Giovanni Cantoni, Quaderni di Cristianità, anno II, n. 4, primavera 1986
Il 18 maggio 1986 si è tenuta a Torino l’Assemblea nazionale dei Comitati di Collegamento di Cattolici sul tema Cattolici e politica (cfr. «Cattolici e politica, in Cristianità, anno XIV, n. 134-135, giugno-luglio 1986). Nel corso dell’incontro Giovanni Cantoni — intervenuto a nome di Alleanza Cattolica — ha svolto una relazione di cui si pubblica il testo con in nota i riferimenti relativi alle citazioni e a qualche tesi.
Cattolici, politica e dottrina sociale della Chiesa
Il tema «cattolici, politica e dottrina sociale della Chiesa» tollera indubbiamente diversi approcci, fra i quali è quindi d’obbligo fare delle scelte, nella evidente impossibilità — derivante sia dal tempo a disposizione che dalla capacità della persona a cui spetta gettare su di esso qualche lume — di una trattazione che si possa ragionevolmente considerare esauriente.
Conscio di questa oggettiva difficoltà — e, quindi, della infondatezza di ogni pretesa di completezza, poste le premesse che ho ricordato — non intendo però limitarmi a qualche flash disarticolato, che subito si traduca in suggestione per il quotidiano, in elemento di polemica che superi d’un balzo ogni doveroso sforzo di ascolto e di esposizione, e dunque ogni dialogo degno di questo nome — sia esso «domestico» che ad extra (1) — in quanto pratica consustanziale alla natura sociale dell’uomo (2).
E non intendo neppure — e lo dichiaro previamente — esporre gli obiettivi di una politica fatta da cattolici sulla base dei contenuti della dottrina sociale della Chiesa, di cui oggi si può trovare sintesi rapidissima e autorevole nella prima parte del quinto capitolo dell’istruzione Libertatis conscientia. Mi propongo piuttosto di mostrare — anche se per sommi capi —
1. che un legame sostanziale unisce cattolici, politica e dottrina sociale della Chiesa;
2. che questo legame si fonda sulla ecclesiologia così come è espressa dal Magistero, soprattutto da quello più recente e, quindi, più direttamente rispondente alle sfide della società secolarizzata;
3. e, infine, che questo legame rende indispensabile — per una politica fatta da cattolici — un riferimento non vago, ma puntuale e preciso, appunto alla dottrina sociale della Chiesa (3).
Prima di entrare in argomento credo utile anche una nota di carattere metodologico: facendo citazioni dal Magistero, e ne farò obbligatoriamente molte, mi limiterò, di massima, a un riferimento per ogni tesi, senza documentare la sua eventuale e pur così importante reiterazione (4), ma non sfugge la ragione di necessita di questo modo di procedere.
Nella relazione finale della seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi è contenuto — fra tanti — un suggerimento prezioso secondo cui «l’evangelizzazione non riguarda solo la missione nel senso comune del termine cioè ad gentes. L’evangelizzazione dei non credenti infatti presuppone l’autoevangelizzazione dei battezzati, ed anche in certo senso dei diaconi, dei sacerdoti e dei vescovi» (5). Dunque, di missione possono e devono essere oggetto — in determinate condizioni almeno — anche coloro che sono già stati missionati. E appunto nel proemio e nel primo capitolo del decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes divinitus — primo capitolo che riprende e svolge i temi del primo capitolo della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium — si espongono le basi teologiche di ogni missione, di ogni azione apostolica nel mondo.
Vi è — si dice — un disegno salvifico universale del Padre, disegno che si esprime nella creazione dell’universo, quindi nella elevazione degli uomini alla partecipazione alla sua vita divina, ma, soprattutto, nell’assistenza a essi sempre prestata anche dopo la loro caduta in Adamo, in considerazione di Cristo redentore.
Vi è poi — all’interno di questo piano salvifico che, come ho ricordato, comprende anche la creazione — la missione del Figlio, «per sottrarre per mezzo di lui gli uomini al potere delle tenebre e di satana e in lui riconciliare a sé il mondo»; «ora, quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per la salvezza del genere umano, deve essere proclamato e diffuso fino all’estremità della terra […], così che quanto una volta è stato operato per la comune salvezza, si realizzi compiutamente in tutti nel corso dei secoli» (6).
Viene, quindi, la missione dello Spirito Santo che, «nel giorno della Pentecoste si effuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno»: «dalla Pentecoste infatti cominciarono gli “atti degli apostoli”» (7).
Dal piano salvifico del Padre, dunque, dalla missione del Figlio e da quella dello Spirito Santo nasce la missione della Chiesa — corpo mistico del Signore, società gerarchica sui generis e popolo di Dio —, istituita «perché “la parola di Dio corra e sia glorificata” (2 Tess. 3, 1) e il regno di Dio sia annunciato e stabilito in tutta la terra», e «perché il popolo di Dio, camminando per l’angusta via della croce, diffonda ovunque il regno di Cristo, signore e osservatore dei secoli, e prepari le strade a lui che viene» (8).
Il periodo dell’attività missionaria della Chiesa si situa. quindi, fra la prima e la seconda venuta di Cristo (9), così come «missione» è il nome della vita da Dio a Dio: «L’attività missionaria non è nient’altro e niente meno che la manifestazione, cioè l’epifania e la realizzazione, del piano di Dio nel mondo e nella sua storia; in essa Dio, attraverso la missione, attua chiaramente la storia della salvezza» (10).
Ma «l’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l’ordine temporale. Perciò la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico. I laici dunque, svolgendo questa missione della Chiesa, esercitano il loro apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell’ordine spirituale e in quello temporale: questi due ordini, sebbene siano distinti, nell’unico disegno di Dio sono così legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creatura, in modo iniziale su questa terra, in modo perfetto nell’ultimo giorno. In ambedue gli ordini il laico, che e ad un tempo fedele e cittadino, deve continuamente farsi guidare dalla sola coscienza cristiana», «una conscientia christiana» (11).
Ecco quindi, sulla base del Magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II — concilio certamente «pastorale», ma non per questo privo di «dottrina», anche se non inteso a definizioni «dottrinali» —, descritti i parametri teologici al cui interno si inscrive con ogni chiarezza il rapporto tra i christifideles laici e l’ordo temporalis. Questo rapporto — come tutti i rapporti fra le realtà create e fra queste e il Creatore — è sub Deo e si inserisce in un ritmo che — per usare terminologia tomistica — è di exitus e di reditus (12) , oppure — per servirsi del linguaggio di Alessandro di Hales (+1245) — è di creazione e di restaurazione (13). E come l’itinerario del reditus o della restaurazione individuale o personale è segnato dallo sforzo umano — l’ascetica — animato dalla grazia — la mistica — nel rispetto, per amore e non per timore, della legge di Dio — la morale — , non diverso carattere ha, analogamente, l’itinerario del reditus o della restaurazione sociale.
Tralascio ogni sviluppo — sia pure assolutamente sommario — del tema relativo alla mistica sociale o dell’ordine temporale, anche se non mi impedisco di citare almeno un passo dell’omelia tenuta dal regnante Pontefice l’11 maggio 1986 a Ravenna, in Sant’Apollinare. In tale omelia si dice che «questa Città [Ravenna] seppe esprimere le grandi verità che danno senso alla vita dell’uomo nella stupenda bellezza delle sue opere d’arte, nei mosaici, nelle basiliche, nelle pievi romaniche circostanti. In tali realizzazioni — nota il Sommo Pontefice — non c’è solo talento, arte, ispirazione, come e stato scritto, ma s’indovina qualcosa di misterioso — quindi di «mistico», aggiungo io — che affascina l’intelligenza e la porta insensibilmente a riflettere sulla sorgente ispiratrice degli ignoti artisti di quei tempi lontani» (14).
Ma se tralascio sostanzialmente — anche se molto a malincuore — ciò che dice riferimento alla dinamica dell’aiuto divino nell’opera di riconciliazione dell’ordine temporale, non posso assolutamente tacere né dello sforzo umano in essa profuso, né della legge che a tale riconciliazione presiede — la «legge dell’ascesa», come la chiama Papa Giovanni Paolo II (15) —, né di quella che di tale riconciliazione è regola.
Parto da quest’ultima, che è appunto la dottrina sociale della Chiesa, della cui «rivalutazione» — come la definisce l’istruzione Libertatis nuntius (16) —, dopo anni di «crepuscolo artificiale» (17), siamo testimoni. Essa è la «morale sociale cristiana, fondata sul Vangelo e su tutta la tradizione dai tempi apostolici e dall’epoca dei Padri della Chiesa fino ai recenti interventi del Magistero»; essa è «concreta applicazione del grande comandamento dell’amore» (18). Attraverso di essa la Chiesa «offre un insieme di principi di riflessione e di criteri di giudizio, e quindi di direttive di azione» (19). Essa si fonda su «tre pilastri», la verità sull’uomo, la verità su Cristo e la verità sulla Chiesa (20). Di recente il Sommo Pontefice ha notato, a proposito della legge morale, con particolare riferimento a quella individuale, che «questa legge non è solo costituita da orientamenti generali, la cui precisazione nel loro rispettivo contenuto è condizionata dalle varie e mutabili situazioni storiche». Infatti, «esistono norme morali aventi un loro preciso contenuto immutabile ed incondizionato. […] Negare che esistano norme aventi un tale valore può farlo solo chi nega che esista una verità della persona, una natura immutabile dell’uomo, ultimamente fondata su quella Sapienza creatrice che dona la misura a ogni realtà. È pertanto necessario che la riflessione etica si fondi e si radichi sempre più profondamente su una vera antropologia e questa, ultimamente, su quella metafisica della creazione che è al centro di ogni pensare cristiano. La crisi dell’etica è il “test” più evidente della crisi dell’antropologia, crisi dovuta a sua volta al rifiuto di un pensare veramente metafisico. Separare questi tre momenti — quello etico, quello antropologico, quello metafisico — è un gravissimo errore. E la storia della cultura contemporanea lo ha tragicamente dimostrato». «A questo punto la riflessione etica razionale si completa, trovando il suo perfezionamento nella riflessione etica teologica» (21). Ebbene, gli stessi caratteri della morale tout court e di quella personale in specie, si ritrovano, mutatis mutandis, nella morale sociale cristiana, i cui tre momenti, frutto della riflessione etica razionale, sono nel caso appunto quello etico, quello sociologico e quello metafisico, «in conformità alla tradizione del pensiero europeo, che risale alle opere dei più grandi filosofi dell’antichità e che ha trovato la sua piena conferma e il suo approfondimento nel Vangelo e nel cristianesimo» (22).
Sposando la Genesi (23) e san Paolo (24), Plinlo il Vecchio (25) e Menenio Agrippa riportato da Tito Livio (26), nell’istruzione Libertatis conscientia si afferma: «Dio non ha creato l’uomo come un “essere solitario”, ma lo ha voluto come un “essere sociale”. La vita sociale non è, dunque, estrinseca all’uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri. L’uomo appartiene a diverse comunità: familiare, professionale, politica, ed è in seno ad esse che egli deve esercitare la sua libertà responsabile. Un ordine sociale giusto offre all’uomo un aiuto insostituibile per la realizzazione della sua libera personalità. Al contrario, un ordine sociale ingiusto è una minaccia e un ostacolo, che possono compromettere il suo destino.
«Nella sfera sociale, la libertà si esprime e si realizza nelle azioni, nelle strutture e nelle istituzioni, grazie alle quali gli uomini comunicano tra loro ed organizzano la loro vita in comune. Il pieno sviluppo di una libera personalità, che è per ciascuno un dovere ed un diritto, deve essere aiutato e non già ostacolato dalla società» (27) .
Questa, a linee grandissime, la regola che presiede all’opera di riconciliazione sociale, che è meta dell’azione sociale in cui si traduce la «carità politica» — come l’ha chiamata in un memorabile discorso Pio XI —, quella carità politica «a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore» (28) . Infatti, se la religione dice diretto rapporto con Dio, «la dimensione sociale dell’essere umano riveste anche un altro significato» oltre a quello di mezzo a lui connaturato per il perseguimento di un fine sovraordinato: «solamente la pluralità e la ricca diversità degli uomini possono esprimere qualcosa dell’infinita ricchezza di Dio»; inoltre, «questa dimensione è destinata a trovare il suo compimento nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa. È per questo che la vita sociale, nella varietà delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina, costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo» (29).
Dunque, ricapitolando in linguaggio scolastico quanto attiene alla dottrina sociale (30), si può dire anzitutto che la causa efficiente della società politica è la naturale socialità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio e maschio e femmina (31), e che in tale immagine radica la propria dignità.
La causa formale della società politica è, poi, l’autorità politica, la cui missione non consiste nel dominare, ma nel servire la società nella prospettiva del suo sviluppo integrale, esercitando eventualmente — ratione peccati — anche il potere di coazione.
La causa materiale della società politica è costituita dai sudditi, avendo ben chiaro che l’uomo non esiste per lo Stato, ma lo Stato per l’uomo.
La causa esemplare quindi, o modello della società politica, è, secondo Papa Pio XII, «Dio Uno e Trino» (32); al dire di Papa Giovanni XXIII «il Regno di Dio», di cui deve essere «uno specchio il più fedele possibile» (33); secondo Papa Leone XIII, la Chiesa (34); comunque, nell’istruzione Libertatis conscientia, «un ordine trascendente, che senza togliere […] [all’ordine temporale] il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura» (35).
Infine, l’obiettivo o la causa finale della società politica è il bene comune, realizzato — per usare parole di Papa Paolo VI — «nel rispetto delle legittime libertà degli individui, delle famiglie e dei gruppi sussidiari, al fine di creare efficacemente e a vantaggio di tutti le condizioni richieste per raggiungere il vero e completo bene dell’uomo, ivi compreso il suo fine spirituale» (36).
Vengo finalmente alla «legge dell’ascesa», all’ascetica sociale, che trova nella dottrina sociale della Chiesa i suoi principi di riflessione, i suoi criteri di giudizio, le sue direttive di azione. Se è vero che primo momento della evangelizzazione è — come afferma Papa Paolo VI — la testimonianza di vita, «anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata […], esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù», annuncio che a sua volta non sarebbe completo «se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo. Per questo l’evangelizzazione comporta un messaggio esplicito, adattato alle diverse situazioni, costantemente attualizzato, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla vita familiare senza la quale la crescita personale difficilmente è possibile, sulla vita in comune nella società, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo; un messaggio, particolarmente vigoroso nei nostri giorni, sulla liberazione», dal momento che «tra evangelizzazione e promozione umana […] ci sono […] dei legami profondi» «di ordine antropologico», «di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione», e, infine, di «ordine eminentemente evangelico, quale e quello della carità» (37). Ed è d’obbligo che l’evangelizzazione sia preceduta da un’autoevangelizzazione da parte dei credenti, un’autoevangelizzazione svolta senza ambiguità (38) e non con l’intento di coprire il fatto — o il non fatto, o addirittura il mal fatto —, ma di scoprire finalmente il da farsi, integralmente e non in una prospettiva riduzionistica oppure giustificazionistica.
A questa autoevangelizzazione — che dà come frutto una rinsaldata «coscienza di verità» (39) — segue l’apostolato ad gentes, realizzato senza lasciarsi «condizionare da quei meccanismi che la mentalità secolaristica mette in atto per bloccare sul nascere le vie dell’evangelizzazione» (40), nella prospettiva del proselitismo frutto dell’opera di convincimento, del colloquio e del dialogo. E l’opera di convincimento è appunto il primo e il più umano perseguimento di vittoria, dal momento che è un «cum vincere», che mi piace leggere come un «vincere insieme», un coinvolgere l’avversario del momento — amato, anche se contingentemente ma non mai radicalmente «nemico» — nella vittoria, che non è e non vuole essere vittoria su di lui — e, quindi, tanto meno prevaricazione —, ma sconfitta dell’errore e del male di cui è schiavo; in breve, un farlo partecipe della sua liberazione.
L’opera di evangelizzazione sociale, dal canto suo, implica anche giudizi, dal momento che «l’amore verso chi erra non deve mai comportare nessun compromesso con l’errore: l’errore deve essere smascherato e giudicato. L’amore che la Chiesa ha verso l’uomo la obbliga a dire all’uomo come e quando la sua verità e negata, il suo bene non riconosciuto, la sua dignità violata, il suo valore non adeguatamente apprezzato» (41); magari con la franchezza con cui, di recente, il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, ha detto essere uno Stato ipocrita quello che definisce una legge che autorizza gli aborti «legge a tutela della maternità» (42).
L’opera di evangelizzazione sociale, ancora, prevede che «i laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù» (43). Infatti, «le umane istituzioni, sia private che pubbliche», devono essere messe «al servizio della dignità e del fine dell’uomo, nello stesso tempo combattendo strenuamente contro ogni forma di servitù sociale e politica, e difendendo i fondamentali diritti degli uomini sotto qualsiasi regime politico. Anzi, queste istituzioni si devono a poco a poco accordare con le realtà spirituali, le più alte di tutte, anche se talora occorra un tempo piuttosto lungo per giungere al fine desiderato» (44). E, a proposito di unione, è illuminante il pronunciamento di Papa Giovanni Paolo II, per il quale «esiste, deve esistere una unità fondamentale, che è prima di ogni pluralismo e sola consente al pluralismo di essere non solo legittimo, ma auspicabile e fruttuoso» (45).
L’opera, infine, di evangelizzazione sociale deve essere animata da una «speranza [che] non attenua l’impegno per il progresso della città terrena, ma al contrario gli dà senso e forza. Certamente, bisogna distinguere con cura tra progresso terrestre e crescita del Regno, che non sono dello stesso ordine. Tuttavia questa distinzione non è una separazione; infatti, la vocazione dell’uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo compito di mettere in atto le energie ed i mezzi, che ha ricevuti dal Creatore per sviluppare la sua vita temporale» (46).
Intervenendo nel corso della seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, il cardinale Roger Etchegaray, presidente della Pontificia Commissione Iustitia et Pax e del Pontificio Consiglio Cor Unum, ha affermato, in tema di dottrina sociale della Chiesa, che «si tratta di fare riemergere non soltanto il carattere etico di ogni azione sociale, ma il fondamento religioso dell’etica sociale», e che «la riabilitazione della dottrina sociale della Chiesa passa per la sua ricollocazione nel cuore della teologia» (47). Ebbene, a questo autorevole pronunciamento mi sono sforzato di dare seguito in questa occasione, per fornire un contributo a ché, con sempre maggiore senso di responsabilità, si traduca nei fatti l’esortazione di Papa Paolo VI, secondo cui «è compito dei raggruppamenti culturali e religiosi, nella libertà d’adesione ch’essi presuppongono, di sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per le vie loro proprie, […] convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine dell’uomo e della società» (48). Ben conscio dei limiti della mia esposizione, sono però ugualmente convinto che con i temi trattati nel mio abbozzo teologico-morale si debba confrontare obbligatoriamente, prima o poi, presto o tardi, chiunque pretenda di fare riferimento non «liberale» — nel senso del crociano «perché non possiamo non dirci cristiani» — alla Chiesa e alla sua dottrina e, a qualsiasi titolo, anche eventualmente elettorale, voglia fare appello a quanti in essa militano.
Infatti, trascurare la fondazione teologica della politica e valutare la «teologia della politica» (49) che ne deriva come una theologia otiosa; oppure considerarla non solo vana ma addirittura dannosa — facendola coincidere con quella «teologia politica» con cui costantemente polemizza, e a ragione, il cardinale Joseph Ratzinger (50) — equivale, se non a ridurre automaticamente l’autorità al potere e a confondere il servizio con il dominio, almeno a esporsi a tale riduzione e a tale confusione, eventualmente trattando la Cristianità — cioè quanto resta del mondo cattolico — come un residuo sociologico destinato a estinzione e non come una realtà da risvegliare. Infatti, ancora, se «nei paesi di ateismo dichiarato […] [il cristianesimo] sopravvive malgrado le oppressioni, e suscita nuove generazioni di credenti, di testimoni e talvolta di martiri», «nei paesi di antica cristianità, il cristianesimo non può essere misurato da sondaggi e da statistiche: è spesso sepolto nelle coscienze, bisogna risvegliarlo» (51). Nella prospettiva di questo risveglio sta il nostro impegno, spirituale, intellettuale, e finalmente sociale, per «una società a misura di uomo e secondo il piano di Dio» (52), come è certamente quella annunciata dalla Vergine santissima a Fatima con la promessa: «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà».
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. PAOLO VI, Enciclica Ecclesiam suam, del 6-8-1964, nn. 117 e 98-115.
(2) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XVI Giornata Mondiale della Pace, dell’8-12-1982, n. 6.
(3) Cfr. IDEM, Discorso ai rappresentanti dei movimenti operai cristiani sulla tomba del cardinale Cardijn, del 19-5-1985, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 1, p. 1533.
(4) Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 25.
(5) SINODO DEI VESCOVI, Relazione finale della seconda assemblea straordinaria, Roma 24-11,8-12-1985, II, B, a, 2.
(6) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes divinitus, n. 3.
(7) Ibid., n. 4.
(8) Ibid., n. 1.
(9) Cfr. ibid., n. 9.
(10) Ibidem.
(11) IDEM, Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, n. 5.
(12) Cfr. GIORDANO GHINI O. P., Il contenuto e il piano della Somma Teologica, in SAN TOMMASO D’AQUINO, La Somma Teologica, Introduzione generale, Salani, Firenze 1949, pp. 225-228.
(13) Cfr. ibid., pp. 244-245.
(14) GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, dell’11-5- 1986, in L’Osservatore Romano, 12/13-5-1986.
(15) IDEM, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, del 2-12-1984, n. 16.
(16) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su alcuni aspetti della «teologia della liberazione» «Libertatis nuntius», del 6-8-1984, XI, 12. Cfr. il mio La «rivalutazione» della dottrina sociale della Chiesa, in Cristianità, anno XIV, n. 133, maggio 1986.
(17) Cfr. il mio Dottrina sociale e lavoro umano nella «Laborem exercens», in Cristianità, anno IX, n. 78- 79, ottobre-novembre 1981.
(18) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», del 22-3-1986, n. 71.
(19) Ibid., n. 72.
(20) IDEM, Istruzione su alcuni aspetti della «teologia della liberazione» «Libertatis nuntius», cit., V, 8.
(21) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di teologia morale, del 10-4-1986, in L’Osservatore Romano, 11-4-1986.
(22) IDEM, Discorso alla 169a Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale polacca a Jasna
Gora, del 5-6-1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 1, p. 1442.
(23) Cfr. Gen. 2, 18; e il commento in SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., nota 20.
(24) Cfr. Rom. 13, 1-7.
(25) Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Naturalis historia, libro VII, 1.
(26) Cfr. TITO LIVIO, Ab Urbe condita, libro II, 32.
(27) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., n. 32.
(28) PIO XI, Discorso ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, del 18-12-1927, in Discorsi di Pio XI, vol. I (1922-1928), SEI, Torino 1960, p. 745.
(29) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., n. 33. Cfr. il mio La «buona battaglia» di Alleanza Cattolica per la maggiore gloria di Dio anche sociale, in Cristianità, anno XI, n. 100, agosto-ottobre 1983.
(30) Cfr. HUGO TAGLE MARTÍNEZ, Visión de la doctrina política de la Iglesia católica, Instituto de Estudios Ggenerales, Santiago del Cile 1981, pp. 23-92.
(31) Cfr. Gen. 1, 26-27.
(32) PIO XII, Radiomessaggio natalizio al mondo, del 24-12-1942, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IV, p. 330.
(33) GIOVANNI XXIII, Enciclica Pacem in terris, dell’11-4-1963, in Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. V, p. 565.
(34) Cfr. LEONE XIII, Enciclica Quod Apostolici muneris, del 28-12-1878, in La pace interna delle nazioni. Insegnamenti pontifici, a cura dei monaci di Solesmes, trad it., 2a ed., Edizioni Paoline, Roma 1962, p. 72.
(35) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., n. 62.
(36) PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, del 14-5-1971, n. 46.
(37) IDEM, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, dell’8-12-1975, nn. 22, 29 e 31.
(38) Cfr. ibid., n. 32.
(39) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale su Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, dell’11-4-1985, n. 4. Cfr. il mio Cattolici in Italia dopo Loreto, in Cristianità, anno XIII, n. 121, maggio 1985.
(40) IDEM, Discorso ai partecipanti alla VI Assemblea Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, del 25-4-1986, in L’Osservatore Romano, 26-4-1986.
(41) IDEM, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di teologia morale, cit.
(42) Cfr. Avvenire, 15-5-1986.
(43) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 36.
(44) IDEM, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 29.
(45) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana sul tema: Dalla «Rerum Novarum» a oggi: la presenza dei cristiani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa, del 31-10-1981, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. IV, 2, p. 522.
(46) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., n. 60.
(47) Cit. in L’Osservatore Romano, 30-11-1985.
(48) PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, cit., n. 25.
(49) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai parlamentari e ai rappresentanti del governo del Lichtenstein, dell’8-9-1985, in L’Osservatore Romano, 9/10-9-1985.
(50) Cfr., per esempio, JOSEPH CARD. RATZINGER, Cristianesimo e democrazia pluralista. Sull’imprescindibilità del cristianesimo nel mondo moderno, in Quaderni di «Cristianità», anno I, n. 2, estate 1985, pp. 45-56.
(51) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Segretariato per i non credenti, del 22-3-1985, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 1, pp. 692-693.
(52) IDEM, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana sul tema: Dalla «Rerum Novarum» a oggi: la presenza dei cristiani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa, cit., p. 523.