Il PCI lancia la «rivoluzione culturale» della miseria
LA VIA “AUSTERA” AL COMUNISMO
Che il governo Andreotti godesse di «alte protezioni» era già abbondantemente fuori di dubbio. Oggi però è ormai certo. Infatti, dal 15 gennaio sappiamo che i comunisti sono ufficialmente passati dalla «astensione determinante» alla «organizzazione del consenso». E il ministro della Propaganda del governo Andreotti-Berlinguer è lo stesso on.le Berlinguer!
Constatazione diversa non si può fare dopo avere preso visione del discorso conclusivo del leader comunista all’incontro nazionale sull’Intervento della cultura per un progetto di rinnovamento della società italiana, promosso dalla sezione cultura del PCI e dall’Istituto Gramsci (1).
In tale sede, la guida del comunismo italiano e, forse, dell’eurocomunismo, dopo essersi chiesto «da che cosa è nata e nasce l’esigenza di metterci a lavorare attorno a un progetto di trasformazione della società che indichi obiettivi e traguardi che possono e debbono essere raggiunti nei prossimi tre o quattro anni», ha così risposto: «Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che occorre dare un senso e uno scopo a quella politica di austerità che è una scelta obbligata e duratura».
Dunque, il convegno promosso dai comunisti ha avuto lo scopo di invitare gli «intellettuali» a elaborare un «progetto di trasformazione della società nei prossimi tre o quattro anni (cioè quello che è stato definito un progetto “a medio termine”)», progetto la cui elaborazione è richiesta dalla austerità.
Infatti, l’on.le Berlinguer ha chiaramente enunciato la tesi secondo cui «l’austerità non è […] un mero strumento di politica congiunturale rivolto a superare difficoltà economiche transitorie», ma «è il mezzo per contrastare alla radice – e per porne le basi del superamento – un sistema che è entrato in una crisi strutturale, di fondo, e non semplicemente congiunturale».
Inoltre, dopo avere tentato di fugare non infondati timori che il progetto da elaborare sia «un programma di transizione verso una società socialista»; e dopo avere rilanciato il solito piano egemonico – sostanza del «compromesso storico» – di «delineazione di un sviluppo dell’economia e della società tali da potere raccogliere l’adesione e il consenso di quegli italiani che, pur non essendo di idee comuniste o socialiste, avvertono però acutamente la necessità di liberare se stessi e la nazione dalle ingiustizie, dalle storture», ecc., ha significativamente concluso che, per quanti sentono tale necessità, «è indispensabile operare perché nella vita economica, sociale e politica vengano introdotti almeno alcuni elementi, valori, criteri propri dell’ideale socialista».
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La perfezione della mossa comunista non sfugge certamente agli esperti del settore, ma non è forse inutile esplicitare la sostanza delle affermazioni per chi esperto non è, ma, come tutti gli italiani, è sul punto di fare una ben tragica esperienza!
1. L’austerità non è una necessità del momento, per superare una infelice congiuntura, in cui versano l’Italia, l’Europa e il mondo intero, ma è una scelta «obbligata e duratura», un mezzo per cambiare la società.
2. L’austerità, scelta «obbligata» di una congiuntura che ha visto e vede i comunisti attori e protagonisti, deve essere trasformata in strumento per distruggere alla base – «alla radice» – quella società che – aggiungiamo noi – i comunisti hanno, per dire il meno, contribuito a portare nella attuale condizione di necessitare – sempre che sia vero quanto dicono certi «esperti» – dell’austerità!
Perciò, chi cadrà vittima della manovra che passa attraverso l’austerità, porterà, faticosamente ma serenamente, sullo spiazzo prescelto, il materiale necessario per erigere a regola d’arte il patibolo su cui sarà giustiziato.
E affinché la vittima designata non abbia a sospettare nulla, non solo le viene presentato il progetto del patibolo su cui cadrà, ma le si propone di partecipare alla sua realizzazione, a un grande moto di popolo – «un vasto e continuo impegno di iniziativa e di lotta», «un progetto di trasformazione sociale discusso fra la gente, con la gente, nel popolo» -, preannunciando che la collaborazione a «questa impresa, che è per altro una necessità», «può avere una grande forza di suggestione».
Per chi sappia leggere, dunque, le dichiarazioni raccolte annunciano la decisione del PCI di promuovere una grande «rivoluzione culturale» – non solo «proletaria», ma «proletaria e borghese», cioè nazionale – che favorisca la gioiosa accettazione dei sacrifici imposti dal governo Andreotti-Berlinguer e disponga, sia pure alla lontana, cioè «a medio termine», ai maggiori sacrifici del governo Berlinguer-Andreotti, verso il quale dovremmo marciare, smunti ma felici, brandendo, invece del libretto di Mao, il testo del «progetto di trasformazione della società», alla cui elaborazione si intende «arrivare nel giro di pochi mesi»!
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Vessati da un socialismo sempre più opprimente e soffocante – come definire, se non socialista, uno Stato che assorbe quasi la metà del reddito nazionale? -, siamo invitati a marciare lieti verso il comunismo, cioè verso la perfezione dell’oppressione e del soffocamento, cui vorremmo sottrarci. All’orizzonte si profila il «digiuno civico», e la parola d’ordine è «nudi alla meta»!
In queste condizioni, piuttosto che favorire l’introduzione di «almeno alcuni elementi, valori, criteri propri dell’ideale socialista», di cui la nostra società è già fradicia, come non auspicare e non promuovere un risveglio del corpo sociale, che individui proprio nel socialismo la tomba della vita economica, e quindi la causa della crisi strutturale, e dunque la ragione, «sotto la pelle della storia», della necessità congiunturale dell’austerità?
La lotta per una accettabile «qualità della vita» è ormai chiaramente e certamente lotta contro il socialcomunismo. Anche limitandosi soltanto alla considerazione della vita economica.
Volendo, infatti, fare cenno anche ad altri elementi della esistenza umana, che non siano economici e che non dipendano neppure dalla economia, come negare l’influenza socialcomunista nell’opera di inquinamento ideologico del mondo della scuola, in tutti i suoi ordini, nessuno escluso; in quello della informazione, giornalistica e televisiva; in quello della cultura in senso proprio, direttamente chiamato in causa dal convegno in questione?
Come trascurare, poi, l’influenza socialcomunista nella nascita e nella crescita di tanti elementi di turbamento negli stessi ambienti ecclesiastici?
Tutto questo considerato, la conclusione precedente si impone a pieno titolo da tutti i punti di vista, e richiede quindi la massima attenzione da parte di quanti non hanno già deciso di arrendersi.
Note
(1) Cfr. l’Unità, 16-1-1977. Tutte le citazioni sono tratta da questa fonte.