Da Il Tempo del 20/04/2018. Foto da Terzomunicipio
A breve le Sezioni Unite della Corte di Cassazione decideranno sulla vicenda di due persone dello stesso sesso, unite in matrimonio all’estero, che hanno chiesto la trascrizione nei registri dello stato civile del Comune di Trento di un provvedimento giudiziario canadese, che a sua volta aveva accertato la genitorialità di uno di essi. I figli,
nati da maternità surrogata in Canada, sono cittadini canadesi, mentre i due genitori hanno la cittadinanza italiana e hanno contratto «matrimonio» in Ontario.
La coppia aveva impugnato il diniego del Comune in Tribunale, sempre a Trento; il Tribunale aveva respinto la domanda di trascrizione, ma la Corte di appello del luogo ha poi riconosciuto l’efficacia nell’ordinamento italiano del provvedimento canadese. Il giudizio è andato in Cassazione su ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Trento. Se una Sezione ordinaria della Cassazione ha ritenuto di trasmettere la decisione alle Sezioni Unite è perché si tratta di una questione delicata, complessa e di
rilievo.
Che spreco! avranno pensato in Campidoglio, trovandosi di fronte a una vicenda analoga. E così, per economia di risorse umane, invece che costringere a lavorare tre giudici in primo grado, tre in appello e nove in Cassazione, il Comune di Roma ha risolto la questione per via diretta: nei tempi istantanei con i quali rilascia una carta di identità! Oddio, avrebbero potuto attendere la pronuncia delle Sezioni Unite: che non sarà legge, ma quanto meno fornirà un orientamento. Ma questo avrebbe incrinato la fama di celerità con cui il Comune risponde alle istanze dei cittadini.
Eppure un supplemento di riflessione non guasterebbe. Intanto per ragioni di forma: la tenuta dei registri dello stato civile è prevista a carico del Comune, ma il Sindaco è chiamato a svolgere tale funzione non in quanto capo dell’amministrazione municipale,
bensì quale ufficiale del governo.
Non è un caso se le modalità di tenuta dei registri medesimi non variano da Comune a Comune ma, in doppio originale, devono rispettare la conformità prevista da un decreto del ministro dell’Interno: a sua volta attuativo di una legge dello Stato che il sindaco
non ha facoltà di discutere ma obbligo di applicare.
L’ordinamento dello stato civile – inutile ricordarlo non prevede la registrazione di una persona come figlio di due genitori dello stesso sesso.
Poi per motivi di sostanza. Immagino che il Campidoglio sappia che l’utero in affitto è una pratica in Italia penalmente vietata: è un reato punito fino a due anni di reclusione dall’art. 12 della legge 40/2004. Immagino che segua l’orientamento della Corte di appello di Trento, e si ponga il problema di non provocare fratture fra quel che è stato riconosciuto all’estero e lo status che il bambino è chiamato ad assumere in Italia.
Chiedo: si pone il quesito se decisioni del genere non favoriscano i viaggi all’estero, propagandati dai siti specializzati, per fare figli con l’ovulo e l’utero di altre? Perché in un commercio del genere vi è un solo rilevante ostacolo: capire a chi appartiene il bambino una volta tornati in Italia, visto che non lo si può registrare come figlio di due
persone dello stesso sesso. Scelte come quella del Comune di Roma superano l’ostacolo. E quindi favoriscono la mortificazione del corpo di almeno due donne – la “donatrice” dell’ovulo e la “donatrice” dell’utero” (virgolette d’obbligo visto che comunque sono remunerate) -, e l’acquisto di un figlio sul catalogo, a prezzi varianti fra i 120.000 e i 160.000 dollari, oltre alla costituzione di una platea.
Alfredo Mantovano