« Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire » (Gv 12,20-33).
La festa qui è quella di Pasqua. Gesù realizza quello che la festa ebraica prefigura da un duplice punto di vista. Celebrando la Pasqua con i suoi discepoli il mercoledì o il giovedì (ci sono diverse teorie a proposito) “compie” ciò che la celebrazione pasquale ricorda. Il memoriale ebraico rendeva in qualche modo presente l’agire salvifico di Dio. Qui Gesù rende presente qualcosa che ancora si deve realizzare. La manducazione dell’agnello sacrificato al Tempio prende qui il suo vero e definitivo significato. Si può addirittura pensare che la manducazione dell’agnello durante la cena pasquale non ci fu, sostituita dai gesti e dalle parole di Gesù sul pane e sul vino. Qui il rito della Pasqua prende il suo vero e definitivo significato, il rito viene letteralmente “compiuto”. Ma il compimento non si ferma qui: morendo in Croce Gesù realizza la Pasqua (il “passaggio”) vera e definitiva. Il sacrificio nel Tempio tocca qui il suo compimento. D’ora in poi non avrà più senso ripeterlo e – infatti – dopo poco tempo il Tempio sarà distrutto e tutti i tentativi di ricostruirlo falliranno inesorabilmente.
Il rito dell’Eucaristia cristiana raccoglie in sé entrambi questi compimenti: sarà ormai indissolubilmente la santa Cena e il santo Sacrificio. In esso sarà perpetuamente distribuito il cibo della Parola e la Parola incarnata fatta cibo. In esso sarà sempre presente il Sacrificio perfetto, definitivo e intramontabile del Figlio di Dio che ha dato la vita per Amore. L’atto perfetto di Amore che esso rappresenta non potrà più passare e sempre, nel mistero della Messa sarà ri-presentato. Nella liturgia dell’Eucarestia, nella Messa, nella Divina Liturgia convergono tutte le antiche liturgie dell’Antico Testamento: la liturgia domestica di Pasqua, la liturgia della Sinagoga, la liturgia del Tempio. L’Ora di Gesù è l’Ora della gloria di Dio, è l’Ora della sconfitta definitiva del Demònio: « ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori », è l’Ora della nostra salvezza.