Vanno difese le statue dalla nuova iconoclastia. Ma se non cogliamo la ragione vera di questo odio, anche la nostra testolina, più o meno graziosa, corre rischi
Per giustificare la demolizione o la decapitazione delle statue erette in onore di Cristoforo Colombo in numerose città degli Stati Uniti sono state mosse non poche imputazioni postume contro il navigatore genovese: nessuna ha il carattere della novità. Se si passa in rassegna solo un campione delle migliaia di monografie a lui dedicate, si trova di tutto, da ricostruzioni storicamente fondate, esito di ricerche rigorose, al parallelo fra lui e Adolf Hitler, avanzato dal Movimento indianista.
Si è avuta una fioritura di scritti non da poco un quarto di secolo fa, in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America; in quella circostanza sulla rivista Cristianità (n. 203, marzo 1992), l’indimenticato medievista Marco Tangheroni e Maurizio Parenti pubblicarono un breve ma intenso saggio dedicato a Colombo. Val la pena rileggerlo (è pubblicato nel sito alleanzacattolica.org) perché i luoghi comuni di allora sono quelli di oggi; ma soprattutto perché aiuta a comprendere quale è la posta in gioco, culturale prima ancora che politica.
Fu un «incontro di due mondi»
Colombo, che – secondo un altro genovese che ha molto scritto su di lui, Paolo Emilio Taviani – fu «non santo, ma defensor fidei», non è né il capostipite di conquistatori assetati di schiavi né (vi è pure questo nella manipolazione della sua figura) l’emblema di una modernità che finalmente supera i pregiudizi dei cosiddetti secoli bui e anticipa le aperture dell’Illuminismo. Fu un navigatore di eccezionale valore, la cui perizia competeva con il coraggio e con la consapevolezza dell’arditezza del percorso via mare verso l’Oriente che intendeva intraprendere, come realmente fece. Ma, leggendo i suoi scritti, in particolare il Diario di bordo, e i documenti raccolti dai biografi più seri, si scopre una religiosità profonda, accompagnata dal rispetto per i popoli incontrati con la scoperta, fin dal primo contatto, il 12 ottobre 1492: «Conobbi che era gente che meglio si salverebbe e si convertirebbe alla nostra santa fede con l’amore che con la forza», scrive nel Diario, e il concetto non è così scontato per l’epoca.
Chi ha meritoriamente contrastato le rimozioni e gli oltraggi alle statue di Colombo lo ha fatto in nome della memoria storica e dei meriti oggettivi della scoperta del Continente americano, e delle prospettive che ha aperto. Ma è coerente con orientamenti pseudoculturali oggi egemoni che il genovese sia rimosso, che le sue immagini siano distrutte e il suo ricordo coperto d’infamia. Egli compie la sua impresa sotto l’egida dei re spagnoli: re cattolici che pochi mesi prima, il 2 gennaio 1492 con la presa di Granada, avevano completato la Reconquista iniziata sette secoli prima; re che lo avevano sostenuto nonostante la contrarietà dei loro consiglieri, che ritenevano l’impresa impossibile; che lo avevano fatto anche sulla scia dell’entusiasmo di una Spagna finalmente riunita sotto le insegne cristiane; e diventa con la sua impresa l’iniziatore di «quell’incontro di due mondi che ebbe luogo quando giunsero i primi spagnoli ed entrarono in contatto con i popoli indigeni» (Giovanni Paolo II, omelia a Salta, Argentina, 8 aprile 1987). Il suo viaggio oltreoceano costituisce in qualche modo lo sviluppo ardito che la cultura fino a quel momento maturata in Europa, che aveva prodotto cattedrali e summe, invenzioni e progressi della scienza, era pronta a estendersi nel resto del mondo, pur se con limiti ed errori, anche gravi e dolorosi. Uno sviluppo che trae slancio dalla pace ritrovata nella penisola iberica di antica fede cristiana per condurre tale fede a migliaia di miglia di distanza.
Se qualunque fede è un pericolo
E ci meravigliamo che Colombo sia odiato da un mondo per il quale la fede è mistificazione, superstizione, fastidio? Per il quale la coerenza tra la fede e la vita è pericoloso integralismo? Per il quale le imprese compiute in nome della fede rappresentano attentati all’umanità? Per il quale, poiché c’è chi radicalizza la propria confessione giungendo in suo nome alla violenza, ogni professione di fede è ostile all’uomo?
Vanno difese le statue dalla nuova iconoclastia, vanno rimesse a posto le loro teste mozzate, ma con la consapevolezza che se non cogliamo la ragione vera, ideologicamente anticristiana, di quest’odio, anche la nostra testolina, più o meno graziosa, corre rischi concreti. Non perché chi disprezza Colombo sia un omicida, ma perché vi è un filo rosso fra il ripudio di una Storia che è stata grande per quello che ha costruito e il nulla di cui abbiamo deciso di disporre per difenderci da chi le teste oggi le taglia per davvero.
Alfredo Mantovano
Da Tempi del 12/09/2017. Foto da articolo