di Maurizio Milano
Un taglio delle spese è, di per sé, un taglio dell’imposizione fiscale “implicita” e consente anche di procedere a una riduzione del prelievo fiscale esplicito, che in Italia è pari a circa il 42,9% del Prodotto interno lordo (Pil). Come spiega l’economista statunitense, vivente, Arthur B. Laffer, esponente della cosiddetta “supply-side economics”, ovvero la scuola di macroeconomia incentrata sullo stimolo dell’offerta, l’incremento della pressione fiscale genera sì aumento di gettito, ma a tassi decrescenti, per poi addirittura scendere oltre livelli d’imposizione talmente vessatori da scoraggiare l’iniziativa imprenditoriale e togliere ogni incentivo al lavoro. Su livelli molto elevati, diviene quindi controproducente anche per il fisco spremere ancora il corpo sociale, e quindi doppiamente immorale. Quando le tasse sono molto alte, un taglio si “autofinanzierebbe”, almeno in parte: sulla riduzione di 1.500 miliardi di tasse lungo i prossimi 10 anni, deciso in dicembre dall’Amministrazione retta dal presidente degli Stati Uniti d’America Donald J. Trump, si stima infatti che circa 400 miliardi rientrerebbero nelle casse dello Stato grazie alla maggior crescita indotta dalla manovra fiscale espansiva. Quali siano le proporzioni per l’Italia non è dato sapere, ma è verosimile che percentualmente il ricupero non sia inferiore, considerando il livello decisamente elevato della pressione fiscale sui cittadini e sulle imprese.
In uno Stato ben ordinato, spesa pubblica e imposizione fiscale contenute devono quindi andare di pari passo: così facendo, emergerebbe l’economia sommersa, si amplierebbe la base produttiva, la concorrenza diverrebbe più leale e, per quanto riguarda i conti pubblici, la struttura di spesa e d’imposte diventerebbe decisamente più equilibrata ed equa, anche in ottica inter-generazionale.
Se invece si volesse percorrere moralisticamente la prima strada, ovvero la “caccia all’evasore” vista come soluzione ai mali delle finanze pubbliche ‒ come hanno sempre fatto i governi di sinistra, peraltro senza risultati apprezzabili ‒, assai difficilmente si centrerebbe l’obiettivo: in tal modo, infatti, non si metterebbe in discussione il vero problema, che è rappresentato dall’entità della spesa pubblica, oggettivamente esorbitante, che tale resterebbe anche se tutti pagassero stoicamente ogni centesimo di tasse preteso dal fisco.
Alimentare l’invidia e la delazione, spingendo alla dialettizzazione nel corpo sociale secondo la logica del divide et impera ‒ mettendo cioè gli uni contro gli altri, tipicamente i lavoratori dipendenti, “onesti”, contro gli autonomi, “disonesti”, in una riformulazione della “lotta di classe” ‒ continuerebbe solamente a fare il gioco del “partito della spesa pubblica” e delle lobby che si spartiscono la ricchezza prodotta dal Paese. Senza tra l’altro dimenticare che esistono molte realtà micro-imprenditoriali al limite della sopravvivenza, in cui l’“evasione fiscale”, almeno parziale, è purtroppo l’unica possibilità di sopravvivenza, pena il chiudere bottega: «Poiché siamo costretti tra le sbarre di una prigione, la nostra non è la disdicevole fuga di fronte al nemico, ma la legittima evasione del prigioniero», scriveva ‒ quantunque in ben altro contesto ‒ il filologo e scrittore inglese J.R.R. Tolkien (1892-1973) nel saggio Sulle fiabe del 1939. Esistono cioè situazioni in cui il contribuente non si sta sottraendo furbescamente ai propri doveri, ma adotta una “legittima difesa” a tutela di sé e della propria famiglia: chi si sente davvero di stigmatizzarla? Far chiudere queste realtà aiuterebbe davvero il Paese a crescere maggiormente? Lo si domandi a Equitalia.
Nessun inganno: la soluzione non è lo sceriffo di Nottingham, “braccio armato” di Giovanni Plantageneto detto “Senzaterra”, il sovrano oppressore e avido della celebre leggenda, re d’Inghilterra dal 1199 al 1216. Il fisco predone non è la soluzione ma parte del problema, e lo è anche nella sua più recente incarnazione di strumento per “aggredire il contante” inteso come ricettacolo di tutti i vizi, laddove è invece un importante “presidio di libertà”.
A scanso di equivoci: scrivo qui come dipendente privato, e quindi uomo “onesto” che proprio non può materialmente evadere…
Martedì, 20 marzo 2018