Mons. Antonio De Castro Mayer, Cristianità n. 22 (1977)
La pubblicazione del Breve esame critico del «Novus Ordo Missae» (cfr. Cristianità, Piacenza settembre-dicembre 1976, anno IV, n. 19-20) e della nota Presenza di Lutero nella «Chiesa conciliare» (cfr. Cristianità, Piacenza gennaio 1977, anno V, n. 21), ha suscitato giusto interesse per la dottrina cattolica tradizionale sulla Messa e sul sacerdozio. Per soddisfarlo, diamo di seguito la traduzione della Carta pastoral sôbre o Santo Sacrifício da Missa, di S. E. Rev.ma mons. Antonio de Castro Mayer, del 12-9-1969, comparsa in Catolicismo, Campos novembre 1969, anno XIX, n. 227.
Secondo gli insegnamenti immortali del Concilio di Trento
IL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA
MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA
VESCOVO DIOCESANO DI CAMPOS
Al rev.mo clero secolare e regolare, agli istituti religiosi femminili, al venerabile Terz’ordine carmelitano, alle associazioni religiose e a tutti i fedeli della diocesi salute, pace e benedizioni in Nostro Signore Gesù Cristo.
Amati figli e zelanti collaboratori,
«Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia» (1).
Con queste parole dell’inno di ringraziamento proclamiamo la missione della Chiesa: confessare, in ogni luogo, la santissima Trinità, manifestare, fare in modo che sia conosciuta la sovranità ineffabile e la misericordia infinita del «Signore degli eserciti» (2). Al compimento di questa missione tende tutta l’attività della Chiesa: predicazione, orazioni, buone opere, e anche la sua unità organica, la sua struttura monarchica con la sua sacra gerarchia, che governa e santifica il popolo fedele; tutto mira alla gloria del Padre celeste e alla santificazione sempre più grande degli uomini, che è il modo in cui la creatura ragionevole dà gloria all’Altissimo.
Sintesi che riassume la missione della Chiesa, e fonte da cui promana la sua energia santificatrice, è il santo Sacrificio della Messa. In esso la Chiesa adora la maestà insondabile di Dio. In esso presenta alla bontà divina il rendimento di grazie per i benefici della sua misericordia; in esso soddisfa la giustizia di Dio irritata per i peccati del mondo, e lo rende propizio al genere umano. Dalla santa Messa, infine, derivano le grazie che facilitano agli uomini la pratica della virtù e la santificazione dello stato di vita che hanno scelto, o nel quale la divina Provvidenza li ha posti.
Si comprende la ragione per cui Pio XII ha definito il Sacrificio della Messa centro della religione cristiana (3), e per cui esso è chiamato in maniera speciale il Mistero della Fede, «Mysterium Fidei». Perciò vedete, amati figli, come sia di somma importanza avere una concezione esatta della santa Messa. Diversamente, non potreste regolarvi in maniera retta nel culto divino, e disporre tutta la vostra esistenza «in lode della gloria» del Padre celeste (4), come conviene a persone santificate dal battesimo.
Quindi, compiamo un dovere pastorale nel ravvivare con voi, amati figli, la nostra fede nell’augusto Mistero dell’altare, ricordando, sinteticamente, la dottrina tradizionale al riguardo.
Tanto più urge la responsabilità del nostro ufficio, in quanto la mancanza di chiarezza su tale punto della dottrina cattolica ha impedito la crescita spirituale di molte anime, che si fissano in una pericolosa mediocrità. Inoltre, l’eresia protestante, che raggira i nostri amati figli, più o meno, da ogni parte, ha svuotato la concezione della Messa, e, attraverso una tale deformazione, ha strappato dal seno della Chiesa molte nazioni dell’Europa, e, ancora oggi, tenta di sviare i cattolici dal cammino della salvezza. D’altronde, amati figli, è cosa abituale per l’eresia insinuarsi, in mezzo ai fedeli, attraverso adulterazioni della santa Messa.
IL SACRIFICIO DELLA CROCE
Per formarsi un’idea esatta della santa Messa è indispensabile una nozione del Sacrificio della Croce.
Come sapete, amati figli, Gesù Cristo, Figlio eterno del Padre celeste, venne al mondo, assumendo una natura umana, formata nel seno purissimo di Maria Santissima, per riparare il disordine causato dal peccato dei nostri progenitori, per soddisfare la giustizia divina, irritata per la disobbedienza dell’uomo, e per ristabilire l’amicizia fra il Cielo e la terra. Una tale riparazione, soddisfazione e riconciliazione, Gesù Cristo la realizzò con il Sacrificio della Croce, nel quale si immolò a se medesimo, purificando le nostre anime con il suo sangue innocente, «affinché potessimo servire al Dio vivo» (5).
FONDAZIONE DELLA CHIESA
Tuttavia, Gesù non concluse la sua opera con l’ascensione al Cielo. Egli volle perpetuarla, e per continuare l’insegnamento delle verità della salvezza, e per applicare i frutti della sua oblazione, che realizzò pienamente e perfettamente la redenzione di tutto il genere umano, istituì la sua Chiesa. Nello stesso momento in cui si offriva per noi sulla croce, dal suo sacro costato, aperto dalla lancia formava la Chiesa, della quale tutti gli uomini devono fare parte, per conseguire la beatitudine eterna. La Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo, nel quale scorre la linfa divina che procede dal capo di questo corpo, che è Gesù Cristo stesso.
NATURA DELLA CHIESA
La Chiesa, tuttavia, non è soltanto una realtà soprannaturale, spirituale, invisibile, un mistero. Essa è anche una società di uomini uniti da vincoli esterni, così da costituire un tutto organico, come ogni società umana. Per la sua condizione di società visibile, la Chiesa è il segno innalzato in mezzo alle nazioni (6), a indicare a tutti i popoli il cammino, attraverso il quale gli uomini vengono ricondotti al loro fine ultimo nella beatitudine di Dio. La sua Chiesa, affinché compia fedelmente la sua missione, Gesù Cristo la dotò di prerogative singolari. La rese infallibile, perché non cada in errore nell’insegnamento delle verità della fede e dei precetti della morale rivelati. La costituì con una gerarchia consacrata che la governi e alla quale conferì poteri divini perché sia capace di giustificare le anime di fronte a Dio, santificandole interiormente.
IL SACRIFICIO DELLA MESSA
La Chiesa di Cristo, pertanto, non sarebbe perfetta, se fosse incapace di offrire a Dio un sacrificio condegno, corrispondente alla sua natura di Corpo Mistico del Figlio eterno del Padre celeste. Una manchevolezza tanto grande sarebbe inconcepibile nella Sposa diletta dell’unigenito di Dio. E in realtà non esiste. Infatti, come insegna il Concilio di Trento (7), Gesù Cristo ha istituito per la sua Chiesa un sacrificio visibile, come conviene alla natura degli uomini. Lo ha fatto alla vigilia della sua Passione, nella quale il suo Sangue innocente ci avrebbe riscattati dalla schiavitù del demonio. Difatti, nell’ultima Cena, si offrì come vittima all’eterno Padre, sotto le specie del pane e del vino. E ordinò ai suoi Apostoli – che in quella circostanza costituì sacerdoti – e ai loro successori, di rinnovare quello stesso sacrificio fino alle fine dei secoli. È il Sacrificio della Messa, che ripete il Sacrificio della Cena, e compie la profezia di Malachia, che annunciava un’Ostia pura, quotidianamente offerta all’Altissimo, dall’uno all’altro estremo della terra (8).
ESSENZA DEL SACRIFICIO DELLA MESSA
Il Sacrificio della Messa consiste, dunque, nell’oblazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, presenti sull’altare sotto le specie o apparenze del pane e del vino. L’essenza di questo sacrificio consiste nella consacrazione delle due specie, cioè del pane e del vino, separatamente; infatti, in questo modo la consacrazione rappresenta e misticamente ripete la morte di Gesù Cristo attuatasi nel Sacrificio della Croce. Da ciò si vede che il Sacrificio della Messa ha una relazione essenziale con il Sacrificio della Croce. Esso rappresenta e rinnova il Sacrificio della Croce, di cui applica agli uomini la virtù salutare. Senza il Sacrificio della Croce la Messa sarebbe incomprensibile. Rappresenterebbe qualche cosa di inesistente.
Pertanto, dalla sua relazione con il Sacrificio del Calvario a esso deriva la sua eccellenza e la sua efficacia. Di fatto, sostanzialmente, non vi è distinzione tra un sacrificio e l’altro. La vittima è la stessa: Gesù Cristo nella sua adorabile umanità. Anche il sacerdote che compie l’offerta è il medesimo: Gesù Cristo; sulla croce, in persona; ancora lui nella Messa, nella quale si serve però del ministero del sacerdote gerarchico, che gli presta le labbra e le mani, per rinnovare l’oblazione della Croce. La differenza consiste nel modo dell’oblazione, che avviene con spargimento di sangue sulla Croce, e in modo incruento nella Messa.
ECCELLENZA DEL SACRIFICIO DELLA MESSA
Siccome tutto il valore del sacrificio dipende dalla dignità della vittima e del sacerdote che la offre, non vi è alcun dubbio che quello della Messa è tanto infinito quanto lo fu l’oblazione della Croce. E identici sono pure gli scopi perseguiti dall’uno e dall’altro sacrificio. In primo luogo, la glorificazione del Padre celeste, corrispondente alla sua maestà infinita. In secondo luogo, il rendimento di grazie, come soltanto il Figlio di Dio può effettuarlo nei riguardi dell’Altissimo. In terzo luogo, l’espiazione, la propiziazione e la riconciliazione: nella Messa, come sulla Croce, Gesù si offre per la nostra redenzione, nostra, e di tutto il mondo, come pure «per quelli che riposano in Cristo e ci hanno preceduto nel segno della Fede e dormono il sonno della pace» (9). Infine, l’impetrazione: come sulla Croce, così pure nella Messa, Gesù viene esaudito nelle sue preghiere, «affinché siamo riempiti di ogni grazia e benedizione» (10).
LA COMUNIONE, PARTE INTEGRANTE DEL SACRIFICIO
Come in ogni sacrificio, così in quello eucaristico, l’ostia si ordina a essere consumata da parte del sacerdote e dei fedeli, atto che simboleggia l’amicizia fra Dio e gli uomini, amicizia e unione che nel Sacrificio dell’Altare non è soltanto un simbolo, ma una realtà. Di fatto, per mezzo della Comunione, si verifica una unione reale fra Dio e l’uomo, poiché nella Comunione, Gesù, l’Ostia dei nostri altari, diventa alimento delle nostre anime.
L’importanza della Comunione nella Messa è tanto grande, che molti l’hanno ritenuta essenziale al Sacrificio eucaristico. Tuttavia, il modo di esprimersi del Concilio di Trento (11) lascia intendere che la Comunione appartiene all’integrità, non all’essenza del Sacrificio dell’Altare. Integrità che si ottiene con la Comunione del celebrante, ma che non esige quella dei fedeli, benché questa sia molto raccomandabile. Pio XII, nella Mediator Dei, è più esplicito: «Si allontanano dunque dal camminò della verità coloro i quali […] asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza […]» (12). E un poco più avanti: […] il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell’Augusto Sacramento, assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, mentre ai fedeli èsoltanto da raccomandarsi vivamente» (13).
Dunque, le Messe celebrate privatamente, senza la partecipazione dei fedeli, non perdono il carattere di culto pubblico e sociale, poiché in esse il sacerdote agisce come rappresentante di Gesù Cristo, Capo del Corpo Mistico, che si offre al Padre eterno, in nome di tutta la Chiesa.
LE ERESIE CHE SFIGURANO LA MESSA
Passiamo adesso a considerare l’aspetto sociale del Sacrificio della Messa. Prima, però, è necessario che mettiamo in guardia i nostri amati figli, contro gli errori che hanno condotto i protestanti all’eresia, e che oggi, insidiosamente, si infiltrano negli ambienti cattolici, con grave pericolo per le anime. Infatti, come insegna Pio XII, la purezza della fede e della morale devono brillare come caratteristiche del culto liturgico, dal momento che la fede deve determinare la norma della preghiera, «lex credendi legem statuat supplicandi» (14).
Perciò sbagliano quanti considerano la Messa una semplice assemblea di fedeli per il culto divino, in cui si fa una semplice commemorazione della Passione e Morte di Gesù Cristo, ossia del Sacrificio una volta compiuto sul Calvario. Ugualmente cadono in eresia quanti considerano la Messa come sacrificio di lode e di rendimento di grazie, ma a essa negano qualsiasi carattere propiziatorio in favore degli uomini; o quanti fingono di ignorare la relazione essenziale che lega la Messa alla Croce, e pretendono che quella si riduca a essere un’offesa nei confronti di questa. Si allontanano ugualmente dalla dottrina cattolica quanti considerano la Messa, principalmente, un banchetto del Corpo di Cristo.
Tutte queste opinioni eretiche illanguidiscono la verità rivelata, intiepidiscono i cuori, e ostacolano la fioritura di una carità ardente, la cui viva fiamma viene alimentata dalla rinnovazione del gesto ineffabile d’amore di Gesù Cristo, che si immola per noi, dalla sua presenza reale sull’altare, e dal sereno possesso della verità.
LA MESSA, SACRIFICIO SOCIALE
Nell’intento di intensificare ancora di più la carità che promana dal Sacrificio eucaristico, consideriamo il suo aspetto sociale.
In verità, esiste una differenza tra il Sacrificio della Croce, il Sacrificio della Cena, e il Sacrificio della Messa. Sia nella Cena che sulla Croce, Gesù si offrì al Padre celeste, come vittima espiatoria, da solo. Non aveva ancora fondato la sua Chiesa. Anzi, precisamente il Sacrificio del Calvario, una volta consumato, diede origine alla Chiesa. Come insegna il Magistero gerarchico «la Chiesa una, immacolata, vergine e santa Sposa di Cristo» nacque dal sacro Costato di Gesù morto sulla Croce (15).
Allora soltanto si formò il Corpo Mistico di Cristo, realtà soprannaturale, esocietà visibile, ma la cui struttura, determinata dal suo Fondatore, si sarebbe fissata nei primi tempi del cristianesimo.
Formato il suo Corpo Mistico, Gesù non lo abbandona mai; è sempre il Capo della Chiesa. Così, nella Messa, non è più lui solo che si offre al Padre celeste, ma è la Chiesa tutta, il Capo, Gesù Cristo, e il Corpo, la sacra Gerarchia e il popolo fedele. Dunque la Messa è il Sacrificio di Gesù, come Capo della Chiesa. È perciò il Sacrificio di tutta la Chiesa.
Questa verità deve essere bene intesa, per non cadere nell’eresia protestante, che ancora oggi si diffonde, svisando il culto autentico e infettando il culto cristiano.
IL SACERDOZIO GERARCHICO E LA MESSA
Quando abbiamo detto che la Messa è il sacrificio di tutta la Chiesa, abbiamo affermato che tutti i fedeli vi devono prendere parte; non vogliamo, con ciò affermare che il Sacrificio della Messa sia opera di tutti i membri della Chiesa. Dal momento che nella società soprannaturale creata da Gesù Cristo solamente i sacerdoti sono i sacrificatori, essi solamente possono compiere il Sacrificio della Messa. «Ai soli Apostoli – dice Pio XII – ed a coloro che, dopo di essi, hanno ricevuto dai loro successori l’imposizione delle mani, è conferita la potestà sacerdotale, in virtù della quale, come rappresentano davanti al popolo loro affidato la persona di Gesù Cristo, così rappresentano il popolo davanti a Dio» (16). E in un altro passo: «l’immolazione incruenta, per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo èpresente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo, e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli» (17).
San Tommaso d’Aquino illumina questo punto con una delle sue distinzioni magistrali. All’obiezione secondo cui la Messa di un sacerdote eretico, scismatico o scomunicato è valida, nonostante sia celebrata da una persona che si trova fuori della Chiesa, e per questo stesso fatto incapace di agire in nome di essa, il Dottore Angelico risponde che il sacerdote, nella Messa, parla in nome della Chiesa, alla cui unità appartiene, nelle orazioni; ma nella consacrazione del Sacramento, parla in nome di Cristo, la cui vicarìa detiene in virtù del sacramento dell’ordine. Ora, continua il santo, il sacerdote non perde il carattere sacramentale neppure quando apostata dalla vera fede. Il suo sacrificio è valido, ma le sue orazioni non hanno l’efficacia che darebbe loro il Corpo Mistico di Cristo, qualora potesse pregare in nome della Chiesa (18).
Nonostante ciò, anche nell’atto sublime e singolare dell’oblazione sacrificale, il popolo ha la sua partecipazione, con il suo voto, con la sua approvazione, come dice Innocenzo III: «ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per VOTO dei fedeli» (19). Di conseguenza, il fatto di partecipare al Sacrificio eucaristico non conferisce ai fedeli nessun potere sacerdotale.
Pio XII dichiara che è assolutamente necessario spiegare chiaramente questo al popolo (20), perché ancora adesso serpeggiano in mezzo ai fedeli tendenze ispirate all’eresia dei protestanti, i quali, essendo ugualitari, rifiutano ogni gerarchia nella Chiesa, ed estendono a tutto il popolo il privilegio del sacerdozio. «Vi sono difatti, – dice il Papa – ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati (cfr. Concilio di Trento, Sess. XXIII, c. 4), insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell’ultima cena di fare ciò che Egli aveva fatto, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani, e, soltanto in seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico» (21).
Ci troviamo, amati figli, di fronte a un errore pernicioso, che, una volta divenuto trionfante, raderebbe al suolo tutto l’edificio della Chiesa cattolica. Per questo, conviene che insistiamo su tale punto.
IL SACERDOZIO COMUNE DEI FEDELI
Prima di tutto, spieghiamo secondo la Tradizione l’espressione di san Pietro (22), che definisce il popolo cristiano «regale sacerdotium». Lo stesso apostolo mostra che si tratta del sacerdozio che implica, da parte dei fedeli, il dovere di presentare a Dio vittime spirituali, e in primo luogo se stessi, trasformati in vittime attraverso l’imitazione di Gesù Cristo, la rinuncia all’amor proprio, la mortificazione, la pratica della virtù, ecc. (23).
San Tommaso d’Aquino dichiara che il carattere battesimale conferisce a colui che viene battezzato un’assimilazione al sacerdozio di Gesù Cristo. Questo sacerdozio comune a tutti i membri della Chiesa, dà loro la capacità di ricevere i benefici delle grazie con cui Gesù arricchì la sua Chiesa, specialmente i sacramenti, che i non battezzati non possono ricevere. In questo senso, essi acquistano la possibilità di ricevere il beneficio dei frutti del Sacrificio eucaristico, che è il Sacrificio della Chiesa. Ma hanno anche la possibilità di partecipare attivamente a questo medesimo sacrificio, dal momento che sono membri della Chiesa, e pertanto fanno parte del Corpo Mistico di Cristo, in nome del quale Gesù offre la sua oblazione sacrificale nella santa Messa. Prendono così parte al Sacrificio dell’Altare, il che è vietato a quanti si trovano al di fuori della società ecclesiastica. Così si pronuncia Pio XII su questa questione: «col lavacro del Battesimo, difatti, i cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo Sacerdote, e per mezzo del “carattere” che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino, partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo» (24). Quale sia tale modo conveniente risulterà più chiaro da quello che si dirà in seguito.
IL SACERDOTE, MEDIATORE FRA DIO E GLI UOMINI
Tutta la Tradizione ha sempre considerato il sacerdote come mediatore fra Dio e gli uomini, negli atti del culto divino. Il fondamento di tale continua tradizione si trova nella Rivelazione sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, e possiamo dire, affonda le sue radici nella stessa natura umana. Nel Vecchio Testamento, abbondano gli esempi nei quali gli uomini si dirigono a Dio per mezzo del sacerdote, e questo è il mezzo normale che adoperavano anche i re del popolo eletto, per indirizzare le loro richieste a Dio. Nel Nuovo Testamento, San Paolo è tassativo: il pontefice è separato dal popolo per essere stabilito nelle cose di Dio a beneficio del popolo. «Ex hominibus assumptus pro hominibus constituitur in his quae sunt ad Deum» (25).
La necessità di una religione sacerdotale, ossia, della mediazione del sacerdote negli atti del culto religioso, sembra essere inerente alla natura umana, dal momento che essa si trova presso tutti i popoli, anche presso i più barbari.
Pio XII si fa eco della tradizione cristiana: «[…] il sacerdozio esterno e visibile di Gesù Cristo si trasmette nella Chiesa, non in modo universale, generico e indeterminato, ma è conferito ad individui eletti con la generazione spirituale dell’ordine, uno dei sette Sacramenti, il quale non solo conferisce una grazia particolare, propria di questo stato e di questo ufficio, ma anche un “carattere” indelebile, che configura i sacri ministri a Gesù Cristo sacerdote, dimostrandoli adatti a compiere quei legittimi atti di religione con i quali gli uomini sono santificati e Dio è glorificato, secondo le esigenze dell’economia soprannaturale» (26). E più avanti: «Ai sacerdoti, dunque, deve ricorrere chiunque vuol vivere in Cristo, perché da essi riceva il conforto e l’alimento della vita spirituale, il farmaco salutare che lo sanerà e lo rinvigorirà, perché possa felicemente risorgere dalla perdizione e dalla rovina dei vizi; da essi, infine, riceverà la benedizione che consacra la famiglia, e da essi l’ultimo anelito della vita mortale sarà diretto all’ingresso nella beatitudine eterna» (27).
IL SACERDOZIO E LA SANTISSIMA EUCARISTIA
Aggiungeremo che nella Chiesa c’è una ragione speciale che giustifica l’intervento del sacerdozio gerarchico negli atti del culto divino. Essa sta nel fatto che il centro verso il quale converge il culto cattolico, e la fonte da cui promana la vitalità della Chiesa, come abbiamo detto, è la santissima Eucaristia, sacrificio che rinnova l’oblazione riparatrice del Figlio di Dio, e sacramento che lo contiene realmente e veramente come si trova in Cielo. Se nell’Antico Testamento, l’Arca dell’Alleanza, semplice figura delle realtà future, esigeva mani santificate per essere toccata, che cosa diremo della santissima Eucaristia?
A ragione san Tommaso collega il sacerdozio al Sacramento dell’Altare, in modo tale che il santo Dottore dispone i vari gradi del sacramento dell’ordine secondo la loro maggiore vicinanza al Mistero dell’Altare. Per questo medesimo fatto, la santissima Eucaristia, di norma, deve essere distribuita soltanto da mani sacerdotali (28). Il Concilio di Trento, nel medesimo ordine di idee, dichiara che il costume secondo cui i laici ricevono la santissima Eucaristia dalle mani dei sacerdoti è di tradizione apostolica e deve essere conservato (29).
La spiegazione di san Tommaso mette in evidenza che nella Messa c’è la consacrazione, che il sacerdote compie come rappresentante di Gesù Cristo, e ci sono le preci sacerdotali, specialmente quelle del canone, che recita da solo, ma come rappresentante della Chiesa, dei fedeli.
Di conseguenza, i fedeli non prendono parte al compimento dell’atto sacrificale della Messa. Esso viene compiuto soltanto dal sacerdote, che, in quel momento, rappresenta la persona di Gesù Cristo; e per diventare capace di compiere questo atto il sacerdote ha ricevuto l’unzione sacra del sacramento dell’ordine. Infatti, la Chiesa è, per istituzione divina, una società gerarchica, che non può essere concepita come le democrazie rette dal suffragio universale, in cui i governi, eletti dal popolo, sono mandatari della comunità (30).
PARAMENTI, LINGUA, CERIMONIE
Intimamente legato a questo argomento è l’uso, nel culto divino, di una lingua ermetica, cioè non volgare, come pure di vesti speciali e di riti simbolici riservati al celebrante. La ragione di tutto ciò sta nel fatto che gli atti dei culto divino devono manifestare, nei gesti e nelle parole di cui consta, l’eccellenza singolare di Dio, il mistero della sua natura perfettissima. E il fatto che esso richieda una persona consacrata, scelta in mezzo al popolo e votata esclusivamente al servizio divino; che si svolga in condizioni indicanti chiaramente che si tratta di un atto del tutto diverso da quelli propri della vita quotidiana, con lingua e abiti speciali, innalza le anime alla considerazione che Dio è l’Altissimo e che non può essere confuso con le creature, per quanto elevate esse siano.
E non si dica che l’Incarnazione del Verbo ha avvicinato l’uomo alla divinità. È evidente che l’Incarnazione dimostra la bontà misteriosa e ineffabile di Dio, che, in questo modo, ha quasi associato la natura umana alla sua vita trinitaria. Non si pensi, tuttavia, che una tale misericordia abbia diminuito la maestà infinita di Dio, o abbia dispensato gli uomini dal riconoscimento della sovranità assoluta, che l’Altissimo mantiene su tutte le creature, come pure del mistero che avvolge la sua natura, e che gli uomini riconoscono nei loro atti di culto.
La Chiesa ha riconosciuto la giustezza di queste considerazioni, che si fondano sull’ordine naturale delle cose e si mostrano veritiere perfino nei culti superstiziosi, fino dai tempi apostolici. È quanto dichiara il Concilio Tridentino, nel conservare i riti, le cerimonie e i paramenti in uso nella celebrazione della santa Messa; come pure nel proibire la lingua volgare nel Sacrificio eucaristico (31). Con identico pensiero, il Concilio Vaticano II ordina che i sacerdoti in cura d’anime guidino il popolo a rispondere e a pronunciare in latino le parti dell’ordinario della Messa che a esso compete (32).
DEMITIZZAZIONE
Non è necessaria, amati figli, una lunga argomentazione per dimostrare come la tendenza mirante a spogliare la santa Messa di tutto quanto risveglia il concetto di gerarchia, di sacralità e di mistero, serva al movimento della demitizzazione. Quest’ultima eresia, ispirandosi non soltanto al protestantesimo, ma anche al progressismo, «versione» comunista della dottrina cattolica, mira a desacralizzare la religione, riducendola a una realtà profana e volgare, senza che nulla possa risvegliare nell’uomo il ricordo di un Signore e Legislatore supremo, al quale deve completa sottomissione, ubbidienza e servizio, e che ha stabilito una gerarchia per il governo spirituale degli uomini.
PARTECIPAZIONE DEI FEDELI
Avendo saldamente fondata la funzione del sacerdote nel Sacrificio dell’Altare, possiamo, senza timore, trattare della partecipazione dei fedeli al sacrificio medesimo. Infatti, senza cadere negli errori sopra enunciati, dovete, amati figli, considerare elemento essenziale della vostra vita la partecipazione attiva al santo Sacrificio della Messa. Dal momento che questo è l’atto centrale del culto divino e che noi siamo, in qualità di servi, votati al servizio del Dio Altissimo, non rimane dubbio alcuno che la Messa deve occupare il centro di tutta la nostra esistenza.
Tuttavia non vogliate, amati figli, equipararvi al sacerdote, che nella Chiesa è vostro superiore, e che «perciò va all’altare come ministro del Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo» (33).
Nelle parole di Innocenzo III abbiamo la norma della partecipazione attiva dei fedeli al Sacrificio dell’Altare: ciò che compiono particolarmente i sacerdoti, deve farlo universalmente il popolo in voto; e nello stesso atto sacrificale, cioè nella consacrazione, la partecipazione del popolo fedele non può andare al di là del voto, ossia dell’approvazione interna, dell’unione dei propri sentimenti a quelli del sacerdote celebrante e a quelli dello stesso Gesù Cristo, che viene immolato sull’altare.
D’altra parte, in tutta la Messa, l’elemento essenziale della partecipazione del fedele consiste nell’unire i propri sentimenti di adorazione, ringraziamento, espiazione e impetrazione a quelli che ebbe Gesù Cristo nel morire per noi, e che devono animare il sacerdote che offre il Sacrificio della Messa. Questa unione del culto interno, che si esteriorizza negli atti esterni, rende fruttuosa la partecipazione del fedele alla santa Messa. Limitare la partecipazione del fedele al santo Sacrificio dell’Eucaristia a seguire i gesti e a ripetere le parole che vengono dette sull’altare, Pio XII lo considera «un formalismo senza fondamento e senza contenuto» (34).
Come vedremo, la pietà eucaristica del fedele dipende dalla retta comprensione di questo punto e non fa meraviglia che Pio XII gli attribuisca la massima importanza. Infatti egli si dilunga nel sottolineare che il culto, quantunque sia anche esterno, come esige la natura visibile della Chiesa, è soprattutto interno, oppure, in altre parole, che il suo elemento principale è quello interno. Inoltre, quello esterno deve simultaneamente manifestare ed eccitare i sentimenti interni dell’anima. Deve procedere dall’amore di Dio e deve contribuire ad aumentare l’unione con Dio.
Già nel Vecchio Testamento, Dio rigetta i sacrifici puramente esteriori: non soltanto quelli in cui le vittime, essendo impure, erano indegne dell’altare del Signore (35), ma anche quelli in cui si immolavano animali puri e senza macchia, come dice Isaia (36). E nel Nuovo Testamento il divino Maestro condanna in modo generale quelli che onorano il Signore con le labbra e mantengono il cuore lontano da lui (37).
Commentando le parole del Signore, Pio XII dice: «[…] il Divino Maestro stima indegni del sacro tempio ed espelle coloro i quali credono di onorare Dio soltanto col suono di ben costrutte parole e con pose teatrali, e son persuasi di poter benissimo provvedere alla loro eterna salute senza sradicare dall’anima i vizi inveterati» (38).
IMPORTANZA DEL CULTO INTERNO
È tanto necessario che il fedele si renda conto di una tale verità, che Pio XII torna parecchie volte a insistere sull’affermazione secondo cui i fedeli, partecipando alla Messa, devono alimentare in sé i medesimi sentimenti dai quali è posseduto il sacerdote celebrante, e più ancora, lo stesso Gesù Cristo che si offre all’eterno Padre, quale vittima espiatoria per i nostri peccati.
Due passi del Santo Padre riassumono il suo pensiero. Il Papa dice che, affinché l’oblazione del Sacrificio eucaristico consegua nei fedeli la sua piena efficacia, «è necessario […] che essi immolino se stessi come vittima» (39). In che cosa consista questa immolazione, il Papa lo spiega in un altro passo della medesima enciclica: i fedeli considerino un sommo onore partecipare al Sacrificio eucaristico in modo tale «da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l’Apostolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil. 2, 5) […]; ora il detto dell’Apostolo […] esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cioè, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, oltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati. Esige in una parola, la nostra mistica morte in croce col Cristo, in modo da poter dire con Paolo: “sono confitto con Cristo in Croce” (Gal. 2, 19)» (40).
Essendo quindi i sentimenti interiori l’elemento essenziale della nostra partecipazione attiva al Sacrificio della santa Messa, è logico che è buona ogni partecipazione esterna, soltanto se ci conduce a quella partecipazione intima, essenziale. Lo insegna ancora Pio XII nella sua memorabile enciclica sulla liturgia: «le maniere di partecipare al Sacrificio sono da lodare e da consigliare […] quando sono ordinate soprattutto ad alimentare e fomentare la pietà dei cristiani e la loro intima unione con Cristo e col suo ministro visibile, ed a stimolare quei sentimenti e quelle disposizioni interiori con le quali è necessario che la nostra anima si configuri al Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento» (41).
Di conseguenza, a causa della finalità essenziale che hanno i diversi modi di partecipare alla santa Messa, si deve concludere che i sacerdoti non possono essere esclusivisti nel determinare una sola di esse, proibendo le altre. Lo osserva ancora Pio XII, con grande prudenza e grande zelo (42). Il Santo Padre non fa altro che sottolineare una verità di ordine universale, valida per tutti i tempi. Infatti, qual è la finalità del sacrificio, se non quella di manifestare all’esterno gli interni sentimenti di adorazione, di ringraziamento, e, tenuto conto del peccato, di espiazione e di impetrazione di favori? Se le cose stanno così, per la loro stessa natura non si comprende una vera partecipazione al sacrificio, che non includa tutti questi sentimenti e non si comprende un modo di partecipare all’oblazione sacrificale che non miri a suscitare e a rendere più vivi tali sentimenti. Per questa ragione Pio XII non vuole che siamo esclusivisti nel determinare il modo in cui i fedeli dovranno partecipare al Sacrificio eucaristico e dice che non «tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L’ingegno, il carattere e l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime, non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli» (43).
Come si vede, ed è cosa naturale, il Papa richiede una ampia libertà, quella che desideriamo per la nostra diocesi, allo scopo di non coartare l’anima di nessuno e di facilitare a tutte l’unione più intima con la vittima dei nostri altari, Gesù Cristo, Figlio di Dio morto sulla Croce per la nostra redenzione.
Con la medesima finalità, per l’appagamento e il profitto spirituale dei fedeli, insistiamo che si osservi, almeno in alcune Messe dei giorni di precetto, l’ordine del Concilio di Trento di dire il canone «submissa voce» (44). Il silenzio, infatti, favorisce la meditazione, e Pio XII pone la meditazione sui misteri del Salvatore, tra i modi consigliabili di partecipare alla santa Messa (45). D’altra parte, soprattutto nel dinamismo della vita frenetica del nostro tempo, c’è molta gente che non dispone di alcun altro momento per dedicarsi all’orazione mentale. E senza meditazione è impossibile assimilare l’immagine del Verbo Incarnato, in modo da renderci vittime gradite al Padre celeste.
IL PERICOLO DEL LITURGISMO
Completiamo questi avvertimenti, enumerando le aberrazioni che un falso liturgismo ha diffuso in mezzo ai fedeli, rendendo di conseguenza urgente la necessità di dedicarci, con il nostro sforzo e con l’aiuto della grazia, dell’ascesi e delle preghiere individuali, ad assimilare, attraverso la pratica delle virtù, gli esempi e la vita del nostro divino Maestro. «Alcuni, difatti, riprovano del tutto le Messe che si celebrano in privato e senza l’assistenza del popolo, quasi che deviino dalla forma primitiva del sacrificio; né manca chi afferma che i sacerdoti non possono offrire la vittima divina nello stesso tempo su parecchi altari, perché in questo modo dissociano la comunità e ne mettono in pericolo l’unità: così non mancano di quelli che arrivano fino al punto di credere necessaria la conferma e la ratifica del Sacrificio da parte del popolo perché possa avere la sua forza ed efficacia. (46). Ricordiamo a questo proposito che il Concilio Vaticano II, estendendo i casi di concelebrazione, non ha obbligato, all’infuori del Venerdì Santo, tutti i sacerdoti che volessero celebrare, a prendere parte alla concelebrazione medesima, ma ha fatto salvo il diritto di ogni sacerdote a celebrare privatamente, e non nella medesima ora e nella medesima chiesa (47).
PIETÀ LITURGICA E PIETÀ INDIVIDUALE
Insieme agli errori citati, notiamo negli ambienti cattolici una tendenza a ritenere la pietà liturgica, e soprattutto la santa Messa, di un’efficacia tale da dispensare dagli atti di pietà individuale, quali i tradizionali esercizi ascetici di purificazione dell’anima e di crescita nell’imitazione di Gesù Cristo. Non vi è nulla di più pericoloso. Lo sforzo personale, coadiuvato dalla grazia che Dio non nega a nessuno, è necessario «al conseguimento della propria santificazione, frutto del sangue immacolato dell’Agnello […]» (48).
Non c’è dubbio che la santa Messa e la santissima Eucaristia, come gli altri sacramenti, ha un suo proprio valore, in virtù dei meriti di Gesù Cristo e, inoltre, anche il valore oggettivo di preghiere della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. In tal senso, tanto il Sacrificio della Messa, come i sacramenti, sono indispensabili alla salvezza (benché non tutti i sacramenti siano necessari a ogni singolo individuo). La santa Messa fu istituita anche per applicare i meriti del Sacrificio redentore del Calvario. E nessuno deve sminuire il valore e l’eccellenza di questi mezzi indispensabili alla salvezza. Ma nessuno di essi dispensa dalla collaborazione e dallo sforzo dell’uomo. È nota la frase di sant’Agostino: «Dio, che ti creò senza di te, non ti salva senza la tua collaborazione – Deus qui creavit te sine te, non salvabit te sine te».
Infatti siamo membra della Chiesa, e della Chiesa viviamo; ma siamo membra vive, dotate di personalità, di ragione e di volontà proprie, e di conseguenza responsabili dei nostri atti. Questo significa che la Redenzione, di per sé indipendente dalla nostra volontà, postula la collaborazione e l’intimo sforzo della nostra anima, per essere a noi fruttuosamente applicata. Ripetiamo quello che già altrove abbiamo detto (49). Non c’è una salvezza collettiva. O ciascuno collabora personalmente con la grazia, e la santa Messa come i sacramenti gli saranno di eccezionale aiuto; oppure non collabora e non ci sarà sacrificio o sacramento che possa santificarlo e condurlo in seno a Dio, nella beatitudine del Paradiso.
D’altronde c’è una specie di reciproca causalità fra la pietà individuale e la grazia che ci deriva dalla partecipazione alla santa Messa e dal fatto di ricevere i sacramenti. In particolare, per quanto si riferisce alla partecipazione alla santa Messa, abbiamo appena sentito il santo Padre Pio XII dichiarare che essa richiede che l’anima si unisca a Gesù Cristo Vittima, e che questa partecipazione sarà tanto più efficace, quanto più intima sarà tale unione. Ora tale unione non è possibile senza uno sforzo personale. Perciò, nell’intento di condurre i nostri amati figli a una sempre più fruttuosa partecipazione alla santa Messa, li esortiamo vivamente a non abbandonare gli esercizi di pietà tradizionalmente raccomandati dalla Chiesa, come l’esame di coscienza, la meditazione, la mortificazione, la lettura spirituale, e così pure le devozioni che ci assicurano le benedizioni di Dio e la protezione dei santi, particolarmente il rosario di Maria Santissima. Se sarete fedeli a tali esercizi e devozioni, amati figli, sarete certamente ben preparati a partecipare fruttuosamente alla santa Messa ed essa servirà a sua volta ad attirare sopra di voi grazie più intense di santificazione, cosicché la vostra vita sulla terra sarà, come deve essere, un aumento continuo di santità, con il quale vi preparerete al premio eterno nel Cielo.
LA CROCE E LA PASQUA
Sarebbe un inganno fatale prescindere dagli atti di rinuncia, di abnegazione, di mortificazione dei sensi, con il pretesto che Gesù ha già operato la nostra redenzione e che quindi a noi si confanno soltanto le gioie della Pasqua. No, amati figli. Le gioie della Pasqua, che non dobbiamo mai dimenticare, poiché alimentano la nostra speranza, non ci dispensano dalla mortificazione, dalla rinuncia e dalla imitazione di Gesù nelle persecuzioni per amore della giustizia. Siamo soltanto pellegrini, non ancora giunti al luogo del riposo, alla patria celeste; e finché siamo in pellegrinaggio, dobbiamo imitare Gesù che ha molto sofferto, per entrare, dopo la passione, con lui nella sua gloria. Non ci abbandonino mai la parola e l’esempio di san Paolo: «Castigo corpus meum, diceva l’apostolo, et in servitutem redigo, ne cum aliis praedicaverim ipse reprobus efficiar – Castigo il mio corpo, e lo riduco in schiavitù, affinché non avvenga che predichi agli altri e condanni me stesso» (50).
Il riferimento esclusivo alla Pasqua perenne dei figli di Dio, può portare a un rilassamento della vigilanza contro le tentazioni e le passioni, che ci sarà fatale.
LA COMUNIONE E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE
Dal momento che la santissima Eucaristia, Ostia del Sacrificio dell’altare, è fatta per essere alimento delle nostre anime, avviciniamoci alla Mensa del Signore con la preparazione ascetica, il combattimento contro i vizi e le cattive inclinazioni, e la pratica della virtù. Allora la Comunione è la partecipazione più intima e più utile al santo Sacrificio della Messa. Benché la Comunione durante la Messa sia indispensabile soltanto per il sacerdote celebrante, è vivamente raccomandabile che i fedeli si comunichino, quando assistono al santo Sacrificio, non solo spiritualmente, ma anche sacramentalmente. Se si abituassero a comunicarsi con tale frequenza e con le necessarie disposizioni, giungerebbero alla santificazione con certezza e in poco tempo. Se fino a oggi non vi sono pervenuti, questo deriva dal fatto che non hanno prestato tutta la dovuta attenzione alle condizioni necessarie per comunicarsi bene.
DISPOSIZIONI PER LA COMUNIONE
La prima di esse è lo stato di grazia; stato di grazia conseguito non soltanto con l’atto di contrizione perfetta, ma anche ricorrendo al tribunale della Penitenza, per mezzo dell’assoluzione sacramentale, come prescrive il Concilio di Trento (51). Per la comunione frequente, inoltre, san Pio X richiede, oltre allo stato di grazia, una volontà seria di progredire nella vita spirituale, servendosi anche del Pane eucaristico, come antidoto alle mancanze quotidiane (52).
Non pensiamo sempre a questa seconda condizione, ma sta in essa il segreto della nostra santificazione. Infatti, chi desidera seriamente progredire nella vita spirituale, incomincia riconoscendo la sua debolezza ed evitando le occasioni di peccato. D’altra parte, non è concepibile una vera contrizione dei peccati in chi non ne evita le occasioni. Non ci può essere distacco dal peccato, in chi non si distacca dalle occasioni di ricaduta e, di conseguenza, non combatte seriamente le sue inclinazioni peccaminose, il suo orgoglio, la sua sensualità, il suo amor proprio, ecc.
LA SANTISSIMA EUCARISTIA E LA CARITÀ CRISTIANA
Essendo la santissima Eucaristia il sacramento dell’amore e dell’unione soprannaturale che unisce tutti i fedeli in un solo corpo, essa accresce in modo assolutamente particolare la carità; come i chicchi di frumento si uniscono per formare un solo pane, la santissima Eucaristia unisce tutti i fedeli in un solo Corpo Mistico di Cristo (53).
Accrescere la carità non vuol dire tollerare tutti i difetti e tutti i vizi del prossimo. Proprio al contrario, la carità richiede una sapiente dosatura dell’energia e della dolcezza, allo scopo di conseguire l’autentica emendazione del prossimo.
Dobbiamo, a questo punto, sottolineare, amati figli, per la vostra edificazione spirituale, che è assai diffuso fra molti cattolici un errore grossolano, consistente nella pratica di una pseudocarità. Infatti, tali cattolici sono di una intolleranza assoluta, o quasi, quando è in gioco la loro persona. Non sanno perdonare, come comanda il grande precetto del divino Maestro, quelle offese personali da cui dobbiamo purificare la coscienza prima di avvicinarci all’altare, come ci ordina il Salvatore (54). Al contrario, sono di una benignità parimenti senza limiti, quando le offese colpiscono Nostro Signore, nella sua dottrina o nella sua morale. Conservano tutto l’odio, tutti i risentimenti, tutta l’avversione, contro i responsabili degli oltraggi che hanno ferito il loro amor proprio e la loro dignità personale. Convivono invece nella più franca amicizia con gli apostati, con quanti hanno calpestato le promesse del proprio battesimo, con gli eretici, con gli atei, con quanti insomma, non riconoscendo la vera Chiesa di Cristo, non prestano il dovuto onore alla parola di Dio. Se una simile amicizia mirasse seriamente alla conversione di coloro che si trovano sulle vie della condanna eterna, o fosse ordinata alla necessaria convivenza sociale, potrebbe ancora giustificarsi, purché si mantenesse nei limiti segnati da tali fini. Purtroppo, amati figli, non è quanto succede. L’amicizia viene alimentata per motivi di ordine naturale, e ciò a cui meno si pensa è il bene dell’anima, la conversione dei fuorviati e dei nemici di Dio.
LA CARITÀ E L’ORDINE VOLUTO DA DIO.
Se, compiendo un sincero esame di coscienza, rimaniamo turbati perché, nonostante le nostre Comunioni, non abbiamo fatto progressi nella santificazione della nostra vita, soffermiamoci a considerare la parte riguardante i nostri amori e i nostri odi, e osserviamo se amiamo seriamente e ardentemente l’ordine voluto da Dio e i principi stabiliti dalla legge divina naturale e positiva; e se, di conseguenza, odiamo profondamente il disordine installato nella società dai nemici di Dio e dalle sette che, in modo chiaro o velato, perfino nel seno della Chiesa (55), organizzano la distruzione dell’opera che Dio ha instaurato nel mondo e Gesù Cristo è venuto a restaurare, e se ci comportiamo in conformità con questi amori e con questi odi.
È certamente possibile che in tale esame di coscienza scopriamo la causa dell’inutilità delle nostre Messe e delle nostre Comunioni, cioè del fatto che, nonostante le nostre Messe e le nostre Comunioni, non abbiamo fatto un passo avanti. La Messa, amati figli, è la fonte di tutta la santità; ma essa richiede, per rendere effettiva nelle anime la santità che ne deriva, una ferma adesione, serena ma profonda, agli amori e agli odi di Gesù Cristo.
Non c’è bisogno di aggiungere, amati figli, che in questi odi e in questa profonda avversione verso il male, non ha né può avere parte alcuna il più piccolo desiderio della condanna eterna di qualcuno. Il nostro odio deve essere come quello del divino Maestro, che castigava sempre con l’ardente desiderio della salvezza eterna anche dei nemici del suo santo Nome.
Imitiamo anche in questo punto la santa Chiesa di cui siamo figli, per quanto indegni. Sapete che la santa Madre Chiesa prevede pene severissime per coloro che si intestardiscono nelle loro nefaste intraprese contro l’opera di Dio.
Nonostante ciò, anche quando commina tali pene, lo fa con un pensiero di salvezza. Chiaramente, essa mira in primo luogo alla preservazione dei fedeli; ma non trascura la salvezza di quegli stessi che così punisce. San Pio X, che si vide nella necessità di pronunciare la scomunica maggiore contro Loisy, il promotore del modernismo in Francia, raccomandava al vescovo del luogo in cui risiedeva quell’infelice spergiuro, che non tralasciasse di compiere tutti i possibili sforzi per il ritorno di quella pecora nera.
RINGRAZIAMENTO
Oltre alla preparazione, il ringraziamento dopo la Comunione è un mezzo efficacissimo per rendere più intensa e fruttuosa l’unione con il divino Salvatore, che ha appena preso possesso dell’anima che lo ha ricevuto. Infatti, niente assicura meglio all’anima i frutti della santa Comunione del soave colloquio dell’uomo con il suo Redentore: in esso la creatura si strugge in lodi e ringraziamenti a quel Dio la cui misericordia lo fa discendere nel tugurio miserabile del suo servo, indegno peccatore. Perché non sarebbero utili all’anima i sentimenti di umiltà, che naturalmente fioriscono considerando la bontà divina e le proprie ingratitudini? Perché non si rafforzerebbero con maggiore vigore i buoni propositi, in questo intimo colloquio in cui l’anima si trova alla presenza del suo Signore, fattosi nutrimento della sua debolezza? Per questo motivo i libri di pietà si sforzano di aiutare i fedeli a compiere il ringraziamento dopo la Comunione. E Pio XII loda «coloro i quali, ricevuto il cibo Eucaristico, anche dopo che è stata sciolta ufficialmente l’assemblea cristiana, si indugiano in intima familiarità col Divin Redentore, non solo per trattenersi dolcemente con Lui, ma anche per ringraziarlo e lodarlo, e specialmente per domandargli aiuto, affinché tolgano dalla loro anima tutto ciò che può diminuire l’efficacia dei Sacramento e facciano da parte loro tutto ciò che può favorire la presentissima azione di Gesù» (56).
Quindi raccomandiamo insistentemente ai nostri carissimi sacerdoti che non permettano ai loro collaboratori di chiudere la chiesa, subito dopo il santo Sacrificio, specialmente dopo le Messe vespertine. Devono permettere a coloro che si sono comunicati di restare nel tempio in tranquillo colloquio di ringraziamento al Signore presente nei loro cuori.
LITURGIA DELLA PAROLA
Amati figli, crediamo che le considerazioni che insieme abbiamo fatto sul santissimo Sacrificio dell’Altare servano alla nostra comune edificazione spirituale. Non chiudiamo tuttavia questa lettera pastorale, senza una parola sulla prima parte della Messa, la parte catechetica, anticamente chiamata Messa dei catecumeni. Anch’essa è di grande importanza. In questa parte veniamo istruiti attraverso la lettura della Parola di Dio e, illuminati in tale modo dalla luce della verità rivelata, ci avviciniamo meglio disposti al Sacrificio eucaristico.
L’OMELIA
L’omelia è un elemento indispensabile di questa prima parte della Messa. Infatti i fedeli, da soli, non possono cogliere tutta la sostanza contenuta nella sacra Scrittura. Il più delle volte sono incapaci di gustare completamente la dolcezza con cui lo Spirito Santo conduce le anime sui sentieri dell’amore divino; e d’altra parte, abbandonati a se stessi, possono capire male la Parola di Dio, e, in certi casi, secondo la testimonianza di san Pietro, anche naufragare nella fede (57).
L’omelia dovrà ovviare a questo pericolo e dispensare integralmente il nutrimento offerto dalla sacra Scrittura. Perciò l’omelia non può mancare in tutte le Messe in cui vi sia concorso di popolo. Inoltre, essa non deve limitarsi soltanto a una spiegazione del Vangelo. A seconda delle circostanze, il celebrante dovrà regolare il suo commento, in modo da spiegare il testo sacro letto durante la Messa, illuminare l’intelligenza con la conoscenza esatta della verità rivelata, e infiammare la volontà a meglio imitare gli esempi del divino Maestro e a osservare più fedelmente i suoi precetti.
Per tali ragioni, i sacerdoti non devono mai dimenticare le norme date dalla santa Chiesa per la retta conoscenza delle sacre Scritture. Nelle questioni relative alla fede e ai buoni costumi, esse devono essere interpretate secondo il senso che la Chiesa ha loro sempre attribuito: poiché la Chiesa è dotata di un Magistero autentico, proprio per insegnare fedelmente tutto quanto Gesù ha comandato. Inoltre, la Chiesa afferma che, nei punti relativi al dogma e alla morale, a nessuno è lecito interpretare la sacra Scrittura in modo contrario al senso che la Tradizione patristica ha in essa riconosciuto. Insomma, l’analogia della fede orienterà il sacerdote nel commento che farà al popolo della sacra Scrittura proposta nella santa Messa.
* * *
Amati Figli,
Già da tempo pensavamo di indirizzarvi una lettera pastorale sul tema che in questa abbiamo trattato. Tuttavia, siamo convinti che gli ostacoli che ne hanno ritardato la pubblicazione, anziché renderla inutile, l’hanno resa più opportuna; tante sono le insidie con cui «gruppi profetici», ostentando una falsa scienza, cercano di irretire e di perdere le vostre anime, con il pretesto di proporvi un culto divino più appropriato ai tempi moderni, che richiedono una religione demitizzata e disalienata.
Perciò, nell’esercizio della nostra carica di Padre e di Pastore delle vostre anime, vi abbiamo ricordato la dottrina della Chiesa sul santo Sacrificio della Messa e vi abbiamo dato orientamenti per attingere, a questa fonte inesauribile di ricchezze spirituali, le benedizioni e i doni che vi mantengano saldi nella fede (58), alieni dalle «novità profane» e dalla «falsa scienza» (59), e vi confortino in questa valle di lacrime, finché, in questo corpo di morte, siete in pellegrinaggio verso il Signore (60).
Queste grazie imploriamo dal Signore, nel darvi la nostra benedizione nel nome del Pa+dre e del Fi+glio e dello Spirito + Santo. Amen.
Data e pubblicata nella nostra città episcopale di Campos, col sigillo e l’impronta del nostro stemma, addì 12 settembre 1969, festa del Santissimo Nome di Maria.
ANTONIO, vescovo di Campos
Note:
(1) «Te per tutto il mondo confessa la santa Chiesa».
(2) Is. 6, 3.
(3) Cfr. PIO XII, Enciclica Mediator Dei, del 20-11-1947, in AAS, vol. XXXIX, p. 547.
(4) Cfr. Ef. 1, 12.
(5) Ebr. 9, 14; PIO XII, doc. cit., pp. 521-522.
(6) Cfr. CONCILIO VATICANO I, sess. III, c. 3.
(7) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, c
(8) Cfr. Mal. 1, 11.
(9) Messale Romano, Canone.
(10) PIO XII, doc. cit., p. 550.
(11) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, c. 6.
(12) PIO XII, doc. cit., p. 563.
(13) Ibidem.
(14) Ibid., pp. 524 e 541.
(15) Cfr. CONCILIO VIENNESE, Costituzione Fidei Catholicae (DS 901).
(16) PIO XII, doc. cit., p. 538.
(17) Ibid., p. 555.
(18) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 82, a. 7°, ad 3.
(19) INNOCENZO III, De sacro altaris Mysterio, III, 6, cit. in PIO XII, doc. cit., p. 554.
(20) Cfr. PIO XII, doc. cit., p. 553.
(21) Ibidem.
(22) Cfr. 1 Pt. 2, 9.
(23) Ibid. 2, 5.
(24) PIO XII, doc. cit., p. 555.
(25) Ebr. 5, 1.
(26) PIO XII, doc. cit., pp. 538-539.
(27) Ibidem.
(28) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, Sup., q. 37, a. 2º e 4º; q. 82, a. 3º.
(29) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XIII, c. 8.
(30) Cfr. PIO XII, doc. cit., p. 538; SAN PIO X, Enciclica Vehementer.
(31) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, c. 5 e 8.
(32) Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 54.
(33) Cfr. SAN ROBERTO BELLARMINO, De Missa II, c. 4, cit. in PIO XII, doc. cit., p. 553.
(34) PIO XII, doc. cit., p. 531.
(35) Cfr. Mal., 1.
(36) Cfr. Is. 1, 11.
(37) Cfr. Mc. 7, 6.
(38) PIO XII, doc. cit., p. 531.
(39) Ibid., p. 557.
(40) Ibid., pp. 552-553.
(41) Ibid., pp. 560-561.
(42) Ibidem.
(43) Ibidem.
(44) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, c. 9.
(45) Cfr. PIO XII, doc. cit., p. 561.
(46) Ibid., p. 556. Pio XII avvicina gli errori del liturgismo all’eresia giansenista, che fu il travestimento con cui il protestantesimo cercò di installarsi all’interno della Chiesa. Nella crisi in cui essa si trova attualmente, e date le condizioni della nostra diocesi, nella quale vi è una grande infiltrazione protestantica, ci sembra conveniente ricordare le concezioni giansenistiche riguardanti la santa Messa, affinché non giungiamo ad assorbire insensibilmente un veleno tanto sottile e perdiamo l’integrità della nostra fede. Pio XII, tra le altre proposizioni del sinodo giansenista di Pistoia condannate da Pio VI, ricorda quelle indicate con i numeri dal 31 al 34, 39, 62, 66, dal 69 al 74 (cfr. doc. cit.,. p. 546). Ci sembra che abbiano attinenza con l’argomento di questa pastorale anche quelli che sono elencati sotto i numeri 15, 28, 31, 32, 33, 66 e 67, con le rispettive note di condanna.
Proposizione 15: «La dottrina che insegna che la Chiesa “deve essere considerata come un solo corpo mistico, formato da Cristo, come capo, e dai fedeli che sono membra di lui [di Cristo] per mezzo di una unione ineffabile e attraverso la quale, in modo mirabile formiamo con lui un solo sacerdote, una sola vittima, un solo adoratore perfetto di Dio Padre in ispirito e verità”, interpretata nel senso che al corpo della Chiesa appartengono soltanto i fedeli che sono perfetti adoratori in spirito e verità: È ERETICA». Questa proposizione tratta in modo diretto dei membri della Chiesa, dalla quale esclude i peccatori. Tuttavia essa non tralascia di insinuare indirettamente l’errore protestante, che non ammette il sacerdozio gerarchico, essenzialmente distinto dal sacerdozio comune dei fedeli. Citiamo questa proposizione, perché non è raro imbattersi in chi interpreta in tal senso determinate innovazioni liturgiche.
Proposizione 28: «La dottrina dei Sinodo, secondo la quale, dopo avere stabilito “che la partecipazione alla consumazione della vittima è parte essenziale del sacrificio”, aggiunge “che, tuttavia non condanna come illecite le Messe nelle quali i presenti non si comunicano, dal momento che, essi partecipano, per quanto in modo imperfetto, alla consumazione della vittima medesima, ricevendola spiritualmente”, dal momento che insinua che manca qualcosa di essenziale al sacrificio celebrato senza che nessuno vi assista, oppure con l’assistenza di persone che non partecipino né sacramentalmente, né spiritualmente alla consumazione della vittima: come se si dovessero condannare come illecite le Messe nelle quali soltanto il sacerdote e nessun altro di quelli che vi assistono si comunichi, neppure spiritualmente: È FALSA, ERRONEA, SOSPETTA DI ERESIA, E CON SAPORE DI ERESIA». Non è necessario sottolineare la sottigliezza con cui i giansenisti, anche in questa proposizione, fanno in modo che si insinui il loro errore.
Proposizione 31: «La proposizione del Sinodo che afferma che è cosa conveniente, per il buon ordine degli uffici divini e si accorda con il costume antico che in ogni chiesa vi sia soltanto un altare e che è intento assai gradito il ritornare al costume antico: È TEMERARIA, INGIURIOSA AL COSTUME MOLTO ANTICO, PIO, VIGENTE E APPROVATO GIÀ DA MOLTI SECOLI, SPECIALMENTE NELLA CHIESA LATINA».
Proposizione 32: «La prescrizione che vieta che sopra gli altari si collochino teche con le sacre reliquie dei martiri e fiori: È TEMERARIA, INGIURIOSA AL PIO E APPROVATO COSTUME DELLA CHIESA».
Proposizione 33: «La proposizione del Sinodo, in cui esso mostra di desiderare che siano allontanate le cause per le quali sono stati tralasciati, in parte, i principi relativi alla liturgia “allo scopo di portar quest’ultima a una maggiore semplicità dei riti, celebrandola in lingua volgare e pronunciandone le parole ad alta voce”; come se il vigente ordinamento liturgico ricevuto e approvato dalla Chiesa procedesse in parte dall’avere tralasciati i principi che la dovrebbero governare: È TEMERARIA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, INGIURIOSA VERSO LA CHIESA E FAUTRICE DEGLI ATTACCHI DEGLI ERETICI CONTRO LA CHIESA».
Proposizione 66: «La proposizione che afferma “che si andrebbe contro la prassi apostolica e i desideri di Dio, se non si disponessero i mezzi più facili affinché il popolo unisca la sua voce alla voce di tutta la Chiesa”; e si intende con questo che è necessario introdurre l’uso della lingua volgare nelle preci liturgiche: È FALSA, TEMERARIA, PERTURBATRICE DELL’ORDINAMENTO PRESCRITTO PER LA CELEBRAZIONE DEI MISTERI, E FACILMENTE FAUTRICE DI MOLTI MALI».
Proposizione 67: «La dottrina che insegna che soltanto un’autentica incapacità esime dal dovere di leggere le sacre Scritture; aggiungendo che, trascurando questo precetto, si verifica naturalmente l’oscuramento delle verità elementari della religione: È FALSA, TEMERARIA, PERTURBATRICE DELLA PACE DELLE ANIME, NONCHÉ GIA CONDANNATA IN QUESNEL».
(47) Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 57.
(48) PIO XII, doc. cit., p. 522.
(49) Cfr. Carta pastoral sóbre a applicação dos documentos promulgados pelo Concílio Ecumenico Vaticano II, del 19-3-1966, in Catolicismo, nn. 185 e 186, del maggio e del giugno 1966.
(50) 1 Cor. 9, 27.
(51) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XIII, can. 11.
(52) Cfr. SAN PIO X, Decreto Sacra Tridentina Synodus, del 20-12-1905.
(53) Cfr. 1 Cor. 10, 17.
(54) Cfr. Mt. 5, 24.
(55) San Pio X, nel motu proprio Sacrorum Antistitum, dell’1-9-1910 afferma che i modernisti, dopo la condanna, si organizzarono in società segrete. Un ruolo. simile a quello di tali società segrete lo svolgono l’IDO-C e i «gruppi profetici», forniti entrambi di consistenti appoggi in tutto il mondo.
(56) PIO XII, doc. cit., pp. 567-568.
(57) Cfr. 2 Pt. 3, 16.
(58) Cfr. 1 Pt. 5, 9.
(59) 1 Tim. 6, 20.
(60) Cfr. 2 Cor. 5, 7.