« Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! » (Lc 12,35-38).
Il ritorno è previsto durante la notte, come lo sposo delle vergini sagge e stolte (cfr. Mt 25,1-13). I romani dividevano la notte in quattro “vigilie”: « alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino » (Mc 13,35), mentre i giudei la didevano in tre (Gdc 7,19). Questa parabola sembre seguire l’uso giudaico. Sono tre turni di guardia, in cui è divisa la notte, cioè il periodo di tempo che va dalle sei di sera alle sei del mattino.
Dodici ore divise in tre “turni”, di quattro ore ciascuna. Il gallo con il suo canto alle prime luci dell’alba è il simbolo di questa veglia in attesa e in funzione della luce (quanti campanili sono sormontati da un galletto che ruota secondo la direzione del vento e ricorda agli smemorati che bisogna vegliare!). Che succede se ci si addormenta? Si vive senza luce, cioè senza verità. Si vive volontariamente nelle tenebre, quando non si ammette nessuna verità che non sia la “nostra” verità, quella “verità” che copre le nostre nefandezze e che in realtà è tenebra.
Qui evidentemente le “tenebre” non sono l’assenza di luce fisica, come quanto si spegne la luce per dormire un sonno tranquillo e riposante, sono la mancanza di verità certe e fondamentali che costituiscano un chiaro punto di riferimento. È una vita vissuta come un cammino senza “direzione”, cioè senza… senso. Una vita vuota e insensata, che si cerca fatalmente di riempire con « orge e ubriachezze », « lussurie e impurità », « litigi e gelosie » (cfr. Rm 13,13).
Di quello che si compie nel segreto, cioè nell’ambiguità della non verità, di quello che si giustifica solo alla luce di una libertà vuota di verità, la libertà di fare qualunque cosa si vuole e si desidera, solo perché lo si vuole e lo si desidera, « è vergognoso perfino parlare » (Ef 5,11) e se lo si fa deve essere una coraggiosa aperta condanna: « Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente » (v. 12). Da dove viene questo sonno malvagio? È uno « spirito di torpore » che Dio permette come nostra punizione: « come sta scritto: Dio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchi per non sentire, fino al giorno d’oggi » (Rm 11,8). Tutti devono stare attenti a non addormentarsi; perché allora anche se “i libri”, cioè le parole che sono luce, ci sono, non si ha voglia né di leggerli né di interpretarli. È una battaglia in cui l’arma principale è la preghiera: « Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole » (Mc 14,38). Pregate, pregate, pregate!