« Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato” » (Lc 18,9-14).
« […] chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato »: questo detto di Gesù ricorre tre volte nei Vangeli sinottici in tre contesti diversi. Vuol dire dunque che era un’espressione frequente sulle labbra di Gesù (pronunciata con tutta probabilità molte più volte delle sole tre riportate per iscritto), un detto preferito per indicare uno stile di vita a lui particolarmente congeniale. Ricorre infatti una volta in Matteo, nel cuore del duro discorso riguardante gli scribi e i farisei (23,12). Gesù si aspettava molto da loro, avrebbe voluto trovare in loro degli alleati. In qualche caso, come nella polemica con i Sadducei, si schiera dalla loro parte (20,27-40). Identifica però con lucidità il loro difetto principale che è l’orgoglio, il quale impediva loro di vedere che quello che insegnava Gesù lungi dal distruggere la Legge che amavano tanto ne rappresentava in realtà l’inveramento e il compimento.
È la ragione della sua durezza: vuole scuoterli profondamente e distogliere chi si lasciava impressionare dalla loro autorità dal seguirli su una strada che li avrebbe allontanati dalla verità che salva. O meglio: dice di ascoltare il loro insegnamento, ma di non imitare il loro atteggiamento di orgoglio ipocrita. Troviamo poi lo stesso detto per due volte nel Vangelo di Luca. Una volta come conclusione dell’esempio (מָשָׁל: esempio, parabola) dell’invitato al banchetto di nozze che si mette al primo o all’ultimo posto (14,7-11). Infine lo troviamo qui, a proposito della preghiera. La preghiera del fariseo è piena di orgoglio e di sicurezza, mentre quella del pubblicano di umiltà e timor di Dio. Solo quest’ultima è ascoltata da Dio. Santa Madre Chiesa ce la fa praticare, nel rito latino, tutte le volte che incominciamo la celebrazione della Messa. Il sacerdote, inclinato umilmente davanti a Dio, recita con l’assemblea “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa (qui si percuote il petto). E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro “. La Chiesa vuole che facciamo nostri esteriormente e soprattutto interiormente i sentimenti del pubblicano. L’umiltà è il fondamento di qualunque rapporto vero e autentico nei confronti di Dio. È una partecipazione all’umiltà di Dio, che ci fa entrare nell’intimo della sua stessa vita, perché chi « si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato ».