« Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” » (Mc 9,30-37).
Gesù si siede – la posizione abituale di un maestro – e incomincia un insegnamento di cui Marco ci dà solo pochi elementi ma che dovette protrarsi abbastanza a lungo. Un insegnamento profondo ma sempre vivo e ricco di esempi. Prende un bambino, lo abbraccia e lo pone in mezzo. Il bambino è l’immagine della debolezza e dell’inferiorità, il termine παῖς – bambino significa anche servo, schiavo. Gli Apostoli cercano l’autorità, una autorità vera, tale da schiacciare i nemici. Gesù non contraddice la loro ricerca, ma la orienta nella giusta e profonda direzione: la vera autorità è servizio umile e disinteressato.
Questa è l’Autorità che vince. È l’Autorità che non può essere “posseduta”, ma da cui si può essere posseduti. San Paolo infatti nella lettera ai Romani parla della fede come di una obbedienza: « l’obbedienza della fede » (1,5), dove bisogna fare attenzione al fatto che quel « della fede » è un genitivo “epesegetico”, cioè tale da spiegare il significato del sostantivo. Significa: l’obbedienza che è la fede. Quando credo infatti – a ben vedere – obbedisco. Accetto quanto di mi viene detto non perché capisco che è vero, ma perché mi fido di colui che mi parla. D’altronde la parola “ascoltare”, può significare anche “obbedire”, come quando una mamma dice al suo bambino: “ascolta”! Di che tipo è allora l’obbedienza della fede? È appunto simile all’obbedienza di un bambino nei confronti dei genitori.
Quando un bimbo obbedisce al papà non lo fa perché “calcola” che il papà la sa più lunga di lui e quindi deve avere ragione, ma perché è istintivamente portato a rispettarlo, ad ammirarlo, a considerarlo un modello. Sappiamo come questo oggi sia spesso compromesso dalla crisi della famiglia e da errori e deformazioni educative, così che questo fatto costituisca uno dei problemi più terribili del nostro tempo. Il bambino è spesso deluso e scandalizzato, proprio nella fase in cui avrebbe un bisogno assoluto e totale di questa fiducia che – sola – gli permette di crescere in modo equilibrato. Questa è la parte più difficile della formazione degli Apostoli. Che gli Apostoli non capiscano può sembrare strano a noi che veniamo da duemila anni di cultura cristiana. Ci apparirà meno strano se riflettiamo attentamente sulla nostra vita (l’esame di coscienza ben fatto!) e a come spesso accogliamo le prove e le tribolazioni: “Ci dev’essere qualcosa che non va, è impossibile che Dio permetta questo…”.