Veramente numerosi sono i temi affrontati da Papa Francesco nel discorso al corpo diplomatico dell’8 gennaio. Si tratta di un discorso ampio che merita anzitutto di essere letto, più volte, nella sua totalità.
Il discorso è dedicato al 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata il 10 dicembre 1948. Tale affermazione dei principi fondamentali della vita pubblica delle nazioni è sempre stata richiamata dal Magistero della Chiesa, nonostante alcune criticità, proprio perché espressa in un’epoca dominata dalle ideologie, ormai non più cristiana, nella quale era venuto meno un senso comune condiviso.
Proprio per questo Papa Francesco inizia il suo discorso con un richiamo alla Prima guerra mondiale, che con l’abbattimento degli imperi, la nascita degli Stati nazionali e delle ideologie di massa, segnò il passaggio definitivo da una cristianità, per quanto segnata da tante ferite storiche, a situazioni politiche in cui la politica era formalmente separata e spesso contrapposta alla religione. Proprio l’assenza di un’autorità internazionale superiore che potesse scongiurare i conflitti, come avrebbero dovuto essere gli imperi (e in parte riuscirono a esserlo), portò alla nascita, dopo la Grande Guerra, della Società delle Nazioni e, dopo il secondo conflitto mondiale, dell’ONU.
I diritti naturali della persona affermati nella dichiarazione del 1948 sono stati tuttavia oggetto di un attacco ideologico nel corso degli anni successivi e sono culminati nella proposizione di «nuovi diritti» «non di rado in contrapposizione tra loro», come ricorda il Pontefice, vent’anni dopo, in occasione della rivoluzione culturale del Sessantotto: «A settantanni di distanza, duole rilevare come molti diritti fondamentali siano ancor oggi violati. Primo fra tutti quello alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana».
Criticato spesso perché il suo insegnamento non mette in risalto l’importanza dei principi fondamentali della vita pubblica (vita, famiglia, libertà di educazione e di religione), il Santo Padre ribadisce invece la condanna di aborto ed eutanasia, così come mette in grande risalto la centralità politica della famiglia: «Proprio alla famiglia vorrei dedicare un pensiero speciale. Il diritto a formare una famiglia, quale “nucleo naturale e fondamentale della società [che] ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”, è infatti riconosciuto dalla stessa Dichiarazione del 1948. Purtroppo è noto come, specialmente in Occidente, la famiglia sia ritenuta un istituto superato. Alla stabilità di un progetto definitivo, si preferiscono oggi legami fugaci. Ma non sta in piedi una casa costruita sulla sabbia di rapporti fragili e volubili. Occorre piuttosto la roccia, sulla quale ancorare fondamenta solide. E la roccia è proprio quella comunione di amore, fedele e indissolubile, che unisce l’uomo e la donna, una comunione che ha una bellezza austera e semplice, un carattere sacro e inviolabile e una funzione naturale nell’ordine sociale». Da questa guerra mondiale contro matrimonio e famiglia, come ebbe a dire in altra occasione, il Papa fa derivare un’altra conseguenza che colpisce l’Occidente: l’inverno demografico.
Non ci si può chiudere in sé stessi e una società che commette questo errore è destinata a perdersi e financo a scomparire. Per questo il Papa invita a riflettere su come esista un dovere di accogliere i migranti da parte delle comunità, ma anche delle istituzioni, perché ogni uomo ha il diritto di emigrare così come di potere rimanere nel suo paese d’origine e gli Stati hanno il dovere di «accogliere, proteggere, promuovere e integrare», naturalmente nell’ambito della virtù della prudenza che ogni governante deve avere, «per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli».
La Santa Sede non vuole interferire nel campo degli Stati, ai quali spetta decidere quanto e come accogliere e integrare, ma il Santo Padre però ricorda come essa ha il dovere di “richiamare” le forze politiche e di governo a quei «principi di umanità e di fraternità, che fondano ogni società coesa ed armonica».
Molti i temi trattati, dunque, per cui la raccomandazione principale è quella di leggere e rileggere il discorso, di presentarlo in pubblico approfondendo i tanti spunti storici e dottrinali, e infine di
ringraziare la Provvidenza di averci dato un Magistero che, da sempre, offre orientamento ai fedeli in ogni epoca storica e in particolare in questo tempo desolato, in cui mancano completamente i punti di riferimento a chi non ha il dono della fede cattolica.
Un tempo difficile ma entusiasmante, nel quale siamo chiamati a costruire cattedrali, come suggerisce in modo suggestivo il Pontefice al termine del discorso: «Lo spirito che deve animare i singoli e le Nazioni in quest’opera è assimilabile a quello dei costruttori delle cattedrali medievali che costellano l’Europa. Tali imponenti edifici raccontano l’importanza della partecipazione di ciascuno ad un’opera capace di travalicare i confini del tempo. Il costruttore di cattedrali sapeva che non avrebbe visto il compimento del proprio lavoro. Nondimeno si è adoperato attivamente, comprendendo di essere parte di un progetto, di cui avrebbero goduto i suoi figli, i quali – a loro volta – lo avrebbero abbellito ed ampliato per i loro figli. Ciascun uomo e donna di questo mondo – e particolarmente chi ha responsabilità di governo – è chiamato a coltivare lo stesso spirito di servizio e di solidarietà intergenerazionale, ed essere così un segno di speranza per il nostro travagliato mondo».