di Michele Brambilla
Ancora all’Angelus del 24 dicembre Papa Francesco propone Maria come esempio perfetto del modo di attendere il Signore che nasce. Tempo qualche ora e alla IV domenica di Avvento subentra la Messa nella Notte santa di Natale, con lo scoprimento del Bambinello e il canto festoso del Gloria, riecheggiato dai bronzi della basilica di S. Pietro.
Il Bambino che accogliamo tra noi è la vera luce del mondo. Il Papa lo sottolinea con forza nell’omelia della Messa solenne: «Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). Con questa espressione semplice ma chiara, Luca ci conduce al cuore di quella notte santa: Maria diede alla luce, Maria ci ha dato la Luce. Un racconto semplice per immergerci nell’avvenimento che cambia per sempre la nostra storia. Tutto, in quella notte, diventava fonte di speranza».
Una luce che illumina ogni uomo e dona ad esso «il documento di cittadinanza» di quella che S. Agostino chiama “Civitas Dei”, che chiama tutti i popoli a salvezza e si prolunga oltre il tempo e lo spazio empirici. La luce splende nelle tenebre, ma talvolta queste ultime paiono prevalere. Le porte chiuse degli albergatori di Betlemme nei confronti della Sacra Famiglia è per Cristo l’anticipo delle folle urlanti contro di Lui durante la Passione e paradigma, nella pagina di Luca, dei cuori degli uomini che si rendono impermeabili alla Grazia.
Ciononostante «proprio lì, in quella realtà che era una sfida, Maria ci ha regalato l’Emmanuele. (…) E lì, in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio»: Dio esce sempre vincitore dall’oscurità in cui vogliamo confinarlo e si fa prossimo nel volto dei bisognosi che bussano alle nostre porte.
«A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa», donando una nuova larghezza di cuore e una Patria che affratella gli uomini di ogni frontiera. Chi, tra i giornalisti nostrani, si è subito gettato sulla parola “cittadinanza” per trovarvi riferimenti espliciti allo “ius soli” ha immiserito le parole del Papa e le ha ristrette negli angusti confini della politica italiana.
Che il messaggio della Chiesa sia universale lo prova ulteriormente il numero sterminato di lingue che caratterizza da sempre gli auguri natalizi pronunciati a corollario della benedizione Urbi et Orbi. «Ce lo ricordava San Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo” (Omelia nella Messa d’inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978)». Poiché però alla Chiesa appartiene anche la dimensione locale, non crea stupore sentire, nel discorso del Papa, alcuni interventi ad hoc, specialmente se riguardano «Gerusalemme e (…) la Terra Santa; preghiamo perché tra le parti prevalga la volontà di riprendere il dialogo e si possa finalmente giungere a una soluzione negoziata che consenta la pacifica coesistenza di due Stati all’interno di confini concordati tra loro e internazionalmente riconosciuti».