di Michele Brambilla
I fedeli che la mattina del 20 agosto attraversano i check point di accesso a Piazza San Pietro per l’Angelus di Papa Francesco hanno ovviamente nel cuore e nella mente le immagini del 17 agosto di Barcellona e del 18 di Turku, ma anche quelle di una vecchia copertina di Dabiq, il periodico dell’ISIS, che mostra la bandiera nera del califfato sventolante sull’obelisco della basilica vaticana invece della croce. Il fatto che l’ISIS stia retrocedendo come entità territoriale in Siria e in Iraq amplia, di contro, la possibilità di un ritorno minaccioso in Europa dei combattenti partiti dalle nostre terre.
Il Pontefice esprime il proprio cordoglio per le vittime di tutti gli attentati della settimana, compresi quelli svoltisi su suolo non europeo. «Cari fratelli e sorelle, nei nostri cuori portiamo il dolore per gli atti terroristici che, in questi ultimi giorni, hanno causato numerose vittime, in Burkina Faso, in Spagna e in Finlandia». Per il Papa non c’è differenza nella comune umanità delle vittime, così come tutti gli attentati sono il ritratto di una «[…] disumana violenza» che, a prescindere dalla fede islamica degli esecutori materiali di quei crimini, offende l’essere umano nella sua essenza.
Anche in questo scenario cupo c’è, però, spazio per la speranza cristiana. Lo afferma la pagina del Vangelo del giorno (cfr. Mt 15, 21-28) secondo il rito romano, che «[…] ci presenta un singolare esempio di fede nell’incontro di Gesù con una donna cananea, una straniera rispetto ai giudei». La donna “tormenta” il Messia del popolo eletto (i «figli» contrapposti ai «cagnolini», per utilizzare la stessa metafora adoperata nel Vangelo) fino a ottenere la guarigione della figlia indemoniata. «Alla fine, davanti a tanta perseveranza», commenta il Santo Padre, «Gesù rimane ammirato, quasi stupito, dalla fede di una donna pagana» e concede la guarigione a distanza, ma soprattutto elogia la cananea, della quale osserva una vera conversione, tastabile nell’esatta enunciazione del titolo messianico di Cristo e nel riconoscimento implicito della Sua divinità («Signore, figlio di Davide»).
Questo ricorda a Francesco la «[…] forza delle donne. Con la loro fortezza sono capaci di ottenere cose grandi. Ne abbiamo conosciute tante! Possiamo dire che è l’amore che muove la fede e la fede, da parte sua, diventa il premio dell’amore» e, più in generale, «[…] ci aiuta a capire che tutti abbiamo bisogno di crescere nella fede e fortificare la nostra fiducia in Gesù. […] Affidiamoci allo Spirito Santo affinché Lui ci aiuti a perseverare nella fede. Lo Spirito infonde audacia nel cuore dei credenti; dà alla nostra vita e alla nostra testimonianza cristiana la forza del convincimento e della persuasione; ci incoraggia a vincere l’incredulità verso Dio e l’indifferenza verso i fratelli».
Il secondo messaggio della pagina di Vangelo della XX domenica del Tempo ordinario è quindi la conferma dell’universalità della chiamata alla salvezza, che da Israele si è allargata a tutti i popoli raggiunti dalla predicazione cristiana. Ha quindi senso rinnovare pure dopo Barcellona l’appello alla missione, certi che l’unico Redentore attenda e desideri la conversione a Sé anche dei terroristi e di tutto il mondo musulmano.