di Michele Brambilla
Il Papa quando recita l’Angelus parla abitualmente a tutti i cattolici del mondo, tuttavia all’indomani del gravissimo lutto che ha colpito la città di Genova, dove alle 11.37 del 14 agosto è crollato improvvisamente il ponte Morandi, trascinando con sé quanti in quel momento stavano transitando sulla A10, Francesco riserva un pensiero particolare alla parte del suo immenso gregge geograficamente più vicina, ovvero gli italiani. «Cari fratelli e sorelle, a Maria Consolatrice degli afflitti, che contempliamo oggi nella gloria del Paradiso, vorrei affidare le angosce e i tormenti di coloro che, in tante parti del maondo, soffrono nel corpo e nello spirito. (…) Penso in particolare a quanti sono provati dalla tragedia avvenuta ieri a Genova, che ha provocato vittime esmarrimento nella popolazione. Mentre affido alla misericordia di Dio le persone che hanno perso la vita, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari, ai feriti, agli sfollati e a tutti coloro che soffrono a causa di questo drammatico evento».
Tante volte, di fronte alle calamità naturali o a quelle causate dalle mani dell’uomo, si ode la domanda «dov’è Dio?». La risposta del Signore, secondo il Papa, è iscritta proprio all’interno del mistero celebrato il 15 agosto, l’Assunzione di Maria, che rappresenta una “conferma mariana” della Pasqua di Gesù. «La Chiesa oggi ci invita a contemplare questo mistero: esso ci mostra che Dio vuole salvare l’uomo intero, cioè salvare anima e corpo. Gesù è risorto con il corpo che aveva assunto da Maria; ed è asceso al Padre con la sua umanità trasfigurata. Con il corpo, un corpo come il nostro, ma trasfigurato», non più toccato dal limite della precarietà. Così è stato anche per Maria dopo che «(…) per la nostra condizione mortale ha dovuto abbandonare questa vita» (liturgia ambrosiana delle Ore, orazione I dei primi vesperi della solennità), affinché non conoscesse «(…) la corruzione del sepolcro Colei che ha generato il Signore della vita» (Messale Romano, prefazio della Messa del giorno).
Dio reagisce alle tragedie della storia ricordando che ogni uomo ha una esistenza che si prolunga ben oltre la dimensione terrena. Cristo crocifisso ha preso su di sé la morte e la ha trasformata nel passaggio che spalanca le porte del Regno dei cieli. «Già i filosofi greci avevano capito che l’anima dell’uomo è destinata alla felicità dopo la morte. Tuttavia, essi disprezzavano il corpo – considerato prigione dell’anima – e non concepivano che Dio avesse disposto che anche il corpo dell’uomo fosse unito all’anima nella beatitudine celeste». Invece, ricorda il Pontefice, «la realtà stupenda dell’Assunzione di Maria manifesta e conferma l’unità della persona umana e ci ricorda che siamo chiamati a servire e glorificare Dio con tutto il nostro essere».
Anima e corpo sono inscindibili. «Servire Dio soltanto con il corpo sarebbe un’azione da schiavi; servirlo soltanto con l’anima sarebbe in contrasto con la nostra natura umana». A supporto di questa affermazione Francesco cita un passaggio degli scritti di S. Ireneo di Lione (130-202 d.C.). «Un grande padre della Chiesa, (…) Sant’Ireneo, afferma che «la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio» (Contro le eresie, IV, 20, 7). Se avremo vissuto così, nel gioioso servizio a Dio, che si esprime anche in un generoso servizio ai fratelli, il nostro destino, nel giorno della risurrezione, sarà simile a quello della nostra Madre celeste». Nessuno dei nostri cari, neppure le vittime del crollo dell’autostrada di Genova, è perduto per sempre, se sia noi che loro abbiamo trasformato la speranza cristiana nel pilastro portante della nostra esistenza. Ci ritroveremo tutti nell’eterno abbraccio del Padre.