Nell’editoriale “Le magie inesistenti del debito”apparso sul Corriere della Sera del 24 novembre 2020, Paolo Mieli fa alcune considerazioni sul tema del debito pubblico, aggravatosi su scala mondiale post-Covid, e sul suo ruolo, più o meno propulsivo, sulle dinamiche della crescita economica. Senza citarlo espressamente, ritorna il tema del “debito buono” e del “debito cattivo” prospettato dall’ex-Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, nel suo intervento agostano al Meeting di Rimini.
di Maurizio Milano
Mieli parte da un documento dell’Institute of International Finance, reso pubblico a margine del vertice G-20 tenutosi a Riad, in Arabia Saudita, il 21-22 novembre, che riprende un dato allarmante, ma che non stupisce, evidenziato dal Fondo Monetario Internazionale: quest’anno il debito pubblico globale, per la prima volta, supererà il PIL mondiale, portandosi a ridosso del 101,5%, con un incremento da diciannove a trenta dei Paesi in cui l’indebitamento sopravanzerà il Prodotto interno lordo. Considerando anche i debiti privati il quadro è ovviamente ancora più pesante. Già alla vigilia del Covid il debito globale (pubblico+privato) ammontava a circa 250.000 miliardi di dollari Usa: «Il debito sta crescendo più velocemente dell’economia. E’ molto semplice. Ciò è per definizione insostenibile», così ebbe a dichiarare
Jerome Powell, Chair della Federal Reserve, nel novembre del 2019. “Insostenibile” non solo per le sue dimensioni monstre ma perché inserito in un trend di crescita completamente decorrelato rispetto alle dinamiche economiche.
Un debito accumulatosi con particolare entusiasmo a partire dalla Grande Crisi Finanziaria del 2007-2009 grazie alle politiche monetarie ultra-espansive portate avanti dalle Banche Centrali di tutto il mondo. Con l’“easing quantitativo”le autorità monetarie hanno esponenzialmente incrementato i propri acquisti di obbligazioni pubbliche e private, espandendo i propri bilanci e provocando la compressione “politica” dei rendimenti obbligazionari al di sotto del tasso naturale. Una vera e propria “repressione finanziaria”, che ha portato a zero o addirittura in territorio negativo i rendimenti di migliaia di miliardi di dollari di obbligazioni in giro per il mondo, incentivando così l’indebitamento e l’azzardo morale, sia in termini di speculazioni sui mercati finanziari sia in termini di investimenti e spese, pubbliche e private, possibili solo in un contesto di “denaro facile”. La liquidità globale M2 era pari a circa 80.000 miliardi di dollari Usa pre-Covid ed è balzata ora a circa 92.500 miliardi di dollari, continuando a sostenere e incentivare ancora il ricorso al debito.
Un “sostegno” che sarebbe anche comprensibile se focalizzato sulle “crisi di liquidità”, del tutto comprensibili vista l’emergenza; molto pericoloso, tuttavia, se diretto a coprire a pioggia le “crisi di insolvibilità” di imprese zombie e di finanze pubbliche “allegre”. Un fiume di liquidità generata ex-nihilo a cui si sono aggiunti, lato politiche fiscali, i circa 12.500 miliardi di dollari spesi dai governi per far fronte all’emergenza sanitaria, sociale ed economica conseguente ai lockdown in questi 9 mesi. Visto il contestuale collasso dell’attività economica e delle entrate fiscali è evidente che il quadro della sostenibilità del debito, pubblico e privato, appare ancora più preoccupante. Ė questo il motivo per cui le Banche Centrali auspicano un rialzo delle dinamiche inflazionistiche: un tasso di inflazione annuo pari al 2%, o anche oltre, in presenza di una remunerazione nulla o negativa dei debiti, consentirebbe di evitare dei default de iure, a spese ovviamente dei risparmiatori-creditori che subirebbero, con non piena consapevolezza, un graduale default de facto, per la progressiva “svalutazione” del potere d’acquisto dei propri investimenti.
Occorre quindi fare una prima precisazione: il debito è sì esploso a causa del Covid, ma era già fuori controllo, in molti Paesi e per molte imprese private, già prima del Covid. Parlando di debiti, occorre quindi per lo meno distinguere tra quelli accumulati prima della pandemia e pericolosi perché “decorrelati” rispetto alle dinamiche reali – a causa di una gestione erronea delle finanze pubbliche e private – da quelli post-Covid, per lo meno in parte giustificati dall’emergenza, anche se la “qualità” degli interventi è discutibile. Sul punto, Mieli evoca l’immagine poco rassicurante di un futuro di «…cataste di monopattini e banchi a rotelle abbandonati al loro destino arrugginiti e inutilizzati». Se questa è la “qualità” della spesa pubblica sostenuta dal debito, verrebbe da augurarsi che l’Italia non riceva troppi aiuti dai cosiddetti “Paesi frugali”: giova peraltro ricordare che solo una parte dei fondi stanziati per il Next Generation Eu – circa la metà – è a titolo di “grant”, cioè di contributo a fondo perduto, mentre l’altra metà costituirà ulteriore debito.
Ma “debito” per fare che cosa, si domanda Mieli. A tal proposito l’ex-Presidente della Bce Mario Draghi aveva fatto la distinzione tra un “debito buono” pro-crescita e un “debito cattivo”. Il rapporto debito/Pil in Italia si aggirava sul 135% pre-Covid e potrebbe balzare quest’anno verso il 162%: del tutto insostenibile in assenza della copertura assicurata dalla Banca Centrale Europea. Un motivo in più per evitare di fare ulteriore debito “cattivo”, solo perché viene monetizzato indirettamente dalla BCE, spogliando contestualmente di ogni sovranità residua il nostro Paese.
Con riferimento alla proposta di una cancellazione del debito causato dal Covid avanzata dal presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, Mieli fa un’osservazione interessante. «È probabile che la riprovazione con cui è stata accolta l’idea del presidente del Parlamento europeo sia dovuta al suo Paese di provenienza, uno dei più indebitati — ancor prima del Covid — dell’orbe terracqueo. Un Paese che non ha stabilito confini invalicabili tra il debito di prima della pandemia e quello attuale. Che è sospettato di voler mettere nel cesto della eventuale cancellazione quantomeno una parte dei propri debiti pregressi. E la prova, secondo quelli che dubitano delle nostre intenzioni, sarebbe nel fatto che il nostro governo, al momento di presentare un grintoso, severo, rigoroso piano per affrontare questa gigantesca crisi, nicchia, tentenna, rinvia, si allontana fischiettando rasente i muri». Giova ricordare che nell’area euro non è prevista alcuna “solidarietà fiscale”, come ha sottolineato il presidente della BCE, Christine Lagarde, citando l’articolo 123 del Trattato Ue che vieta la sola presa in considerazione di un’ipotesi del genere, e che la BCE sta già acquistando una quota di emissioni di titoli del debito pubblico italiano ben superiore a quanto previsto dal tetto massimo imposto dalla cosiddetta capital-key che definisce il peso dell’Italia in termini di popolazione e di dimensione dell’economia nazionale rispetto al totale dell’area euro (al momento circa il 14%).
Mieli evidenzia poi come il nostro Paese goda di scarsa credibilità «Non solo per quel che abbiamo alle spalle ma perché qui in Italia si è diffuso una sorta di keynesismo nostrano a norma del quale i problemi economici si risolverebbero escogitando ogni possibile trucco per contrarre debito, debito e ancora debito. Il quale debito dovrebbe generare “risorse per lo sviluppo”. Uno sviluppo prodotto per magia che, a sua volta, ripagherà il debito. Semplice, no?». Un modus operandi che «negli ultimi quarant’anni di debito ne ha prodotto a dismisura ma di sviluppo assai poco»: un “debito cattivo”, direbbe Mario Draghi, che non deve assolutamente essere accresciuto ulteriormente. Se non altro perché aumentando la spesa pubblica a pioggia si creano le premesse per un forte aumento della pressione fiscale, a danno di tutti e a detrimento della crescita, mentre i beneficiari saranno solo quelli più vicini ai rubinetti della spesa pubblica.
Mieli si chiede chi pagherà il conto alla fine. Azzardiamo una risposta: i costi saranno scaricati prevalentemente sulla classe media, con un mix inquietante di “pressione fiscale crescente più “tassa occulta” dell’inflazione più incremento della regolamentazione e accentramento statalistico” (particolarmente a rischio sanità e scuola).
In conclusione, Mieli ammonisce che «un governo piovuto da chissà dove può impunemente continuare ad accumulare debiti, debiti, ancora debiti e spendere, spendere, ancora spendere. Il Covid ci offre una formidabile opportunità di gettar soldi dall’elicottero senza controllo, di premiare questa o quella clientela inventando ogni giorno nuovi bonus e mettendo denaro in iniziative di cui nessuno andrà mai a verificare l’utilità. Per un tempo infinito. In assenza di un’opposizione che faccia proprio questo modo di vedere le cose (anzi, fa il contrario), mettersi di traverso a questa deriva appare oggi una battaglia persa in partenza». Proprio così.
Sabato, 28 novembre 2020