« Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. Udito questo, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici . Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” » (Mt 9,9-13).
Le chiamate di Gesù ci possono apparire come delle improvvisate e le risposte come decisioni avventate e imprudenti. Dobbiamo però riflettere che i Vangeli ci propongono una narrazione essenziale che salta tanti passaggi che possono però essere intuiti senza troppa difficoltà. Il pubblicano Levi (chiamato “Matteo”: Lc 6,15; Mt 9,9) conosceva già Gesù da parecchio tempo e probabilmente aveva avuto modo di conoscerlo e di parlare con lui ad uno di quei pranzi a cui Gesù partecipava volentieri in compagnia di pubblicani e peccatori. Anche la chiamata (e la risposta) di Giovanni, Giacomo, Andrea e Pietro ci possono apparire incaute e impulsive (Mt 4,18-22) se non si tiene conto di quanto raccontato dallo stesso Giovanni sul loro primo ed intenso incontro (Gv 1,35-42), a cui fecero seguito certamente molti altri. La chiamata di Gesù, chiara ed esplicita, evidente e perentoria viene a concludere un cammino di riflessione e a risolvere con un taglio netto il groviglio di dubbi e di paure che si erano accumulati. Poniamoci davanti agli occhi il capolavoro del Caravaggio, la “Chiamata di Matteo” (1600, conservato a Roma in san Luigi dei Francesi). Gesù entra in un locale, dipinto dal Caravaggio come un’osteria del suo tempo, ed indica con decisione Matteo. Chi è Matteo? Perché al tavolo ci sono parecchie persone. È il vecchio che indica sé stesso stupito, come se dicesse: ma sei proprio sicuro? Oppure il giovane che, a capo tavola, non alza nemmeno lo sguardo, intento com’è a contare i suoi soldi. Potrebbero anche essere tutti e due… Uno esprime lo stupore e l’incredulità davanti ad una chiamata così impegnativa, l’altro la fatica della separazione che questa implica dalle cose a lui tanto care. Non guardiamo però la scena con distacco… Matteo siamo noi! E non diciamo che Gesù ci ha già chiamati, oppure che la faccenda non ci riguarda. No. Il Signore ci chiama adesso, in questo preciso momento. Non cediamo alla tentazione dell’incredulità (il vecchio) pensando al poco che valiamo, perché il Signore non chiama chi è capace, ma rende capace chi chiama. Non cediamo alla tentazione della distrazione, fissando lo sguardo sulle cose a cui siamo tanto attaccati e che ci dispiace lasciare (il giovane)…, perché in ogni caso si avvicina il momento in cui le dovremo comunque lasciare. Fissiamo invece lo sguardo su Gesù, guardiamolo negli occhi con fiducia e diciamogli: eccomi! Questo vuol dire convertirsi.