopo la solennità della Santissima Trinità, ma la seconda domenica dopo Pentecoste, così come accade in quei Paesi, Italia in primis, nei quali la ricorrenza non è più festa anche civile.
Non è una sconfessione di Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005), che, in forza dell’extraterritorialità della basilica di san Giovanni in Laterano, in cui avviene la statio del giorno, si era riallineato, per la sola processione papale, al computo tradizionale, bensì un gesto interpretabile come un esercizio di sinodalità all’interno della Chiesa italiana: il Primus inter pares che mostra concretamente la propria consonanza con gli altri vescovi italiani.
Nell’omelia, Francesco ha utilizzato la categoria ebraica di “memoriale”, che ri-presenta nell’oggi tutta la virtù dell’evento originario, per esortare i credenti a fare sempre memoria di Gesù nella vita quotidiana. Lo spunto viene dalla prima lettura della Messa, tratta dal Deuteronomio: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere […]. Non dimenticare il Signore, […] che nel deserto ti ha nutrito di manna» (cfr. Dt 8,2.14.16)», che così il Papa spiega: «Nel ricordo di quanto il Signore ha fatto per noi si fonda la nostra personale storia di salvezza. Ricordare è essenziale per la fede, come l’acqua per una pianta: come non può restare in vita e dare frutto una pianta senza acqua, così la fede se non si disseta alla memoria di quanto il Signore ha fatto per noi», che si ritrova perfettamente nel Sacramenti.
La memoria come la intende la Scrittura interpella direttamente la «[…] frenesia in cui siamo immersi, tante persone e tanti fatti sembrano scivolarci addosso». Già nelle parole rivolte ai fedeli dopo l’Angelus, parlando del difficile tema dell’accoglienza dei profughi, il Pontefice ha chiesto uno sguardo concreto su «[…] donne, uomini, bambini in fuga da conflitti, violenze e persecuzioni» . Non è solo l’ennesimo invito all’accoglienza di chi ha davvero bisogno, ma è un modo per dire che ogni uomo e ogni donna sono sotto lo sguardo di Dio e, pertanto, richiedono l’attenzione misericordiosa dei fratelli.
Come ribadisce nell’omelia, «l’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo». La fede nel Gesù eucaristico ha quindi un chiaro risvolto sociale, di comunione “orizzontale”: «Questo Pane di unità ci guarisca dall’ambizione di prevalere sugli altri, dall’ingordigia di accaparrare per sé, dal fomentare dissensi e spargere critiche; susciti la gioia (lui dice: gloria) di amarci senza rivalità, invidie e chiacchiere maldicenti».
Il Corpus Domini permette quindi di ringraziare il Signore per un sacramento che «[…] forma di noi un solo corpo e ci conduce all’unità». I vessilli delle confraternite, lungo il percorso tradizionale dalla basilica di San Giovanni in Laterano alla basilica di santa Maria Maggiore, rendono plasticamente l’armonia dell’unità nella pluriformità dell’unica Chiesa Cattolica a cui il Papa richiama.