di Silvia Scaranari
Nell’udienza di mercoledì 3 gennaio , il Pontefice si è soffermato sulla liturgia penitenziale quasi a inaugurare il nuovo anno sottolineando che tutto inizia dal chiedere perdono: «Misurarsi con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a invocare la misericordia divina che trasforma e converte». Guardare nel profondo del proprio “io” e trovarvi orgoglio, presunzione, astio, pigrizia e impudicizia fa bene: è il primo passo per poter far entrare Dio in noi. «Che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua presunta giustizia». Per questo proprio all’inizio della celebrazione della santa Messa, per qualche minuto, è doveroso soffermarsi a meditare per poi chiedere perdono a Dio e ai fratelli. Sì, anche ai fratelli perché ogni peccato ha sempre un risvolto sociale, nessun gesto che noi compiamo resta solo nostro, tutto si riflette sugli altri.
Per questo si deve confessare il proprio cattivo comportamento davanti agli altri e non solo nel chiuso di una camera; per questo si deve chiedere perdono anche agli altri. E lo si fa anche con i gesti, battendosi il petto, per sottolineare che “proprio io ho peccato”, non un altro, non il mio vicino, ma io. Non sempre è facile ammetterlo, ci piace cercare sempre un capro espiatorio su cui far cadere la responsabilità. Invece la liturgia porta a essere umili, a riconoscere di avere sbagliato «[…] “in pensieri, parole, opere e omissioni”. Sì, anche in omissioni, ossia di aver tralasciato di fare il bene che avrei potuto fare. Spesso ci sentiamo bravi perché – diciamo – “non ho fatto male a nessuno”. In realtà, non basta non fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene cogliendo le occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù».
La Sacra Scrittura presenta tanti esempi di persone che, dopo essersi riconosciuti peccatori, sono tornate a vivere con gioia la comunione con il Padre: Zaccheo, la samaritana o il re Davide che, dopo aver preso con sé la moglie di un suo bravo ufficiale mandato a morire in prima linea, si pente ed eleva lo sguardo a Dio che gli concede la grazia di comprendere l’abominio commesso. Ed eccolo prorompere nel bellissimo salmo: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità» (Sal 51, 3).
Gli uomini sono esseri sociali, debbono vivere in comunione con gli altri. Ma la relazione viva, reale, non si ferma ai vicini di casa o ai colleghi di lavoro; va oltre il tempo e lo spazio perché, grazie alla comunione dei santi, sia possibile a tutti entrare in contatto con chi non è più con noi. In particolare, dopo aver confessato i propri peccati, «[…] supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi di pregare il Signore per noi. Anche in questo è preziosa la comunione dei Santi: cioè, l’intercessione di questi “amici e modelli di vita” (Prefazio del 1° novembre) ci sostiene nel cammino verso la piena comunione con Dio, quando il peccato sarà definitivamente annientato».
Tutti siamo peccatori, tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio e dei fratelli, ma tutti abbiamo anche dei fratelli che intercedono per noi guidandoci con amore e con saggezza: fidiamo dei nostri santi e facciamoci aiutare da loro.