di Stefano Chiappalone
Entrando dalla porta settentrionale della cattedrale di Como, il visitatore s’imbatte in un ospite inusuale: nel marmo, infatti, si delinea una rana che da secoli tenta di afferrare una farfalla in volo. Di qui il nome comunemente noto di Porta della Rana, oltre che Porta del Vescovo, e l’usanza di toccare l’anfibio prima di varcare la sacra soglia che ne ha levigato il capo in maniera simile a quanto avviene in San Pietro mutatis mutandis et servata distantia con i piedi della statua dell’Apostolo. A sfigurarne ulteriormente il capo contribuì pure lo scatto d’ira di un uomo finito in povertà che, nel 1912, se la prese con la bestiola innocente. La quale, stando a un’altra suggestiva tradizione, custodisce un prezioso tesoro che però, effettuati gli scavi nel 1852, non fu mai trovato
In realtà, la rana comasca è soltanto un esemplare dell’abbondante fauna che si aggira negli edifici di culto medioevali, tra i cui portali e navate serpeggia un vero e proprio bestiario marmoreo. Il termine serpeggia non è casuale, poiché oltre alle colombe evangeliche o alle cerve del salmista, si trovano altre presenze molto meno mansuete: centauri, sirene, felini e, per lappunto, draghi o serpenti.
Se il leone è evidente richiamo biblico (cfr. Gn 49,9 e Ap 5,5), così come il serpente, evocazione del nemico (cfr. Gn 3,1) e al tempo stesso prefigurazione del Cristo innalzato sulla croce (cfr. Num 21,9), la mentalità allegorica dell’uomo medioevale non disdegnava simboli e mostri della tradizione pagana, reinterpretati alla luce della storia della salvezza. Del resto, lo scrittore cattolico colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) insegna che «il paganesimo è laltro Antico Testamento della Chiesa» (In margine ad un testo implicito, trad.it. a cura di Franco Volpi [1952-2009], Adelphi, Milano 2001, p. 129), come ben esemplificano le abbondanti rivisitazioni di temi mitologici presenti nella Commedia di Dante Alighieri (1265-1321).
Tra le fonti innumerevoli cui s’ispirava il simbolismo di architetti e scultori, straordinaria diffusione ebbe un testo greco del 200 d.C., denominato Il Fisiologo, in cui «attraverso narrazioni immaginifiche assai espressive, temi appartenenti ad antiche favole e leggende si mescolano qui simbolicamente a contenuti morali e mistici delle Sacre Scritture» (Gerhart Burian Ladner [1903-1994], Il simbolismo paleocristiano. Dio, Cosmo, Uomo, trad. it., Jaca Book, Milano 2008, p. 141).
Attorno al mistero di Cristo si radunano dunque animali reali e immaginari, inclusi draghi e unicorni e persino esseri mostruosi e demoniaci spesso con funzione di doccioni, da cui il nome gargouille o garguglia, con cui vengono identificati come in un gigantesco libro fantasy, tra le cui pagine di pietra l’uomo medioevale scolpiva una visione del mondo oggi perduta, ma non per questo priva di fascino, che in ogni elemento materiale sapeva scorgere un significato eterno: «quando la civiltà era permeata da una filosofia più felice, quando le cose erano viste come espressione visibile dell’invisibile, l’architettura era abbellita con migliaia di decorazioni: un pellicano che nutre i suoi figli con il proprio sangue simboleggiava il sacrificio di Cristo; la garguglia che faceva capolino da dietro una colonna in una cattedrale ci ricordava che le tentazioni possono raggiungerci anche nei luoghi più sacri. Nostro Signore, in vista del Suo ingresso a Gerusalemme, disse che se gli uomini avessero trattenuto la lode di Dio, le pietre avrebbero gridato [cfr. Lc 19,43] come in effetti più tardi sono esplose nelle cattedrali gotiche» (venerabile Fulton John Sheen [1895-1979], These are the Sacraments, con Yousuf Karsh [1908-2002], Image Books, New York 1962, p. 11).