Da Il Tempo del 12/03/2018. Foto da ACI stampa
Caro Direttore, mi chiedi qualche riga sui primi cinque anni di pontificato di Francesco. Non ho qualifica professionale o accademica o di conoscenza per corrispondervi, se non quella di semplice fedele di Santa Romana Chiesa: spero che ti accontenti, perché tale è
l’ottica delle povere considerazioni che seguono. Sarei poco sincero se negassi che più d’una volta in questo lustro sono rimasto disorientato e perplesso. Ma sarei fedele peggiore di quello che sono se attribuissi in automatico tali disagi a pretese stranezze del Santo Padre, e non invece a elementi che, non avendo rinunciato a ragionare, non mi devono sfuggire. Il più frequente è la estrapolazione – quando va bene – o la manipolazione mediatica delle sue parole e dei suoi documenti: dal «chi sono io per
giudicare», pronunciato al ritorno dal viaggio in Brasile, adoperato in lungo e
in largo per giustificare le nozze fra persone dello stesso sesso, al messaggio inviato alla Pontificia Accademia per la vita dello scorso autunno che – col passaggio sull’accanimento terapeutico – è stato usato per sollecitare l’approvazione, poi avvenuta, della pessima legge sul fine vita. In un caso e nell’altro senza fondamento: sarebbero bastati l’ascolto per intero della risposta data al giornalista sull’aereo quanto al matrimonio gay e la lettura completa del messaggio, con l’esplicita e motivata contrarietà a ogni deriva eutanasica, per superare presunti equivoci. È un problema del Papa o di chi critica il Papa senza attingere alla fonte dei suoi documenti, immaginando che dica realmente quel che riportano larga parte dei media? Si obietta: ma Lui dovrebbe essere più cauto. E anche qui non ci siamo. I precedenti non mancano, risalgono a Colui del quale Francesco è oggi il Vicario. Rileggo il Vangelo: quante volte agli Apostoli capita di non comprendere, financo di criticare e contraddire apertamente il Maestro? E quante volte Lui sente la necessità di prenderli da parte e di spiegargliela, non sempre con successo (eppure li aveva scelti uno per uno). La tentazione cui sono esposto, come ogni fedele, è di aspettarmi un Papa che corrisponda alle mie aspettative e perfino ai miei desideri. Ma se ogni domenica durante la Messa ripeto di credere in
Cristo e nella Chiesa, devo farmi persuaso che Francesco, come prima Benedetto, e prima ancora Giovanni Paolo, siano stati voluti dallo Spirito Santo, non da me. Non capi di governo, dipendenti dal voto di elettori, ma uomini di volta in volta scelti per condurre una realtà al tempo stesso umana e divina. Oltre alla vita di Gesù, è la storia della Chiesa a indurci a umiltà: chi ha già “una certa”, ricorda le amarezze vissute durante il pontificato di Paolo VI, quando appariva incomprensibile che il Papa, in nome dell’ostpolitik, ricevesse il torturatore dell’eroico cardinale Mindszenty. Gli anni seguenti hanno permesso di discernere fra le scelte di governo, probabilmente più prossime alla dimensione umana della vita della Chiesa, e la santità e la grandezza di un Pontefice che – si pensi per tutte all’enciclica Humanae vitae – ha affrontato con coraggio lesfide del suo tempo, patendone attacchi e sofferenze. Sarebbe imperdonabile oggi, mutatis mutandis, ripetere l’errore; e non distinguere fra livelli differenti: quello delle decisioni concrete discutibili come tutte le opzioni di governo, su questo piano chi può ergersi a maestro? quale governante può dire di averle azzeccate tutte? -, quello del magistero, da approfondire e in parte ancora da scoprire, quello dello sguardo sul mondo, non soltanto sul cortile di casa, che impone linguaggi e gesti più arditi di quel che rientra nella nella mia misera immaginazione. Non è facile, costa fatica, talora par di
trovarsi nell’oscurità. Ma quando è nel buio l’ultimo dei fedeli sa che deve con maggiore lena accendere quella luce che è la preghiera. Per sé, per non vivere la Chiesa diversamente da quello che è. Per il Papa, che non a caso domanda a chi incontra di pregare per la sua persona e per la sua missione. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius: è
l’antica e bella richiesta di grazie per il Vicario di Cristo. Caro Direttore, da semplice fedele, è quel che mi viene alla mente e nel cuore con maggiore immediatezza in quest’anniversario.
Alfredo Mantovano