Nel 1444 moriva, a l’Aquila, san Bernardino [da Siena, 1380-1444], la grande guida spirituale dell’Italia quattrocentesca. Nello stesso anno, non lontano da quella città, nasceva il nostro Timoteo. Il richiamo non è casuale perché egli si collocò proprio nella linea dell’Osservanza francescana che era stata promossa da Bernardino, da Giovanni da Capestrano [santo, 1386-1456], da Giacomo della Marca [santo, 1393-1476]. Uscito da una famiglia contadina, Timoteo entrò ancora molto giovane nell’ordine dei frati minori. Dovette compiere studi regolari giacché fu ordinato sacerdote e inviato nel convento di Campli, nel Teramano, con l’incarico di maestro dei novizi. Ma la sua vita fu caratterizzata soprattutto da continue conversazioni ‘celesti’; gli apparivano frequentemente sia la Vergine che san Francesco. Per quanto tenesse il più possibile nascoste queste visite soprannaturali, la fama si sparse un po’ in tutto l’Abruzzo. Gli veniva anche riconosciuto il dono dei miracoli. Così, subito dopo la sua morte si diffuse un culto del beato Timoteo; culto che, mantenutosi nei secoli, venne confermato nel 1870 da papa Pio IX [beato, 1846-1878]. Anche nel suo caso, come in quelli di tanti santi francescani, la lezione che ci viene data è, soprattutto, quella dell’umiltà e dell’obbedienza. Sono virtù superate in quest’epoca di yuppies, di rampanti, di arrivisti, di ‘donne di carriera’? O non sono, invece, le virtù da recuperare con grande urgenza per la nostra salvezza personale e per il bene della società e della Chiesa?
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, pp. 20-21