Sulla “via italiana al socialismo”
GIOCO A QUATTRO … CON IL MORIBONDO!
Il linguaggio colto, seguito da quello corrente, quando deve indicare l’atto con cui una società passa da una posizione superiore a una inferiore, parla di caduta. Quando, poi, questo atto è improvviso, anche se non imprevedibile e imprevisto, parla di crollo; e il decorso della caduta, prima del crollo, viene spesso indicato con il termine decadenza.
Questa brevissima ricognizione delle parole d’uso rivela la loro insufficienza a descrivere la nostra condizione storica, se non in termini estremamente generali – quando non generici -, che possono accostarsi con maggiore puntualità alla realtà dei fatti e coglierla, soltanto se accompagnati, «farciti» quasi, da una abbondante aggettivazione.
Scopo di questo esorbitante, straordinario uso di aggettivi deve essere quello di indicare che la decadenza della nostra società verso la sua vecchiaia, verso una senilità priva di saggezza, demente e impotente, verso il crollo, è certamente del genere caduta, ma della specie particolare scivolamento, sì che lo stadio finale è più opportunamente indicato come dissoluzione.
Soltanto la consapevolezza di questo scivolamento, formalmente non traumatico e quindi non traumatizzante, può rendere ragione di questo lento sprofondare, di questo inesorabile – anche se artificiale – immergersi di un mondo nella sua dissoluzione.
La nostra vita politica, per esempio, da un anno a questa parte, cioè dal 20 giugno 1976 a oggi, si è costruita sulla pratica, a opera della Democrazia Cristiana, della tattica leniniana detta dei «due passi avanti e uno indietro», applicata, con modalità particolarmente raffinate, alle spalle e sulla pelle di un elettorato raccolto sulla base di un piccolo revival quarantottesco.
Così, secondo questa tattica, lentissimamente e con «ferme» dichiarazioni del contrario, si è passati, si sta passando e si passerà – se non avvengono mutamenti allo stato dei fatti non ipotizzabili – dalla «non sfiducia» ai contatti bilaterali con tutti i partiti del cosiddetto «arco costituzionale» e, quindi, anche con i comunisti. I contatti bilaterali preludono a quelli collegiali – una sorta di governo irresponsabile -, che, a loro volta, preparano un governo di tecnici, o almeno, in prima istanza, con qualche tecnico; tale governo di tecnici o «con tecnici» non è niente di diverso da una versione del governo di emergenza, che dal canto suo è la realizzazione confusa e informe del compromesso storico, comunque «connessa alla prospettiva del “compromesso storico”» (1). E, finalmente, il compromesso storico non è altro che «un elemento caratterizzante» della «via italiana al socialismo» (2), che è l’itinerario previsto e parzialmente compiuto dalla setta comunista per la conquista del potere nel nostro paese.
Lo svolgersi di questo piano, in tutti i suoi dettagli, nonché, evidentemente, nel suo insieme, è fatto di brevi e rapidissime avanzate, precedute dal lancio accurato e organizzato di ballon d’essai propagandistici, cui si accompagnano «ferme» smentite e parziali realizzazioni. La versione democristiana dei classici «due passi avanti e uno indietro» – uno nelle parole e uno nei fatti -, prevede che venga ritrattato solamente quello nelle dichiarazioni. Così, il fatto rimane, e l’operazione procede pressoché indisturbata!
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Mentre lo storico incontro tra comunisti, socialisti e «cattolici» si profila sempre più nitido all’orizzonte – cioè nella sua completa realizzazione, dal momento che, nelle premesse, è già passato alla storia -, non manca chi si cura di predisporre una opposizione ad hoc, una «opposizione di Sua Maestà», raccogliendo in un «quarto partito» quanto rimane escluso, per vischiosità sociologica o per refrattarietà congenita, dalla combine storica, egemonizzata dal Partito Comunista.
«Quarto partito» è il termine con cui si indica oggi, in senso stretto, la realtà cui potrebbe dare vita, o rappresentare, l’Unione Cristiano-Sociale bavarese di Franz Joseph Strauss, liberandosi dal patto di unità d’azione che la lega ai democristiani del resto della Germania federale e decidendo di operare su tutto il territorio tedesco.
Questa ipotesi politica, però, non si può – e non si deve – prendere in considerazione limitatamente alla Repubblica Federale Tedesca, ma rappresenta quasi certamente una categoria emergente del quadro politico europeo in un prossimo futuro, legato alle elezioni del 1978.
Così, mentre in Germania i cristiano-sociali bavaresi fanno capolino accanto a democristiani, socialdemocratici e liberali, e si preparano a una mano a quattro, in Francia Chirac articola a destra lo schieramento che fa capo a Giscard d’Estaing, e fa il quarto con Mitterand e Marchais. Mentre in Inghilterra, per il momento, la situazione pare non necessitare di questa manovra – forse bisogna che prima emergano, con maggiore spicco e decisione, i liberali -, in Spagna la condizione politica post-franchista non si è ancora sufficientemente decantata per poter intravedere con qualche sicurezza chi svolgerà il ruolo del quarto, anche se Fraga Irribarne pare averne titoli e physique du rôle.
Rimane l’Italia, dove, a tutt’ora, si è proceduto con cura a «sfasciare i fascisti» – ma l’operazione non pare assolutamente conclusa – e, a un livello ancora para-partitico, o pre-politico che dir si voglia, lavora intensamente una linea Montanelli-De Carolis che, senza validi concorrenti alla sua destra, attende di divenire De Carolis-Montanelli e di coagulare attorno a una spaccatura democristiana, inevitabile – anche al dire di Gian Carlo Pajetta (3) – nella prospettiva di un maggiore avvicinamento al compromesso storico.
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Dunque, il copione è il compromesso storico e la troupe, ancora, parzialmente, in via di reclutamento, sta già facendo le prove ed esibendosi in piccoli «atti unici».
Ma i ruoli non sarebbero elencati in modo esauriente se, accanto a socialisti, comunisti, «cattolici» e agli anticomunisti «di maniera» – sedicenti «moderati», «moderni» e «democratici», sostanzialmente laicisti, cioè anticattolici, e tecnocrati, cioè comunisti senza demagogia ottocentesca – non ricordassimo, almeno per il caso italiano, anche molti uomini di Chiesa, il cui contributo alla tragedia senza speranza umana, che stiamo vivendo, è oggettivamente tutt’altro che trascurabile, quale che sia la consapevolezza dei protagonisti.
Tale contributo favorisce in modo particolare la trasformazione della caduta in scivolamento, senza sussulti e senza soprassalti. Qualcuno si chiederà certamente come si manifesta. Si manifesta nella denuncia, talora particolarmente puntuale, ma senza conseguenze pastorali; nella diagnosi corretta senza terapia adeguata, sì che la precisione del giudizio illude il fedele-paziente che «dire» e «fare» coincidano, e che non vi sia più, come nel proverbio, «di mezzo il mare»! La logica del senso comune, infatti, lega al grido «al fuoco!» un intervento o di pompieri o di volenterosi pompieri improvvisati, ma non concepisce che l’allarme rimanga senza seguito; e l’uomo della strada crede, (non vedendo interventi di sorta, di essere nell’unico luogo in cui gli interventi mancano. Quando poi si rende conto, o sta per rendersi conto, che nessuno fa nulla e quindi è nella disposizione psicologica per improvvisarsi pompiere, ecco un nuovo richiamo platonico, che lo tranquillizza e lo blocca.
Un esempio? Forse il maggiore. Stiamo per diventare una nazione comunista, stiamo cioè per cadere sotto il dominio della setta comunista. Talora, provvidenzialmente, si ripete da autorità ecclesiastiche che cristianesimo e comunismo sono incompatibili. L’effetto tonificante di questa dichiarazione è grande. Ma, dov’è la pastorale anticomunista conseguente? Dove i corsi di preparazione, informazione e formazione, per sacerdoti, per operatori culturali e per animatori sociali? Dove la trasmissione metodica e organizzata della buona dottrina sociale cattolica ai fedeli? Non ricorda forse Pio XI nella Divini Redemptoris – di cui è caduto quest’anno il quarantesimo anniversario, in un silenzio quasi generale – che l’anticomunismo positivo, dottrinale e contenutistico coincide anche con la esposizione della dottrina cristiana sulla società? Si teme, forse, che una maggiore conoscenza di questa dottrina sveli l’inganno di uomini politici o di formazioni partitiche sedicenti cristiane, e come tali spesso accreditate dall’autorità ecclesiastica?
Per calare dalla pastorale alla cronaca, che risultato possono dare frasi come quella pronunciata dal presule, relatore sull’aborto alla XIV Assemblea Generale della CEI tenuta a Roma nel maggio scorso, in cui, senza commento, si parla dei «senatori cattolici eletti nelle liste marxiste», pur stigmatizzando il loro apporto alla emendazione della proposta di legge in esame (4)? «Cattolici», dunque? E, a questo proposito, cosa pensare del mancato richiamo alla scomunica del ‘49, in occasione della presentazione di questi «cattolici» nelle liste comuniste?
Ancora. Come non apprezzare il testo del messaggio antiabortista pubblicato a chiusura della ricordata assemblea annuale dei vescovi italiani, ma, contemporaneamente, come non lamentare la mancata denuncia delle responsabilità della Democrazia Cristiana, che, prima del 20 giugno 1976, in presenza, in parlamento, di una maggioranza antiabortista, nega la incostituzionalità della proposta di legge in discussione, e la afferma solo dopo il 20 giugno, quando la maggioranza utile e necessaria a far valere tale incostituzionalità non esiste più?
Tutte le volte in cui ci capita di esporre la nostra diagnosi della situazione italiana e mondiale a benevoli ascoltatori – come è noto, infatti, coloro che non sono ben disposti non sono neppure autentici «ascoltatori» -, ci aspettiamo la fatidica domanda sul da farsi, qui e ora. A questa domanda, per l’ennesima volta rispondiamo che, come ci pare di venire provando, quanto succede è una mossa tattica che fa parte di una strategia, che a sua volta rivela un piano e, quindi, una dottrina e una intenzione. La risposta a un fronte di azioni tanto articolate non può che essere ugualmente articolata. Le soluzioni ad horas di problemi antichi non possono non essere inadeguate. Ma il tempo manca!, si incalza. Rispondiamo che non è una buona ragione per usarlo male e tanto meno per perderlo. Il tempo a disposizione è proporzionato alla bontà delle azioni che intendiamo compiere. E la prima azione da compiere sta nel trasformare quella che abbiamo chiamato una «tragedia senza speranza umana», in una «tragedia con una speranza teologale». Quindi, nello svolgere un’azione propagandistica risvegliante, che non esitiamo a definire letteralmente eroica. Quindi … il resto ci verrà dato in sovrappiù!
NOTE
(1) Cfr. LUCIANO GRUPPI, La proposta del «compromesso storico», in Il compromesso storico, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 16.
(2) Ibidem.
(3) Cfr. il manifesto, 25-3-1977.
(4) Cfr. L’Osservatore Romano, 14-5-1977.