Mons. Antonio de Castro Mayer, Cristianità n. 38-39 (1978)
“Venga il tuo regno!”
LA REGALITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO
III
L’APOSTASIA DEL “DIRITTO NUOVO”
Disgraziatamente, amati figli, i tempi moderni registrano la rottura della perfetta armonia tra il sacerdozio e l’impero, da Leone XIII esaltata quale sorgente di tanti benefici per la convivenza umana.
In primo luogo, furono i sovrani cristiani che male tollerarono l’autonomia del Papa. Ne derivò la dissoluzione della unità religiosa dell’Occidente, per giungere a ciò che il citato Pontefice denomina diritto nuovo del secolo XVIII. In esso, in nome della uguaglianza e della dignità comuni a tutti gli uomini, si rifiuta qualsiasi autorità, che non sia originata dalla stesso volontà umana. «È logico – spiega Leone XIII – che lo Stato si ritenga sciolto da qualunque dovere verso la società; che non professi ufficialmente veruna religione […], ma tutte le lasci ugualmente libere, fino a che non ne venga danno all’ordine pubblico» (1).
Un poco di riflessione, amati figli, su di una simile teoria, mostra come, in un ordine politico-sociale così concepito, scompaia la regalità di Gesù Cristo, e diventi enormemente difficile la salvezza delle anime. Infatti, una società strutturata in tale modo, non riconosce puramente e semplicemente la sovranità di Dio nostro Signore. Come potrà dirsi cristiana, se i suoi rappresentanti legittimi, benché individualmente si professino cattolici e compiano piamente i loro doveri religiosi, come persone pubbliche sono incapaci di riconoscere come volontà di Dio quella espressa nella sua vera Chiesa?
Crediamo, amati figli, che non sia necessario sottolineare come, all’interno di una simile organizzazione giuridica, la salvezza e la santificazione delle anime, lungi dal ricevere aiuto, incontri viceversa il massimo degli ostacoli: vengono private dell’ambiente propizio, che fornirebbe a esse una legislazione apertamente rispettosa dei diritti di Dio.
LO STATO LAICO, IDEALE DELLE FORZE SEGRETE
D’altronde, lo stesso Leone XIII, nell’enciclica Humanum genus, denuncia che lo Stato laico, rigorosamente neutrale in materia di religione, è il mezzo considerato adatto dalle forze segrete per annientare e «distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale qual fu creato dal cristianesimo». A tale scopo insegnano che «tra le varie religioni, non vi è ragione di dar la preferenza a veruna: si deve fare di tutte lo stesso conto». Il Papa ammonisce che tale principio è «via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre» (2).
Un logico corollario di tale principio è il laicismo di Stato, «il grand’errore moderno», che consiste nel relegare la preoccupazione religiosa nella categoria delle cose indifferenti.
Per questo abbiamo detto, amati figli, che in un regime politico-sociale in tale modo concepito, è impossibile per la Chiesa realizzare pienamente la sua missione di instaurare sulla terra il regno di Gesù Cristo.
INVERSIONE DI VALORI
È inoltre fatto degno di nota, amati figli, che nel diritto nuovo la posizione sociale della religione risulta invertita. Essa passa a essere, da guida e ordinatrice degli atti umani, una delle molte manifestazioni dell’anima individuale, soggetta, come le altre, alle restrizioni imposte dall’ordine pubblico. In effetti, secondo il Magistero tradizionale e in accordo, d’altra parte, con il buon senso, lo Stato, che deve provvedere ai beni di ordine temporale, è subordinato, nelle sue attività, al fine ultimo dei cittadini, e non deve stabilire nulla che renda difficile il perseguimento di questo fine ultimo; anzi, deve essere di aiuto per la conoscenza della vera religione e la pratica della virtù.
Nella concezione nuova, è la Chiesa che si subordina allo Stato, dato che essa deve astenersi, nelle sue attività, da tutto quanto lo Stato ritenga contrario all’ordine pubblico. Quale eccellenza e quale sovranità divina renderebbe presenti la Chiesa, in questo mondo, dal momento che essa stessa è ridotta a semplice affare privato, che lo Stato dilata o restringe come meglio gli sembra? Partendo da una concezione simile, non si capisce come sia possibile biasimare un governo comunista, quando, per esempio, in nome dell’ordine pubblico, condanna un sacerdote perché battezza un bambino, anche se con il consenso dei genitori.
ORDINE PUBBLICO OGGETTIVO
E se qualcuno vi obiettasse, amati figli, che non si tratta di un ordine pubblico qualsiasi, arbitrariamente concepito, ma dell’unico ordine pubblico vero, quello oggettivo, che costituisce indiscutibilmente il bene comune, ed è perciò difeso contro gli abusi dell’autorità; se qualcuno vi opponesse questo sofisma, vi sarà facile rispondere che, avanzando questa ipotesi, già si abbandona il diritto nuovo. A questo proposito conviene sottolineare che, senza il riconoscimento di una morale oggettiva e una nozione esatta del bene quale la morale ci fornisce, non si può concepire un ordine pubblico oggettivo, dal momento che diventa impossibile capire qual è il bene comune. Ora, se si fa astrazione dalla vera religione, non si riesce neanche a concepire una retta morale oggettiva. Appellandosi quindi, nel caso dell’ordine pubblico, al bene comune contro gli abusi dell’autorità, per questo stesso fatto si abbandona il diritto nuovo che non riconosce una norma superiore all’uomo, in quanto dichiara che la volontà umana è la fonte di ogni diritto.
Bene comune, ordine pubblico oggettivo, sono termini di cui si afferra il significato soltanto ponendoli in relazione con la concezione di una morale superiore all’uomo, che serva da norma per gli atti della creatura razionale. Tale morale oggettiva culmina nell’obbligo, per l’essere umano, di rendere il culto a Dio, in accordo con la sovrana volontà di questo Signore altissimo. Ciò vuol dire che obbliga gli uomini a professare la vera religione. Molto a proposito san Pio X, contro il Sillon, un movimento laico di apostolato mirante all’avvicinamento di tutte le religioni, affermava che «non vi è vera civiltà senza civiltà morale, e non vi è vera civiltà morale senza vera religione» (3).
LE MEZZE VERITÀ
La citazione della lettera apostolica di san Pio X sul Sillon ci conduce a mettere in guardia i nostri amati figli contro il modo che usa l’eterodossia per annidarsi in mezzo a noi: applichiamo alla fede una norma di azione propria delle virtù morali.
Esiste, infatti, una prudenza nell’azione, che richiede una certa indulgenza, dal momento che si tratta con uomini portatori di una natura decaduta, ed essa ha per scopo di evitare che si estingua un lucignolo ancora fumigante. «Prima di adoperare il ferro, si palpino con lieve mano le piaghe» diceva san Gregorio Magno (4).
Tuttavia, trasporre simile prudenza nel campo dei principi è quanto vi può essere di più disastroso. «La verità – afferma il medesimo san Pio X – è una sola e non può essere dimezzata; essa perdura eterna e non va soggetta alle vicende dei tempi» (5). Per questo essa è intransigente e, in quanto tale, le divisioni e le attenuazioni non possono che ucciderla. Di conseguenza, non si può a essa applicare la discrezione per cui la virtù morale tollera un certo adattamento alle diverse situazioni, pazienza prudenziale sintetizzata nell’aforisma già consacrato da Cicerone: «Summum jus, summa injuria» (6). L’ordine morale delle azioni, infatti, pur senza sacrificare le norme regolatrici del comportamento umano, deve tenere conto delle debolezze umane, a imitazione della pazienza divina, che finge di non vedere i peccati degli uomini, in vista della loro penitenza e della loro conversione (7).
La verità non rientra nel campo dell’azione. Essa appartiene all’ordine dell’essere, di quanto è o non è. Si può comprendere un atto umano incompleto, ma non si può concepire una verità incompleta, dal momento che l’idea vera corrisponde a qualche essere a cui si riferisce. Se vi è adeguamento tra il concetto e la realtà, abbiamo la verità; in caso contrario il concetto non è incompleto. È semplicemente falso.
Una comprensione della fragilità umana che trasponga il principio prudenziale dell’agire nell’ordine dell’essere e della verità, passando attraverso mezzi termini che non sono certi, ma che non appaiono apertamente errati, una specie di mezza verità, mina e distrugge la fede nella mente dei fedeli. Responsabili di una tale catastrofe sono quanti, allorché sorgono falsi sistemi, ricercano un accomodamento, un compromesso, con queste ideologie, per mezzo di movimenti che si definiscono apostolici, ma che sono sufficientemente vaghi e indecisi per non ferire la suscettibilità di quanti si trovano fuori dal grembo della Chiesa. Agiscono come quinte colonne in mezzo ai fedeli e scalzano in loro l’edificio della fede.
CONCORDANZA DELLE RELIGIONI
Tale modo di procedere avrebbe la sua giustificazione dottrinale in un principio che vediamo proclamato nel secolo XVI dal celebre Erasmo da Rotterdam: «Ogni uomo possiede la vera teologia». Alla radice di questa massima sta l’affermazione secondo cui, in ultima analisi, vi è una concordanza religiosa profonda tra tutti gli uomini, nonostante le loro divergenze dottrinali. Infatti, soltanto a questa condizione avrebbe senso dire che «ogni uomo possiede la vera teologia». Di conseguenza, non ci sarebbe motivo di conflitto tra opposte religioni, dal momento che si opporrebbero soltanto in apparenza. Non sarebbero altro che manifestazioni diverse della stessa teologia vera che ogni uomo possiede. Andando più a fondo nel pensiero religioso, a prima vista divergente dagli altri, incontreremmo una identità sola alla base delle differenze. Ne deriverebbe che il migliore modo di agire nei confronti delle nuove teorie religiose, delle credenze non cattoliche, consisterebbe nell’evitare scontri, polemiche, irrigidimento di posizioni, e che il fedele dovrebbe mantenersi in un campo equidistante tra i vari credi, dal momento che tutti gli uomini trovano la propria unità nella vera teologia di cui sono possessori. Al di sotto delle varie confessioni religiose c’è una concordanza, un fondo comune. In altre parole, non esistono propriamente errori: esistono soltanto fraintendimenti.
Questo atteggiamento mentale, generalizzatosi con la diffusione del libero esame degli pseudo-riformatori protestanti, ha preparato gli spiriti al compromesso con l’apostasia, allorché apparve il diritto nuovo, con l’insorgere del liberalismo suscitato dai filosofi del secolo XVIII.
STATO VITALMENTE CRISTIANO
Conoscete, infatti, amati figli, la posizione assunta a questo proposito, nel secolo scorso, dagli uomini del giornale francese L’Avenir, Lamennais, Lacordaire e Montalembert. Tale posizione, nonostante le censure ufficiali di cui venne fatta oggetto da parte della santa Chiesa, ricompare nel movimento sociale Sillon, già menzionato, e nella famosa concezione di certi filosofi cattolici, che preconizzano una società vitalmente cristiana, che dovrebbe fiorire in uno Stato ufficialmente e legittimamente laico.
Secondo il pensiero di tali autori, la società si sarebbe evoluta dallo Stato sacrale del Medioevo allo Stato laico moderno. Evoluzione storica naturale, che avrebbe addirittura comportato un approfondimento dottrinale. Infatti in quest’ultima fase si conserverebbe meglio l’autonomia delle due potestà, quella spirituale e quella temporale, quella religiosa e quella civile, la Chiesa e lo Stato. Comprendendo meglio i limiti della sua azione e del suo potere, lo Stato rimarrebbe completamente estraneo al problema religioso, accontentandosi di riservare alla Chiesa – come ai cittadini che di essa sono membri e alle sétte religiose esistenti o che verranno nel futuro introdotte in mezzo al popolo – la piena libertà civile, affinché realizzi la sua opera, mediante un’azione di carattere assolutamente privato, nelle anime degli individui e nel seno delle famiglie. Lo Stato non sarebbe cristiano, ma non sarebbe neanche oppressore. All’interno di questo quadro giuridico, la Chiesa potrebbe creare, con la sua azione apostolica, una società vitalmente cristiana, in uno Stato autonomo e senza che esso eserciti pressioni religiose, dato che in questo campo è assolutamente incompetente. Sempre secondo questa opinione, tale Stato sarebbe adatto ai tempi attuali, nei quali si manifesta, in mezzo ai popoli e addirittura all’interno di una stessa nazione, un pluralismo di convinzioni. D’altra parte questo Stato sarebbe più confacente alla dignità dell’uomo e alla Rivelazione divina, dal momento che l’una e l’altra sembrano richiedere la libera determinazione della creatura nella scelta del suo credo religioso.
Questo sarebbe il modo per superare, sul piano dei principi, e quindi in radice, le incomprensioni tra la Chiesa e lo Stato registrate nel corso della storia.
DISCONOSCIMENTO DEL DIRITTO NATURALE E DELLA DOTTRINA CATTOLICA
Quanto sia lungi dalla ragione naturale e dalla Rivelazione cristiana un simile modo di concepire la posizione religiosa dello Stato, quanto sia dannosa alla missione della Chiesa di restaurare tutte le cose in Gesù Cristo, è messo in evidenza, oltre che dalle riflessioni del buon senso, da tutta la tradizione del Magistero ecclesiastico. Esso, lungi dall’accettare, sul problema dei rapporti tra lo Stato e la religione, una deviazione dalla dottrina patristica, alla luce della evoluzione storica, si è impegnato a confermare l’insegnamento di sempre, sottolineando i mali incalcolabili e inevitabili, conseguenti al rifiuto formale del riconoscimento pubblico dei diritti divini sullo Stato e sulla società.
NOTE
(1) LEONE XIII, Enciclica Immortale Dei, cit.
(2) IDEM, Enciclica Humanum genus, del 20-4-1884.
(3) SAN PIO X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910.
(4) Cit. in SAN PIO X, Enciclica Jucunda sane, del 12-3-1904.
(5) SAN PIO X, Enciclica Jucunda sane, cit.
(6) CICERONE, De officiis, I, 10.
(7) Cfr. Sap. 11, 24.