di Michele Brambilla
Papa Francesco, del miracolo raccontato nel Vangelo della XXIII domenica del Tempo ordinario, mette a fuoco, in occasione della recita dell’Angelus del 9 settembre, anzitutto la discrezione. «Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 7, 31-37) riferisce l’episodio della guarigione miracolosa di un sordomuto, operata da Gesù. Gli portarono un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. Egli, invece, compie su di lui diversi gesti: prima di tutto lo condusse in disparte lontano dalla folla. In questa occasione, come in altre, Gesù agisce sempre con discrezione. Non vuole fare colpo sulla gente, Lui non è alla ricerca della popolarità o del successo, ma desidera soltanto fare del bene alle persone». In questo modo Cristo «[…] ci insegna che il bene va compiuto senza clamori, senza ostentazione, senza “far suonare la tromba”», poiché bonum diffusivum sui.
Segue poi l’analisi dei gesti concreti compiuti dal Signore. «Quando si trovò in disparte, Gesù mise le dita nelle orecchie del sordomuto e con la saliva gli toccò la lingua. Questo gesto rimanda all’Incarnazione», ovvero alla “presa di possesso”, da parte di Dio, di tutte le facoltà della creatura umana, chiamata a ritrovare, nella perfezione di Cristo, il proprio modello originario, e viene regolarmente ripetuto nei riti di Battesimo. Subito dopo la consegna della veste bianca e della luce proveniente dal cero pasquale, il celebrante tocca infatti con il pollice le labbra e le orecchie del neofita, dicendo: «Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la Sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre».
Non c’è nulla che Gesù operi al di fuori del legame inscindibile con il Padre: «[…] Gesù vuol far capire che il miracolo avviene a motivo della sua unione con il Padre: per questo, alzò lo sguardo al cielo. Poi emise un sospiro e pronunciò la parola risolutiva: “Effatà”, che significa “Apriti”. E subito l’uomo venne sanato: gli si aprirono gli orecchi, gli si sciolse la lingua. La guarigione fu per lui un’“apertura” agli altri e al mondo», come avviene per ognuno di noi durante il Battesimo grazie all’apertura fondamentale all’azione della Grazia divina.
L’Apertura a Dio e il rifiuto del peccato ci rendono capaci di vincere anche un altro grande male, quello della paura «[…] che ci spinge ad emarginare l’ammalato, ad emarginare il sofferente, il disabile. E ci sono molti modi di emarginare, anche con una pseudo pietà o con la rimozione del problema; si resta sordi e muti di fronte ai dolori delle persone segnate da malattie, angosce e difficoltà. Troppe volte l’ammalato e il sofferente diventano un problema, mentre dovrebbero essere occasione per manifestare la sollecitudine e la solidarietà di una società nei confronti dei più deboli».
Ecco allora la richiesta di un “protagonismo positivo”. «Gesù ci ha svelato il segreto di un miracolo che possiamo ripetere anche noi, diventando protagonisti […] di quella parola “Apriti” con la quale Egli ha ridato la parola e l’udito al sordomuto. Si tratta di aprirci alle necessità dei nostri fratelli sofferenti e bisognosi di aiuto, rifuggendo l’egoismo e la chiusura del cuore», poiché «è proprio il cuore, cioè il nucleo profondo della persona, che Gesù è venuto ad “aprire”, a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri».