Perplessità e angoscia per i cattolici
«OSTPOLITIK» VATICANA E REALTÀ COMUNISTA
L’incontro tra Papa Paolo VI e il massimo esponente comunista polacco è stato caratterizzato da dichiarazioni letteralmente sconcertanti, soprattutto se confrontate con affermazioni e prese di posizione, recenti e recentissime, dell’episcopato polacco. Come non essere colpiti da tali divergenze di giudizio? Come non chiedersi che cosa stia succedendo nella Chiesa? Chi mente: i perseguitati o i persecutori?
Le ragioni di perplessità, per i cattolici, sono ormai tanto numerose da produrre, il più delle volte, una sorta di assuefazione alle dichiarazioni e ai gesti sconcertanti, anche in chi sarebbe bene intenzionato a vigilare, per non cadere in tentazione.
Ma le perplessità sono causa, a volte e con frequenza sempre maggiore, di un autentico stato di angoscia, soprattutto quando sono originate da affermazioni o da comportamenti di esponenti della gerarchia ecclesiastica. Che dire poi, che nome dare al sentimento che si impadronisce di un cattolico colpito da qualche affermazione o da qualche gesto compiuto dal Sommo Pontefice?
Sappiamo trattarsi di tema sgradito e sgradevole – già leggiamo dispiacere o disappunto, o entrambi, sul volto di molti nostri lettori -, ma ci sembra che non sia lecito tacere oltre un certo segno, non per giudicare, ma almeno per testimoniare, per dare pubblica espressione al sentimento di molti, prima che tale sentimento, represso o inespresso, abbia a corrodere il dono prezioso senza il quale è impossibile piacere a Dio, la nostra fede.
Quello che ci spinge a parlare, comunque, è frutto di una scelta di cui ci assumiamo l’intera responsabilità.
I
Veniamo dunque a un caso, recente e rilevante.
Il 1º dicembre 1977 Papa Paolo VI ha ricevuto Edward Gierek, primo segretario del comitato centrale del Partito Operaio Unificato Polacco – il partito comunista polacco – e membro del consiglio di Stato della Repubblica Popolare di Polonia.
1. Nel corso dell’udienza il Pontefice ha rivolto all’ospite un discorso, dicendo, fra l’altro: «Noi siamo certi di poter dare aperta assicurazione che ancor oggi la Chiesa è pronta ad offrire alla società polacca il suo contributo positivo. Essa ne ha la volontà e la capacità, soprattutto quando si tratti dell’educazione al rispetto dei valori morali, inclusi quelli riferentisi all’etica sociale e alla generosità nella cooperazione per il bene comune, nel lavoro e nel libero impegno personale per il reale e completo progresso del Paese.
«Siamo stati informati delle iniziative che Ella intraprende per la tutela della famiglia, anche promuovendo la costruzione di abitazioni per i giovani sposi, e dei propositi da Lei manifestati in ordine alla elevazione del livello morale della gioventù. Questo riconoscimento che Le viene anche dalla Chiesa in Polonia significa insieme la volontà di appoggiare simili sforzi, che rispondono del pari a profonde preoccupazioni Nostre e della Gerarchia del Suo Paese.
«[…] Di tutto ciò abbiamo avuto occasione di parlare più concretamente nel colloquio con Vostra Eccellenza […]. In esso abbiamo espresso il voto e, per parte Nostra, la volontà di cooperare perché, in un clima di fiduciose relazioni fra Chiesa e Stato, e con il riconoscimento dei compiti propri e della missione della Chiesa nella realtà contemporanea del Paese, sia favorita quella “unità dei polacchi nell’opera di costruzione della prosperità della Repubblica Popolare di Polonia” che è anche nei voti dell’Episcopato.
«Solo così, del resto, la Chiesa sarà in grado di portare più pienamente quel concorso che essa desidera dare e che da essa si attende. Un concorso che avrà tanto maggiori prospettive di essere efficace quanto meglio si avvereranno le altre condizioni che favoriscono un alto livello morale nella società, dall’educazione e dalla formazione della gioventù nelle scuole e nelle istituzioni dello Stato alle condizioni dell’ambiente di lavoro e alle situazioni socio-economiche […]» (1).
2. Nel suo indirizzo di omaggio al Santo Padre, Edward Gierek, per parte sua, ha, tra l’altro, affermato: «Noi annettiamo grande importanza al consolidamento della famiglia ed all’educazione delle nuove generazioni», nella prospettiva di una «unità patriottica», che «tende a superare le differenze dottrinali», dal momento che «tra la Chiesa e lo Stato non ricorre una situazione di conflitto: ciò che vogliamo è di operare in comune per la realizzazione dei grandi obiettivi nazionali» (2).
II
Dunque, dal discorso di Papa Paolo VI sembra si possa desumere – senza particolari sforzi interpretativi – che si darebbe un fine comune, un comune «bene comune», perseguibile, sia dalla Chiesa che dallo Stato guidato dal partito comunista, attraverso buoni e retti rapporti tra le due società – quella ecclesiastica e quella civile – e attraverso la cura comune, metodica e ordinata, per la educazione della gioventù, per la pubblica moralità e per la tutela della famiglia. Di tale cura per il comune «bene comune» il Pontefice dà atto al rappresentante del partito comunista e quindi dello Stato comunista polacco, e si fa portatore di analogo riconoscimento da parte della stessa gerarchia ecclesiastica polacca.
In senso diametralmente opposto, d’altra parte, si esprimono voci cui è difficile negare almeno quella autorevolezza che deriva dalla esperienza diretta.
1. Non vi è dunque conflitto, in Polonia, tra Chiesa e Stato comunista?
«Il nostro più grande tesoro, la fede cattolica, è continuamente minacciato. Il programma di ateizzazione della nazione, abilmente mascherato, diventa sempre più grave, poiché cerca in ogni maniera di spogliare la vita della nostra comunità sociale dello spirito del Vangelo di Cristo.
«Chi guarda in modo superficiale alla vita della Chiesa in Polonia può avere l’illusione che l’attività della Chiesa nel nostro Stato non trovi ostacoli. […] In realtà però non ha ancora avuto fine la odiosa, brutale lotta contro la fede in Dio e contro la Chiesa di Cristo. Si respira in continuazione e dappertutto una misteriosa cospirazione contro Dio. Con dimensioni sempre più vaste anche le istituzioni di carattere formativo e le istituzioni sociali e politiche intraprendono e conducono avanti il programma di ateizzazione della nazione. […] Simile azione èsoprattutto una violazione dei diritti naturali di ogni cittadino. […] La lotta contro la religione viene sostenuta con i fondi che provengono dalle tasche dei cattolici credenti. […] Per ostacolare il progresso della religione ed anche per limitare la venerazione di Dio, si adoperano i regolamenti della legge sull’edilizia […].
«Un altro doloroso problema è costituito dalla discriminazione religiosa nell’applicazione del diritto di lavoro […].
«A motivo della cosiddetta attività religiosa i credenti vengono spesso privati di certi posti e anche del lavoro […].
«I metodi usati nell’ateizzazione programmata sono molteplici. Nella vita sociale, nel sistema giuridico vengono introdotti ogni tanto alcuni cambiamenti. Si dice ufficialmente che essi servono alla ristrutturazione economica del sistema. In realtà però ci troviamo di fronte a nuovi metodi di lotta contro la fede e contro la Chiesa […].
«Ecco il doloroso quadro delle condizioni di lavoro della Chiesa nella nostra Patria. Il programma di ateizzazione politica viene realizzato in maniera sempre più energica. La sua introduzione nella vita pratica procede per tappe, così che la nostra società non potrà accorgersi facilmente di essere stata vittima di un processo manovrato di distruzione della fede» (3).
2. L’educazione della gioventù nelle istituzioni comuniste concorre dunque allo stesso «bene comune» perseguito dalla Chiesa?
«I genitori cattolici e la loro prole dicono sempre più spesso che l’insegnamento nelle scuole dei vari gradi e anche nelle scuole superiori serve a infondere la miscredenza. Si proclama senza nessuna giustificazione che le concezioni religiose non possono essere conciliate con i risultati della scienza contemporanea. In molti luoghi si pongono ostacoli ai bambini e ai giovani di usufruire della catechesi, di partecipare alla santa messa e alle funzioni sacre oppure di adempiere altre pratiche religiose. Questo riguarda soprattutto i bambini e i giovani, che usufruiscono degli asili statali e dei convitti. Nelle colonie estive anche quest’anno è stato proibito di partecipare alle pratiche religiose e qualche volta di tenere un qualsiasi segno religioso come, per esempio, medagliette, crocifissi o immagini sacre. La resistenza può provocare l’esclusione del bambino dalle colonie estive oppure l’applicazione di altre sanzioni repressive illegali […].
«Il principale obiettivo dei piani antireligiosi è stato indirizzato verso la fede della gioventù e […] verso la fede appena germogliata dei bambini indifesi, anche dei bambini nell’età pre-scolastica» (4).
3. In questo clima, che ne è dunque della pubblica moralità e della tutela della famiglia?
«I mezzi di comunicazione sociale divulgano […] principi morali anticristiani. Ciò riguarda soprattutto l’indissolubilità del matrimonio, i problemi della moralità sessuale e l’interruzione della gravidanza. Come si sa, una delle vie che conducono alla miscredenza è il favorire la corruzione. Spesso si ha l’impressione che i mezzi di comunicazione socio-culturale siano passati al servizio della demoralizzazione. Si moltiplicano gli spettacoli e le pubblicazioni di aperto carattere pornografico e sacrilego. Tali spettacoli e pubblicazioni vengono sempre più spesso imposti ai bambini e ai giovani» (5).
4. Qualcuno potrebbe far notare che le parole dei vescovi polacchi sono citate da un documento dell’«ormai lontano» 1976. Da allora sembra però non esservi stato progresso degno di essere rilevato da parte degli stessi presuli, se, tre giorni dopo l’udienza pontificia a Gierek, ritroviamo gli stessi temi in una lettera dell’episcopato divulgata in tutte le chiese di Polonia il 4 dicembre 1977.
Che «riconoscimento viene dalla Chiesa in Polonia», oggi, a proposito di restaurazione morale della nazione, di rispetto dei più elementari principi di una vita cristiana, di retta cura della gioventù?
Secondo la lettera dell’episcopato, in Polonia viene attuato «un piano segreto diretto a provocare la dissoluzione morale della nazione, privando quest’ultima dei sani principi di comportamento». Il programma, «fondato sulla debolezza della natura umana», tende a distrarre uomini e donne dai problemi giù importanti della vita per concentrare la loro attenzione sul sesso. La lettera dei vescovi parla di «adulteri e di depravazioni», citando come esempi gli episodi che avvengono «negli ostelli operai, nelle case dello studente». Tutto ciò – afferma la lettera pastorale – non soltanto viola i più elementari principi di una vita cristiana, ma mette anche in pericolo la vita stessa della nazione. I vescovi polacchi, inoltre, accusano le autorità di permettere la stampa di libri e riviste «moralmente nocivi, e la rappresentazione di films e di spettacoli di teatro immorali, mentre la censura statale controlla con estrema attenzione i testi religiosi. La critica dei vescovi si appunta, ancora, sui programmi di educazione sessuale nelle scuole. «La conquista di una gioventù priva di ideali – conclude il documento – è impresa facile, ma il fenomeno è tanto più inquietante se si pensa che la demoralizzazione della società e soprattutto dei giovani è stata favorita dall’opera di ateizzazione la quale dura ormai da molti anni» (6).
Come chiamare, se non angoscia, il sentimento che si prova accostando i testi che abbiamo citato?
Che cosa avviene nella Chiesa (in quella polacca o in quella romana)? Meritano maggiore fede i perseguitati o i persecutori? Mentivano e continuano a mentire i vescovi polacchi? Oppure – a loro e a nostra insaputa -, se non il termine, è mutata la dottrina cattolica sul «bene comune»? Verso quale «unità dei polacchi», superiore alle «differenze dottrinali», possono mai mirare insieme la Chiesa e lo Stato comunista? «Non unitevi con un giogo sconveniente con gli infedeli; poiché, che cosa ha a che fare la giustizia con l’iniquità? E che comunanza vi è tra la luce e le tenebre? Che accordo tra Cristo e Belial? Che rapporto tra il fedele e l’infedele?» (7).
Note:
(1) PAOLO VI, Discorso a Edward Gierek, dell’1-12-1977, in L’Osservatore Romano, edizione settimanale in lingua italiana, 8-12-1977.
(2) Ibidem.
(3) EPISCOPATO POLACCO, Lettera pastorale In difesa della fede, dell’8-9-1976, trad. it., Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1977, pp. 5-6 e 10.
(4) Ibid., pp. 8-9.
(5) Ibid., p. 8.
(6) Comunicato ANSA. 4-12-1977.
(7) 2 Cor. 6, 14-15.