di Valter Maccantelli
In questi giorni, la politica internazionale è entrata a gamba tesa nel dibattitto italiano grazie alle dichiarazioni del presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, sulla possibilità d’inviare un contingente militare in Niger, alleggerendo la posizione in Iraq. Non sarebbe una missione “autonoma”, ma una collaborazione a quella franco-tedesca Barkhane (che gode del decisivo supporto logistico statunitense), già attiva da anni nel vicino Mali e che ora si sta riorientando verso il Niger allo scopo di contrastare l’espansionismo jihadista – e dei traffici illegali a esso sottostanti – a est, in direzione del Lago Ciad.
L’opinione pubblica ha sempre considerato il Niger una nazione irrilevante nel quadro geopolitico africano, ma è una percezione profondamente errata, oltretutto smentita dalle numerose e importanti manovre che statunitensi, francesi e tedeschi (e molti altri) vi conducono, sotto stretta copertura, da anni. I soli Stati Uniti schierano in loco già parecchie centinaia di soldati delle forze speciali (quattro sono morti in combattimento lo scorso ottobre in circostanze subito secretate dal Pentagono). Lo scorso anno il comando statunitense ha trasferito la base di controllo dei droni americani in Africa dall’Etiopia al Niger e l’aeroporto della capitale, Niamey, ospita contingenti francesi e tedeschi. Senza considerare l’occhiuto interesse mostrato in questi mesi da turchi, israeliani, sauditi e cinesi.
Il Niger è un Paese drammaticamente povero (occupa stabilmente le ultime posizioni di tutti gl’indici di qualità della vita), molto esteso e poco popolato (è grande quattro volte l’Italia e ha meno di un terzo della nostra popolazione, con una densità di 8 abitanti per chilometro quadrato), e funestato da condizioni ambientali a dir poco difficili: due terzi del territorio sono desertici e quel che resta è costituito da una savana umida che consente solo un’agricoltura di sopravvivenza.
Né è migliore il clima sociale. Nonostante i numerosi sforzi volti alla sua integrazione, la minoranza Tuareg (circa un milione di persone) resta irrequieta e ha coinvolto il Paese in almeno due cicli di rivolte negli ultimi venticinque anni. Nei primi anni 2000, Molti giovani Tuareg si sono spinti a nord dove il despota libico Muhammar Gheddafi (1942-2011) li ha accolti, addestrati e impiegati come milizia personale nei conflitti africani. Poi, con il disfacimento del regime libico, queste milizie sono tornate in Niger e Mali carichi di armi sottratte agli arsenali del raìs per formare organizzazioni criminali-politico-terroristiche molto attive nel traffico di essere umani, droga, armi, sigarette e medicinali contraffatti.
La provincia sud-orientale di Diffa vede da decenni la presenza attiva del gruppo terrorista islamista nigeriano Boko Haram, che trova nel territorio del Niger un rifugio sicuro quando la pressione dell’esercito della Nigeria diventa eccessiva. In generale, il jihadismo della fascia saheliana che interessa Nigeria a sud, Mali a ovest e Corno d’Africa a est ha finito per trasformare questa “terra di nessuno” in rifugio di tutti. Il disfacimento della rete di Daesh/Isis (che aveva cominciato a strutturarsi nell’area) e la ripresa del gruppo denominato Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI) stanno rimescolando il quadro del terrorismo islamico africano generando schegge impazzite e per nulla innocue.
Dal punto di vista religioso, il Paese è quasi totalmente islamico (95% sunniti, 5% sciiti) ed esposto, sia come governo sia come popolazione, alla tentazione del fondamentalismo. A farne le spese sono le piccole comunità cristiane, anche cattoliche, nigerine. Il 16 e 17 gennaio 2015, nel corso di alcuni incidenti di piazza scoppiati in seguito alla solidarietà espressa dai cristiani alle vittime degli attenttati contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo, sono state uccise 10 persone e in quattro ore è stato distrutto l’80% dei luoghi di culto del Paese fra cui 72 chiese incendiate.
È una buona idea quella di schierare un contingente militare italiano nell’area? Vista l’incombenza di una campagna elettorale, nella quale questo tema sarà molto strumentalizzato, sembra opportuno non eludere la domanda. L’idea è buona e il progetto potrebbe collocarsi in una strategia che, per una volta, sembra guardare oltre la mera contingenza del problema migratorio e terroristico.
Quello che preoccupa, come dimostrano le prime avvisaglie del dibattito partitico di questi giorni, sono le modalità di attuazione. Veti incrociati, caveat e reticenze politiche sembrano destinate a frustrare, come al solito, la competenza e l’impegno delle nostre forze armate impegnate nelle missioni internazionali, impendendo all’Italia di partecipare ai dividendi geopolitici.
Nel caso specifico, l’efficacia della mossa in Niger è condizionata ad alcuni aspetti che il mondo politico italiano dovrebbe tenere in debita considerazione:
- l’invio di truppe nel Sahel sarà utile solo se costituirà una delle due ganasce di una manovra a tenaglia. È inutile fare i guardiani in Niger e i traghettatori in Libia. La seconda ganascia deve essere un serio accordo con le forze libiche e con le marine europee per inibire lo scafismo trans-mediterraneo;
- la dotazione del contingente dovrà essere adeguata per uomini e mezzi: si spenderà quello che si dovrà spendere, soprattutto per quanto riguarda i critici collegamenti di supporto logistico: questo per evitare, nel caso di una missione plurinazionale, di dipendere totalmente delle altre nazioni ed essere relegati in un ruolo subalterno;
- Le regole d’ingaggio dovrebbero essere scritte con realismo, cosa sulla quale il sinistrismo italiano sta già inscenando il solito esercizio di alta ipocrisia. Imbastire una missione militare per contrastare terroristi, criminali e trafficanti di esseri umani sulle piste del deserto e pretendere che sia non combat è a dir poco illusorio o tragicamente inutile.
Solo se questi “paletti” saranno tenuti nel giusto conto lo schieramento di truppe italiane in Niger servirà per davvero l’interesse nazionale e, perché no, anche quello europeo. Del resto, i sogni sono una delle poche cose ancora non tassate in Italia.