di Silvia Scaranari
Lunedì 25 giugno, Papa Francesco si è rivolto ai membri della Fondazione Gravissimum educationis (voluta dallo stesso Pontefice nel 2015, in occasione del 50° anniversario del documento conciliare da cui prende il nome), invitandoli a operare affinché l’educazione cattolica stia al passo con i tempi in cui viviamo, anzi rappresenti un faro di eccellenza per tutto il mondo.
Già il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) auspica una sempre maggiore «[…] cooperazione fra le istituzioni scolastiche e universitarie per meglio affrontare le sfide in atto». In questo modo il Santo Padre può aggiungere che «tale raccomandazione del Concilio è andata maturando nel tempo e si manifesta anche nella recente Costituzione apostolica Veritatis gaudium sulle università e facoltà ecclesiastiche, come “la necessità urgente di fare rete tra le diverse istituzioni che, in ogni parte del mondo, coltivano e promuovono gli studi ecclesiastici” (Proemio, 4d) e, in senso più ampio, tra le istituzioni cattoliche di educazione».
Nel clima di disfacimento attuale della cultura, ridare fiato e senso a una educazione che sia cattolica non solo nella forma, ma anche nella sostanza è un’urgenza. Nella “società liquida” del secolo XXI occorre rifondare una cultura ricca di humanitas che aiuti l’uomo a salvare la propria dignità e la propria libertà. La globalizzazione è oggi una grande sfida e il Papa invita a saper cogliere da essa i frutti buoni, evitando quelli cattivi, in una prospettiva universale del sapere, poiché «l’educazione cattolica non si limita a formare menti a uno sguardo più esteso, capace di inglobare le realtà più lontane. Essa si rende conto che, oltre a estendersi nello spazio, la responsabilità morale dell’uomo di oggi si propaga anche attraverso il tempo, e le scelte di oggi ricadono sulle future generazioni».
Si può insomma mettere in atto un progetto anche ambizioso solo “facendo rete” sia fra istituzioni educative e centri di ricerca, e fra università e accademie, sia fra docenti e studenti, in modo che «[…] non siano collegati solo da un piano didattico, ma da un programma di vita e di esperienza, in grado di educare alla reciprocità fra generazioni diverse. E questo è tanto importante per non perdere le radici».
Le radici sono il fondamento su cui costruire il futuro e le radici a cui il Pontefice fa riferimento sono quelle della tradizione cristiana: le verità immutabili su cui deve crescere la civiltà dell’amore e della fratellanza vera. Solo nella scoperta della comune appartenenza a Dio, Creatore e Padre, può nascere il riconoscimento di ogni creatura come persona unica e irripetibile, degna di rispetto e attenzione, libera dai condizionamenti e dalle violenze oggi tanto diffuse. Anche il rispetto dell’universo nasce da queste radici, dalla considerazione che il mondo è stato dato all’uomo in uso, non in abuso, e che ogni generazione deve trasmetterlo alla generazione futura più ricco e più bello, non rovinato da spregiudicate operazioni dettate dall’egoismo e dall’avidità.
I cattolici, quando s’impegnano nello studio e nella ricerca, lo devono fare mettendo in primo piano la qualità del proprio lavoro, in relazione e collaborazione con tutte le altre istituzioni culturali e scientifiche, ma tenendo ben presenti due criteri essenziali. Primo l’identità, poiché non vi è istituzione cattolica, non vi è vera ricerca innovativa, che non s’immetta nel «[…] solco tracciato dalla civilizzazione cristiana e dalla missione evangelizzatrice della Chiesa»; secondo il bene comune, espressione oggi difficile da definire giacché le nostre società sono sempre più il risultato della convivenza di cittadini, gruppi e popoli di culture, di tradizioni e di fedi differenti. Ma proprio in questo contesto plurale occorre educare soprattutto i giovani alla comune appartenenza alla famiglia umana. «Per adempiere alla vostra missione, dunque», sottolinea il Papa agli educatori cattolici, «ponete le basi nella coerenza con l’identità cristiana e regalate al mondo una nuova speranza».
Chi opera nel mondo della cultura deve vestirsi del proprio essere “cattolico” cioè “universale” per offrire al mondo un nuovo slancio, una nuova voglia di sapere e una nuova speranza che sia capace d’impedire all’umanità di soffocare sotto il peso di se stessa. Educare alla speranza è il compito arduo, ma vincolante dei cattolici che vivono nella comunione con Colui che ha vinto la morte. «Globalizzare la speranza» è il compito che Francesco consegna agli educatori, agli studenti, ai ricercatori e agli scienziati cattolici, perché oggi «dobbiamo dare un’anima al mondo globale».
Venerdì, 28 giugno 2018