Dal cosiddetto “caso Lefèbvre” al “caso Cosmao”
“LA CHIESA È CAMBIATA MOLTO PROFONDAMENTE”?
Più di un anno fa, pubblicando un numero monografico di Cristianitàinteramente dedicato a I problemi della «Chiesa conciliare», mettevamo in dubbio – a costo di parere eccentrici, la reale esistenza di un «caso Lefèbvre» (1). Ci dichiaravamo, al massimo, disposti a riconoscere alla querelle, all’affaire scoppiato attorno al presule francese, una duplice funzione, e cioè anzitutto rivelatoria, e quindi di rilevazione dei problemi della Chiesa, dal Concilio Ecumenico Vaticano II – e, forse, anche da molto prima del Concilio – a oggi.
Da allora, come si dice, molta acqua è passata sotto i ponti, ma, tutto ben considerato, ci ostiniamo ancora a parlare del «cosiddetto caso Lefèbvre». Potrebbe parere partito preso, se il «caso» in questione, piuttosto che presentare connotazioni che ne permettano una precisa identificazione e qualificazione, non servisse, quasi quotidianamente, a svelare, a mettere in risalto e a portare alla luce «casi» reali e veramente angoscianti, rivelando così una propria intrinseca «fecondità»come pietra di paragone e di inciampo per molte realtà «in movimento» sia nella Chiesa che nel mondo.
Trascuriamo in questa occasione fatti tecnicamente «mondani» e accadimenti assolutamente secondari, per limitarci a illustrarne e a descriverne uno solamente, pure decisamente tale da commuovere – nel senso etimologico del termine -, cioè da turbare, e non superficialmente.
Nel corso di una trasmissione su mons. Lefèbvre e la sua opera – trasmissione messa in onda dalla televisione della Svizzera romanda, sui canali della Svizzera e della Francia, il 9 settembre 1977 -, è stato intervistato un domenicano francese, padre Vincent Cosmao, direttore del Centre Lebret di Parigi, nonché della rivista mensile Foi et développement edita da detto centro.
Padre Cosmao, all’intervistatore che gli chiede se, in un determinato periodo, mons. Lefebvre fosse stato «un uomo di Chiesa importante», risponde: «Aveva ogni potere sulla Chiesa in tutta l’Africa Francese, dal Sahara al Madagascar. Nell’Africa che allora era ancora francese, era uno dei personaggi più importanti nella Chiesa alla fine del pontificato di Pio XII».
«Rappresentava adeguatamente – insiste l’intervistatore – l’immagine di questa Chiesa nell’Africa del tempo?».
«Certamente – conferma padre Cosmao -. I cristiani, i sacerdoti si riconoscevano in lui. Era veramente l’uomo cui faceva riferimento questa Chiesa in quell’epoca. Infatti, è la Chiesa che è cambiata; non lui. La Chiesa è cambiata molto profondamente e in modo particolare perché ha finito per accettare quanto era successo in Europa dopo la fine del secolo XVIII, dopo la filosofia dei “lumi” e la Rivoluzione francese».
«Ma, di fatto – chiede l’intervistatore -, che cosa era successo?».
«Fino ad allora – spiega padre Cosmao – la Chiesa faceva i re e con ciò stesso sacralizzava l’organizzazione sociale. Quando questa organizzazione sociale non ha più corrisposto a quelli che erano i rapporti tra i gruppi sociali, per trasformare questa organizzazione sociale è stato assolutamente necessario desacralizzarla e con ciò stesso strappare la Chiesa dalla posizione che era a essa propria nelle società europee. E finalmente la Chiesa, nel corso degli anni, ha finito per capire che la critica che si faceva alla sua funzione nell’ancien régime era fondata e che proprio questa critica poteva rinnovarla da cima a fondo. Credo che il Vaticano II , per grande parte, sia il compimento di questa serie di prese di coscienza e proprio questo compimento e tutto il processo che vi ha condotto è quanto mons. Lefèbvre non può accettare, perché credo sia veramente il testimone di quella Chiesa che era sicura della sua verità, del suo diritto, del suo potere e che pensava di essere la sola a poter dire qual è la buona organizzazione della società. E quanto mons. Lefèbvre oggi rimprovera alla Chiesa non è di non parlare più latino o di non fare più la Messa secondo il rito di san Pio V, ma è, come dicono altri, di essersi arresa al mondo con il pretesto di voler andare incontro a esso, di essersi sottomessa al mondo nuovo. E questo rimprovero è nella logica della Chiesa di ieri. In un certo senso, è lui a essere fedele. Ma fedele a una Chiesa, della quale abbiamo finito per capire, alcuni più rapidamente di altri, che il suo atteggiamento nella storia si trova in contraddizione con le esigenze del Vangelo».
Lasciamo al domenicano progressista francese tutta la responsabilità della «esegesi», per esempio, dello scarso interesse di mons. Lefèbvre per il rito detto di san Pio V, così come, in generale, lasciamo immediatamente il cosiddetto «caso Lefèbvre» dal momento che emerge, ben più evidente e caratterizzato, un «caso Cosmao».
Ci chiediamo, brevemente ma ansiosamente: è lecito un simile linguaggio nella Chiesa cattolica? È vero che oggi la Chiesa non è più «sicura della sua verità, del suo diritto, del suo potere»? E ancora: che cosa era la cosiddetta «sacralizzazione» della società, se non la estensione alla dimensione sociale dell’uomo, della conversione e del battesimo? E la «desacralizzazione», che altro può essere se non rinuncia a convertire, e quindi, per la Chiesa, abdicazione alla propria missione? Il decalogo vale solamente per i singoli e per la loro vita privata, o vige anche per la vita pubblica, e quindi per le società? Sono, forse, le società qualcosa di diverso da consorzi di singoli?
Perfettamente convinti del contrario di quanto afferma chiaramente – e gliene siamo grati – il frate domenicano francese, saremmo ugualmente e più grati alla autorità ecclesiastica se ci dicesse qual è il suo punto di vista in materia.
Note:
(1) Cfr. Cristianità, anno IV, n. 19-20, settembre-dicembre 1976.