di Michele Canali
«La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo». Era il 19 marzo 2013 e Papa Francesco celebrava la prima Messa da Pontefice. Nell’omelia tracciava con chiarezza quelli che sarebbero stati i punti focali del suo magistero: parlare a tutti partendo da San Francesco e dal creato.
Le sue parole sembrano riecheggiare quando ci si mette davanti all’opera dell’artista veneziano Giovanni Bellini (1433-1516), noto come il Giambellino. Tra il 1480 e il 1485 egli mise mani, corpo e anima alla realizzazione del San Francesco nel deserto, forse una delle opere del Quattrocento più attuali.
Al primo impatto, emerge con prepotenza che la protagonista del dipinto è la natura, con la sua bellezza e la sua maestosità, e che il soggetto, san Francesco, appare relegato in secondo piano. È chiaro l’intento del Bellini: rompere con l’iconografia classica del periodo, in cui la figura umana è dominante e totalizzante per mettere invece l’uomo in relazione con il creato. Il santo d’Assisi, infatti, si confonde con l’ambiente circostante e la natura è descritta con minuziosità in tutta la sua varietà e la sua ricchezza. L’evidente naturalismo, che il Giambellino apprende dai pittori fiamminghi presenti a Venezia, emerge con forza negli elementi vegetali e animali: la solidità delle rocce e il brioso uso del verde sono un esempio che vale per tutto.
Ma la natura del quadro non si ferma a questo e nelle mani dell’autore diventa creato, cioè espressione di un Creatore tanto ordinatore quanto amorevole. Piena di simboli, immagini e segni, la natura non è solo il luogo della bellezza, ma anche della verità: l’albero di alloro, lo scolo di acqua sono tutti rimandi veterotestamentari, attraverso i quali Dio si manifesta. San Francesco, immerso in essa, riceve il dono spirituale più alto, le stimmate, mentre è tutto proteso verso il Cielo, quasi incurante del mondo circostante.
Il pittore fa cioè parlare Dio attraverso il mondo e l’ambiente più che attraverso le opere, e le parole del santo, e pure le stimmate, vengono impresse nelle mani da una luce naturale, non da un Serafino. Giambellino si appella del resto al creato in un momento delicato per la storia di Venezia in cui il pericolo saraceno si è fatto più stringente e vicino. Pochi anni prima, nel 1453, l’impero d’Oriente era caduto e da allora la città più esposta agli scombussolamenti provenienti da est era la Serenissima. La repubblica, infatti, viene costretta a cambiare politica, voltando le spalle all’Adriatico e così, per la prima volta nella propria storia, onde mantenere alto il prestigio, s’interessa alle città dell’entroterra. Un momento delicato: di transizione e anche di smarrimento.
La natura diventa allora il rifugio consolante ai drammi dell’attualità perché parla di Dio e del Suo progetto di amore sulla storia e sul mondo. Un progetto che non si limita a enunciare il principio della verità, ma che attrae l’uomo con l’incanto della bellezza. Verità e bellezza vanno a braccetto poiché solo così l’autore riesce ad aprire un ponte verso i nemici di sempre, i temibili saraceni. Sembra davvero di riascoltare il caloroso appello di Papa Francesco nell’Udienza Giubilare del 22 ottobre del 2016: «pensiamo al grande dono del creato e alla responsabilità che tutti abbiamo di salvaguardare la nostra casa comune: il dialogo su un tema centrale è un’esigenza ineludibile» . L’attualità del San Francesco nel deserto del Bellini è questa: in un periodo storico in cui domina l’incertezza e pesa il terrore di un possibile conflitto epocale, l’uomo si riscopre umile figlio del Sommo Creatore ritrovando l’incanto della vita nella bellezza e nella Misericordia di Dio.
Oggi la natura è strumentalizzata e divinizzata da ingannevoli ideologie ecologistiche che la riducono a semplice ingranaggio scientifico per alimentare conflitto e divisioni. Il “San Francesco” del Giambellino, invece, non è affatto il prototipo del moderno pagano che divinizza il Cosmo, ma l’uomo di Dio che, immerso nella natura, riceve il creato come immenso dono del Signore, facendosi ponte per trasmettere la verità.