In margine a un episodio di «cronaca in clergymen»
LA FURBIZIA SECONDO PADRE SORGE
A Roma, nella sede de La Civiltà Cattolica, sabato 22 gennaio si è svolta una conferenza di padre Giovanni Caprile S. J. dal titolo Equivoci e contraddizioni sul caso Lefèbvre. L’incontro è stato interrotto da manifestazioni di dissenso da parte di presenti, che sono stati aggrediti in malo modo, verbalmente e fisicamente, da altri presenti, tra cui si è distinto un padre gesuita.
L’episodio non esorbiterebbe dalla cronaca di questi nostri tempi turbati e turbolenti – compreso, purtroppo, il fatto che «alcuni giovani gesuiti» abbiano «contestato i contestatori anche a spintoni e a schiaffi», «condendo il tutto con parolacce più adatte a un corteo di “ultrà” che a religiosi» (1) -; e la manifestazione stessa potrebbe essere senza fatica, globalmente e definitivamente rubricata sotto l’«importune» paolino, se padre Bartolomeo Sorge S. J., direttore de La Civiltà Cattolica, non si fosse lasciato trascinare a una dichiarazione che coinvolge Alleanza Cattolica, e non avesse commentato i fatti incresciosi in questi incredibili termini: «È proprio vero che gli estremi si toccano, neri o rossi. Forse i brigatisti rossi sono più furbi. Devo dire […] che la conferenza impedita non poteva riuscire meglio: con tutta la stima che ho per padre Caprile, sono sicuro che non sarebbe riuscito mai a spiegare meglio chi siano i sostenitori di mons. Lefèbvre, in che cosa consistano l’integrismo e il fanatismo religioso del suo movimento» (2).
Trascuriamo la sensibilità che emerge dall’uso della formula degli «opposti estremismi», anche se sarebbe abbondantemente sufficiente per dare un giudizio non lusinghiero sul livello anche giornalistico cui sono giunti alcuni redattori della già gloriosa Civiltà Cattolica. Veniamo al primo asserto, secondo cui, dunque, i brigatisti rossi sono più furbi di noi, poveri integristi e fanatici religiosi.
È vero. Non è difficile concederlo, e padre Sorge ha veramente messo a fuoco il problema, almeno dal punto di vista naturale. Infatti noi, per esempio, non pratichiamo l’«esproprio proletario», più noto come rapina o come furto, con violenza, con scasso o con destrezza.
Inoltre, non ci serviamo neppure del «sequestro proletario», con conseguente permanenza coatta della vittima in una «prigione del popolo», più noto, o un tempo noto, come sequestro di persona o come rapimento.
Per colmo di dabbenaggine, quindi, è assolutamente estraneo ai nostri mezzi anche la cosiddetta «giustizia proletaria», che colpisce qualche «nemico del popolo», pratica un tempo bollata come assassinio politico, oppure come omicidio sic et simpliciter.
È vero. Non siamo furbi. Anzi, siamo senz’altro meno furbi delle Brigate Rosse. Ma c’è di più. Questa nostra confessa mancanza o carenza grave di furbizia non ha soltanto un fondamento naturale, ma si radica nello sforzo di rispettare la legge di Dio, e cosi provare l’amore che portiamo a Nostro Signore Gesù Cristo, che tale legge non è venuto ad abrogare ma a compiere. Così stando le cose, almeno nelle intenzioni, l’integrismo e il fanatismo religiosi sono ormai evidenti, e non possono più essere occultati!
Ma se è ormai certo, senza «forse», che siamo meno furbi, per così dire, delle Brigate Rosse, come non interrogarsi con angoscia sulla concezione della furbizia secondo padre Sorge?
Mentre il nostro tasso di furbizia crolla irrimediabilmente, sale invece vertiginosamente quello di integrismo e di fanatismo religioso.
Infatti, sempre secondo padre Sorge, «che […] i lefebvriani di “Alleanza Cattolica”, anziché ricorrere al gergo volgare degli squadristi, si siano serviti della recita del Rosario in latino, ciò non muta affatto la logica del loro comportamento; tutt’al più ciò aggiunge all’episodio un aspetto di fanatismo religioso, che lo rende ancora più penoso» (3).
Resistiamo alla tentazione di qualificare i padri Sorge e Caprile come «villotiani» o «garroniani» – in ossequio al «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» -, e passiamo a meditare sulla incomprensibile connotazione penosa di chi, aggredito, risponde alla aggressione ricorrendo alla recita del rosario in latino – forse sarebbe stato meno grave il recitarlo in italiano? – piuttosto che al gergo volgare degli squadristi, che, invece, – secondo il cronista sopra citato – pare essere stato scelto come forma espressiva dagli aggressori. E si fossero limitati solo al linguaggio … Prima di procedere, però, viene da chiedersi se mai, durante il Ventennio, qualcuno abbia pensato, in vena di piaggerie clericali, di chiamare la «marcia su Roma» piuttosto «pellegrinaggio su Roma»! Si tratta di una indagine che potrebbe gettare molta luce sul Concordato del ‘29, per esempio, e sulla sua revisione in fieri.
Veniamo finalmente a temi più seri e più sostanziali. Alleanza Cattolica ha pubblicato, nel mese di ottobre dello scorso anno, un numero monografico di Cristianità, dedicato ai problemi della «Chiesa conciliare» (4). In tale fascicolo venivano sollevati quesiti che – a torto o a ragione – sono considerati come irrisolti e urgenti da una parte non trascurabile della opinione pubblica cattolica (5).
Come negare i turbamenti che derivano dalla riforma liturgica, dalla nuova dottrina circa la libertà religiosa – di cui è imminente la verifica in corpore vili, in occasione della revisione consensuale del Concordato – e dai rapporti con il comunismo, nazionali e internazionali?
Di tutto questo, padre Caprile, in una nota recente su La Civiltà Cattolica, ha voluto o saputo raccogliere soltanto una presa di posizione a fianco di mons. Lefèbvre, e si è guardato bene dal dare o almeno dall’accennare qualche risposta di merito (6).
Come chiamare questo silenzio: furbizia e pluralismo, in contrapposizione a dabbenaggine e integrismo? Oppure le violenze subite da qualche militante di Alleanza Cattolica, coinvolto suo malgrado e a titolo personale nell’episodio di «cronaca in clergymen» di cui ci stiamo occupando, va ritenuta la risposta ai nostri e altrui quesiti, risposta avanzata e aggiornata rispetto alla anacronistica e superata recita del rosario?
Qualcuno, che conosce padre Sorge di persona, in altra occasione ebbe a definirlo un uomo di studio e di preghiera. Non abbiamo ragione per non credere al nostro fraterno interlocutore. Dopo avere letto la definizione che ha dato di «integrismo» durante il convegno su Evangelizzazione e promozione umana, preferiamo sorvolare sulla prima lode (7). Ci appelliamo però, di cuore, alla seconda, e lo preghiamo di voler chiedere al Signore, per l’intercessione di sant’Ignazio, la purezza delle nostre intenzioni. E fin da ora, in Domino, lo ringraziamo.
Note:
(1) La Notte, 24-1-1977.
(2) il Resto del Carlino, 24-1-1977.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. Cristianità, Piacenza settembre-dicembre 1976, anno IV, n. 19-20.
(5) Secondo un sondaggio eseguito dalla Doxa, il 70% degli italiani sarebbe informato sul caso Lefèbvre, il 17% approverebbe il comportamento del presule francese e il 22% gli darebbe «in parte ragione ed in parte torto». Cfr. il Giornale nuovo, 14-1-1977. Per quanto si possa e si debba dubitare di certe rilevazioni di opinione, vale forse la pena di non trascurarle completamente, almeno in via ipotetica.
(6) Cfr. GIOVANNI CAPRILE S. J., Mons. Lefèbvre da Lilla a Friedrichshafen, in La Civiltà Cattolica, 4-12-1976, anno 127, n. 3035, p. 468, n. 3.
(7) Per informazione dei lettori, riportiamo tale definizione desumendola dallo stesso fascicolo de La Civiltà Cattolica sopra citato, ove sta a p. 428. Suona così: «L’integrismo è il tarlo del Vangelo: si nutre delle sue pagine, scava in esse, ma non per approfondirlo a vantaggio comune, bensì corrodendolo a proprio uso e consumo!».