di Silvia Scaranari
Mercoledì 27 settembre il Santo Padre ci ha offerto una riflessione sui nemici della speranza. La speranza è la virtù che orienta tutta la nostra vita, è il perno intorno a cui ruota il mondo. Noi ci alziamo tutte le mattine perché speriamo di lavorare per poter vivere decorosamente; i bambini giocano per la speranza di essere felici; ci sposiamo nella speranza di condividere una storia con qualcuno; ci curiamo per la speranza di guarire; mettiamo al mondo dei figli nella speranza di renderli felici e contribuire al bene dell’umanità… La speranza è come l’ossigeno, senza speranza l’uomo soffoca, dove non c’è speranza, c’è solo morte. Il Santo Padre sottolinea come la speranza «È quanto di più divino possa esistere nel cuore dell’uomo» e ricordando Charles Peguy nel suo Il portico del mistero della seconda virtù cita un motivo che spinge i più umili ad agire: «Che quei poveri figli – scrive – vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina».
Ma la virtù della speranza non è per gente soddisfatta di sé e della propria vita, la speranza è un desiderio di cose migliori, un anelito di miglioramento, non solo materiale ma anche spirituale. La speranza di diventare santi muove ognuno di noi verso un sempre maggiore amore verso Dio, la speranza di sapere amare Dio ci spinge ad amare il prossimo. «La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno. Ecco perché, da sempre, i poveri sono i primi portatori della speranza».
La speranza di aiutare il mondo ad essere migliore ha animato i grandi santi e proprio mercoledì scorso la Chiesa ha celebrato san Vincenzo de’ Paoli a cui il Papa ha dedicato un bel ricordo indirizzando una lettera di saluto alle diverse famiglie religiose che da lui hanno avuto origine nel 400° anniversario della loro nascita: «Infiammato dal desiderio di far conoscere Gesù ai poveri, si dedicò intensamente all’annuncio, specialmente attraverso le missioni al popolo, e curando in maniera particolare la formazione dei sacerdoti. Egli attuava con naturalezza un “piccolo metodo”: parlare prima di tutto con la vita e poi con grande semplicità, in modo colloquiale e diretto. Lo Spirito fece di lui uno strumento che suscitò uno slancio di generosità nella Chiesa».
Chi ha tutto dalla vita non ha più nulla da sperare, da attendere. Come sono pieni di tristezza quei giovani che non hanno più nulla da aspettare: « E’ questa, la peggiore condanna. Chiudere la porta ai desideri, ai sogni. Sembra un giovane, invece è già calato l’autunno sul suo cuore. Sono i giovani d’autunno».
L’altro pericolo è avere un’anima vuota, cosa che può accadere a tutte le età e in tutte le condizioni tanto che i monaci antichi chiamavano questa tentazione il “demone di mezzogiorno” che attacca subdolamente e fiacca una vita di impegno e di retta vita. Quando succede «il cristiano sa che quella condizione deve essere combattuta, mai accettata supinamente. Dio ci ha creati per la gioia e per la felicità, e non per crogiolarci in pensieri malinconici» e quando le nostre sole forze sembrano troppo deboli «possiamo sempre ricorrere al nome di Gesù», perché se Dio è con noi nessuna tentazione può vincerci, nessuno ci può rubare la speranza.