di Maurizio Milano
L’invadenza dello Stato nella vita di persone e famiglie sembra non conoscere limiti. L’ultima “trovata” in ordine di tempo se l’è aggiudicata Maria Elena Boschi, sottosegretario ‒ del Partito Democratico ‒ alla presidenza del consiglio dei ministri. Al convegno A Cesare quel che è di Cesare, svoltosi lunedì 18 settembre a Milano e organizzato dall’Università Europea di Roma, la Boschi ha rilasciato alcune dichiarazioni inquietanti per chi ha a cuore la giustizia e la libertà.
Dapprima l’affermazione esultante: «Attraverso un lavoro di squadra con la Guardia di finanza e le Procure siamo passati dagli 11 miliardi del 2014 ai 23 del 2017 come recupero di evasione», con la sottolineatura «in Italia c’è la percezione di un’eccessiva pressione fiscale». Ammesso e non concesso che la cifra riportata sia realistica, secondo il Boschi-pensiero in Italia la colpa è sempre dei cattivi evasori: non è vero che il nostro sia tra i Paesi più tassati al mondo, sostiene cioè la Boschi, e non è vero che l’Italia soffra una pressione fiscale esorbitante che schiaccia famiglie e imprese. Macché, è solo una “percezione”, pertanto è falsa e non ha basi reali. E dire che questa estate i media hanno vessato gl’italiani con l’idea che la temperatura atmosferica “percepita” sia ben più alta di quel che indica la colonnina di mercurio. Reale o percepito? Insomma, «così è, se vi pare». Peccato però che i dati ufficiali stimino il total tax rate, cioè l’aliquota fiscale complessiva, gravante sulle imprese italiane a ridosso del 65%, contro il già elevato 49% della Germania e il più ragionevole 29% della Svizzera: è sensato allora affermare che le imprese italiane si lamentano a torto, solo a causa di una “percezione” distorta della realtà?
A fronte di una persecuzione fiscale da fare invidia allo sceriffo di Nottingham, il quantum del recupero dell’“evasione” fiscale andrebbe poi analizzato accuratamente, distinguendo tra ciò che corrisponde a effettive evasioni ed elusioni, giustamente da sanzionare, e quanto ammonta invece alla pressione esercitata su dirigenti e funzionari dell’Agenzia delle Entrate affinché essi centrino i propri “obiettivi monetari” di ricupero dell’“evasione” con ogni mezzo. Un po’ come quelle amministrazioni comunali che si trovano a fine anno sotto budget a quindi abbondano di contravvenzioni stradali mettendo autovelox ovunque: è così che si raggiunge davvero l’obiettivo “sicurezza stradale” nel secondo caso e l’obiettivo “equità fiscale” nel primo? È lecito dubitarne quando l’importante è solo fare cassa.
Ma l’affermazione della Boschi che fa davvero venire i brividi è questa: «Dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case degli italiani». È quindi diventato un reato possedere del contante lecitamente guadagnato e già abbondantemente scremato dall’esosità del fisco! Per non parlare del termine utilizzato, «aggredire», indegno di una personalità di governo il cui ruolo dovrebbe essere quello di servitore del bene comune.
Il principio ‒ evangelico ‒ “Date a Cesare quel che è di Cesare” (cfr. per esempio Lc 20, 25) è fondativo della legittima autonomia delle realtà temporali, ma rischia un’assolutizzazione pericolosa se slegata dal resto della frase ‒ evangelica ‒ “e date a Dio quel che è di Dio”. Non compete cioè allo Stato decidere se i cittadini possono o meno possedere del denaro contante, che rimane un legittimo presidio di libertà. Uno degli ultimi.