di Silvia Scaranari
L’incontro di catechesi ‒ tipico delle udienze del mercoledì ‒ è stato sostituito, l’ultimo mercoledì di agosto, il 29, da un veloce resoconto che il Santo Padre ha fatto del proprio recente viaggio in Irlanda per l’Incontro mondiale delle famiglie, svoltosi a Dublino dal 21 al 26. Le riflessioni sui Comandamenti sono state quindi tecnicamente interrotte per dare spazio alle forti esperienze vissute nei giorni passati: dalle testimoniane di coppie di ogni età sulla propria vita matrimoniale alle famiglie in difficoltà, dall’incontro con le vittime di abusi sessuali alla vivace presenza di famiglie missionarie nel mondo. Ma, se è vero che il Papa non ha parlato di un singolo comandamento, è altrettanto vero che ha però rivolto a tutti una catechesi molto forte, mantenendo un filo conduttore ideale con gli incontri dell’8 e del 22 agosto.
Il 22 agosto il Pontefice aveva indicato ai fedeli la necessità di non farsi carico del nome del Signore in modo inopportuno, poiché citare vanamente il nome di Dio è tipico «[…] dell’ipocrisia, del formalismo e della menzogna, dell’usare le parole o usare il nome di Dio, ma vuoto, senza verità». Al contrario, «[…] “prendere su di sé il nome di Dio” vuol dire assumere su di noi la sua realtà, entrare in una relazione forte, in una relazione stretta con Lui» in cui si decide, fino nel più profondo del proprio cuore, di prestare fede a Dio, alle Sue parole e alle Sue indicazioni sul modo con cui guidare la vita. E questa è la vita del santo, di colui che aderisce a Dio totalmente consapevole che la verità è la Sua. Tutte le volte che un uomo così sbaglia, è pronto a tornare sui propri passi per riprendere il cammino vero, che è più faticoso, più ripido, ma anche più bello proprio perché è quello voluto da Dio per ognuno di noi. Al contrario, chi aderisce solo in modo formale è l’ipocrita: come i dottori della legge, il cui errore non stava in ciò che dicevano (annunciavano la verità), ma nel non vivere ciò che dicevano (la verità). L’ipocrita non è chi critica, chi si trova a disagio, chi non capisce, ma chi dice di capire benissimo, di condividere, ma poi non è disposto a vivere la radicalità dei Dieci comandamenti. Radicalità che il Santo Padre riassume nel segno di croce. Quel gesto che facciamo tante volte nella vita (e che deve essere insegnato bene ai bambini) porta con sé tutto perché nella SS. Trinità noi uomini siamo stati creati, siamo sostenuti nell’essere e ci è stata aperta la possibilità della salvezza. «E questo si vede anche in quei “santi della porta accanto” che sono, ad esempio, i tanti genitori che danno ai figli l’esempio di una vita coerente», che piegano se stessi alla Verità piuttosto che piegare la Verità ai propri desideri. Difficile? Certo, ma ognuno «[…] può invocare il santo nome del Signore, che è Amore fedele e misericordioso, in qualunque situazione si trovi. Dio non dirà mai di “no” a un cuore che lo invoca sinceramente».
Nella famiglia si pongono le basi del verità sull’uomo, come il Papa ha ricordato durante il viaggio in Irlanda e ribadito all’udienza del 29 agosto. «La Chiesa è una famiglia di famiglie» e non c’è conoscenza di Dio e amore alla Sua volontà senza famiglie vere in cui l’amore per Lui venga prima di tutto. Perché «il sogno di Dio è l’unità, l’armonia e la pace, nelle famiglie e nel mondo, frutto della fedeltà, del perdono e della riconciliazione che Lui ci ha donato in Cristo. Egli chiama le famiglie a partecipare a questo sogno e a fare del mondo una casa dove nessuno sia solo, nessuno sia non voluto, nessuno sia escluso».
Fuori dell’amore di Dio c’è il deserto ‒ richiamato durante la catechesi sul Primo comandamento dell’8 agosto ‒, che il popolo ebraico sperimenta quando Mosè sale sul monte Sinai per 40 giorni. È il momento della caduta nell’idolatria. Gli ebrei chiedono e ottengono da Aronne un vitello d’oro che dà loro sicurezza. «Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili» e così, per sfuggire, l’uomo cerca una religione “fai-da-te”, appunto il vitello d’oro. «Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli “hanno bocca e non parlano” (Sal 115,5). Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani» (Enc. Lumen fidei, 13). E continua il Santo Padre: «Ecco che cos’è il vitello d’oro: il simbolo di tutti i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano, perché l’idolo sempre schiavizza. C’è il fascino e tu vai. Quel fascino del serpente, che guarda l’uccellino e l’uccellino rimane senza potersi muovere e il serpente lo prende.» Al contrario la «libertà dell’uomo nasce dal lasciare che il vero Dio sia l’unico Signore. E questo permette di accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore».
La famiglia è il luogo privilegiato dove trovare sicurezze e scacciare i propri idoli. Per questo occorre tenere salde le famiglie, perché, ha sottolineato con vigore il Pontefice durante l’udienza del 29 agosto, «[…] l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Dublino è stata un’esperienza profetica, confortante, di tante famiglie impegnate nella via evangelica del matrimonio e della vita familiare; famiglie discepole e missionarie, fermento di bontà, santità, giustizia e pace. Noi dimentichiamo tante famiglie – tante! – che portano avanti la propria famiglia, i figli, con fedeltà, chiedendosi perdono quando ci sono dei problemi. Dimentichiamo perché oggi è di moda sulle riviste, sui giornali, parlare così: “Questo si è divorziato da questa… Quella da quello… E la separazione…”. Ma per favore: questa è una cosa brutta. È vero: io rispetto ognuno, dobbiamo rispettare la gente, ma l’ideale non è il divorzio, l’ideale non è la separazione, l’ideale non è la distruzione della famiglia. L’ideale è la famiglia unita. Così avanti: questo è l’ideale!».