di Silvia Scaranari
«[…] la grande preghiera: quella che ha insegnato Gesù», il Padre nostro, dice il Papa all’Udienza generale, «[…] è la preghiera con la quale Lui pregava il Padre». Nella Messa, la recita del Padre nostro segue immediatamente i riti di consacrazione e precede lo spezzare il pane, il gesto che Gesù fece sia durante l’Ultima Cena sia con i discepoli di Emmaus e che, fin dalle prime comunità cristiane, ha indicato la celebrazione eucaristica. Non è una preghiera come tutte le altre, è la preghiera, «[…] la preghiera che ha fatto Gesù, e l’ha insegnata a noi».
I fedeli osano rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre” perché Gesù ha dato loro questo permesso e lo Spirito Santo, che rigenera gli uomini nel Battesimo, dà ai fedeli la natura di figli. Ma il Papa si domanda se siamo in grado di capire cosa significhi questo privilegio. Tanti usano la parola “Padre” senza pensarci. Abituati a questa preghiera, la si recita con tanta superficialità, con distrazione, in modo ripetitivo. Ci si dovrebbe invece fermare e pensare a cosa significhi rivolgersi a Dio come a “nostro Padre”. Lui, il creatore del mondo, Lui che mantiene in essere l’Universo, ci è Padre e noi possiamo rivolgerci a Lui con la confidenza, la familiarità che sussiste tra figli e genitori. Chiede il Pontefice: «[…] ma tu senti che quando dici “Padre” Lui è il Padre, il Padre tuo, il Padre dell’umanità, il Padre di Gesù Cristo? Tu hai un rapporto con questo Padre?». È un grande quesito che ci dovrebbe mettere in crisi, dovrebbe interrogarci nel profondo sulla nostra relazione con Dio, sul nostro essere o no rispettosi, ubbidienti, sinceri, affettuosi come si conviene a un bravo figlio.
«Quale preghiera migliore di quella insegnata da Gesù può disporci alla Comunione sacramentale con Lui? […] Nella Preghiera del Signore ‒ nel “Padre nostro” ‒ chiediamo il “pane quotidiano”, nel quale scorgiamo un particolare riferimento al Pane eucaristico, di cui abbiamo bisogno per vivere da figli di Dio. Imploriamo anche “la remissione dei nostri debiti”, e per essere degni di ricevere il perdono di Dio ci impegniamo a perdonare chi ci ha offeso».
Perdonare? Cosa difficile per gli uomini, è possibile solo con la grazia di Dio, grazia da chiedere incessantemente, perché chi non perdona non potrà essere perdonato. Come si deve chiedere di essere capaci di perdonare, così si deve chiedere di essere liberati dalle tentazioni, liberati dal male che si potrebbe fare, dal male «[…] che ci separa da Lui e ci divide dai nostri fratelli». Questa richiesta prosegue con le parole pronunciate dal sacerdote quando chiede di liberarci dal male e di donarci la pace. Non ci può essere pace fra gli uomini se questa non viene fondata sul riconoscerci fratelli, figli dello stesso Padre. Anche il gesto di pace, che precede di poco la Comunione, deve rappresentare la verità. Nessuno può accostarsi alla Comunione senza essere radicato nella pace verso gli altri uomini e senza essere in pace con Dio, come sottolinea il Santo Padre. «Nel Rito romano lo scambio del segno di pace, posto fin dall’antichità prima della Comunione, è ordinato alla Comunione eucaristica. Secondo l’ammonimento di san Paolo, non è possibile comunicare all’unico Pane che ci rende un solo Corpo in Cristo, senza riconoscersi pacificati dall’amore fraterno (cfr 1 Cor 10,16-17; 11,29). La pace di Cristo non può radicarsi in un cuore incapace di vivere la fraternità e di ricomporla dopo averla ferita». Chiude questa parte della Liturgia eucaristica l’invocazione all’”Agnello di Dio”, termine con cui san Giovanni Battista ha indicato Gesù, «colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29).
Il Padre nostro allora è una piccola summa, vi è racchiuso tutto il nostro essere come figli del Creatore, fratelli del Salvatore, fratelli degli altri uomini, peccatori bisogni di perdono, ma allo stesso tempo bisognosi di perdonare, assetati di pace e liberazione dal male, “affamati” di unione a Gesù. E così «[…] questa preghiera ci prepara alla Comunione».