« Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno » (Mt 13,18-23).
Può sembrare strano che un seminatore semini sulla strada, su un terreno sassoso o in mezzo ai rovi. Joachim Jeremias ha dimostrato che questa era la prassi in Palestina ai Tempi di Gesù: la semina avveniva infatti prima dell’aratura (Die Gleichnisse Jesu, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1984, 9a ed., p. 9). Questa stranezza per noi occidentali può però indurre a riflettere. Il seme è la Parola di Dio. La capacità di crescere e di dar frutto le è intrinseca: « Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata » (Is 55,10-11). La Parola è potente, però deve essere accolta. Questo “però” non deve essere inteso come una condizione, perché l’efficacia della Parola è incondizionata, ma come una sua necessità intrinseca. Parlare indica una relazione. Se parlo ad un muro non c’è relazione e quindi non c’è neppure parola. Se uno ascolta e non comprende, cioè non trattiene la parola in sé, non c’è relazione, non c’è ascolto vero. Perché uno non la “trattiene”? Spesso perché non la capisce. Trattiene sono ciò che capisce e dunque non trattiene la Parola di Dio che non capisce. Non c’è una relazione di fede, che consiste proprio nell’accogliere ciò che non si capisce: « La fede è […] prova di ciò che non si vede » (Eb 11,1). Se qualcuno incomincia a trattenere ciò che non capisce con amore, allora (e solo allora) inizia a comprendere. Lo aveva già intuito Aristotele: « Bisogna infatti che creda colui che impara [δεῖ γὰρ πιστεύειν τὸν μανθάνοντα] » (Aristotele, Confutazioni sofistiche 2: 165b 3]. Lo scolaretto deve avere fiducia nel maestro, se questa fiducia manca non imparerà mai nulla!