di Michele Brambilla
«Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6, 34). Non sono forse così anche molti nostri contemporanei? Il brano evangelico della XVI domenica del Tempo ordinario non è altro che la continuazione della pericope marciana letta nella domenica precedente. I discepoli tornano da Gesù narrandogli tutti i prodigi che hanno accompagnato il loro primo tentativo di evangelizzazione e il Signore prepara una sorta di ritiro, nel quale potranno meditare su quanto accaduto: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò» (Mc 6, 31).
L’idea del ritiro, però, “fallisce” subito, poiché la folla, vedendo Gesù allontanarsi, ne insegue la barca e Lo raggiunge sull’altra riva (cfr. Mc 6, 33). Alla recita dell’Angelus del 22 luglio, Papa Francesco commenta così: «lo stesso può accadere anche oggi. A volte non riusciamo a realizzare i nostri progetti, perché sopraggiunge un imprevisto urgente che scombina i nostri programmi e richiede flessibilità e disponibilità alle necessità degli altri».
Gli altri sono un “inferno”, come con espressione famosa sostiene il filosofo esistenzialista francese Jean-Paul Sartre (1905-80), oppure un’occasione di grazia? Il Papa e Gesù indicano la seconda opzione: «[…] siamo chiamati ad imitare quanto ha fatto Gesù […]» sbarcando tra i suoi, là dove «[…] l’evangelista offre un flash di singolare intensità, fotografando gli occhi del divino Maestro e il Suo insegnamento. Osserviamo i tre verbi di questo fotogramma: vedere, avere compassione, insegnare. Li possiamo chiamare i verbi del Pastore».
Il Pontefice li analizza uno a uno. «Lo sguardo di Gesù non è uno sguardo neutro o, peggio, freddo e distaccato, perché Gesù guarda sempre con gli occhi del cuore. E il suo cuore è così tenero e pieno di compassione, che sa cogliere i bisogni anche più nascosti delle persone» senza scadere nell’emotività. «Dato che Gesù si è commosso nel vedere tutta quella gente bisognosa di guida e di aiuto, ci aspetteremmo che Egli si mettesse ora ad operare qualche miracolo. Invece, si mise a insegnare loro molte cose. Ecco il primo pane che il Messia offre alla folla affamata e smarrita: il pane della Parola». Riecheggia il celebre versetto di san Matteo «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 4).
Cristo stesso è la Parola, il «Verbum caro factum est» (Gv 1, 14), ed è sinonimo di Verità. «Senza la verità, che è Cristo stesso, non è possibile trovare il giusto orientamento della vita. Quando ci si allontana da Gesù e dal suo amore, ci si perde e l’esistenza si trasforma in delusione e insoddisfazione. Con Gesù al fianco si può procedere con sicurezza, si possono superare le prove, si progredisce nell’amore verso Dio e verso il prossimo».
Non esiste carità senza verità, come ricorda Papa Benedetto XVI nell’omonima lettera enciclica Caritas in veritate del 2009. Il successore Francesco ribadisce che l’azione caritativa non può essere guidata solamente dall’emotività e pertanto, al termine dell’Angelus domenicale, prova a restituire un minimo di razionalità a un argomento “caldissimo”, le migrazioni, ricordando che la custodia della vita dei bisognosi rappresenta un onere non solamente dell’Italia, ma di tutta la «[…] comunità internazionale», chiamata a garantire «[…] il rispetto dei diritti e della dignità di tutti» i soggetti coinvolti.