di Michele Brambilla
Le letture della XXV domenica del Tempo ordinario, con le trame degli empi contro i giusti (cfr. Sap 2, 10-20), l’annuncio della Passione da parte di Gesù stesso (cfr. Mc 9, 30-37) e, nonostante queste premesse, la necessità di custodire sempre la virtù della carità (Gc 3, 16-4,3), si calano alla perfezione nel contesto del viaggio apostolico di Papa Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia, che per il Pontefice rappresenta una vera e propria immersione nella realtà di Paesi colpiti, tra il 1939 e il 1989, dagli effetti devastanti di entrambi i totalitarismi del Novecento, il comunismo e il nazionalsocialismo.
Nel corso dell’omelia della Messa celebrata il 23 settembre a Kaunas, seconda città della Lituania per numero di abitanti, il Papa si rivolge soprattutto ai giovani. Collegando il messaggio delle letture del giorno all’esperienza traumatica dei totalitarismi ricordata dai più anziani, il Pontefice evoca «[…] l’angoscia di quelli che venivano deportati, l’incertezza per quelli che non tornavano, la vergogna della delazione, del tradimento. Il Libro della Sapienza ci parla del giusto perseguitato, che subisce oltraggi e tormenti per il solo fatto di essere buono. Quanti di voi potrebbero raccontare in prima persona, o nella storia di qualche parente, questo stesso passo che abbiamo letto. Quanti di voi hanno visto anche vacillare la loro fede perché non è apparso Dio per difendervi; perché il fatto di rimanere fedeli non è bastato perché Egli intervenisse nella vostra storia. Kaunas conosce questa realtà; la Lituania intera lo può testimoniare con un brivido al solo nominare la Siberia, o i ghetti di Vilnius e di Kaunas».
Constata quindi Francesco: «la vita cristiana attraversa sempre momenti di croce, e talvolta sembrano interminabili», come fu, per esempio, il lungo inverno sovietico. Gli Apostoli, per esempio, sognavano già il “posto fisso” come ministri in quello che immaginavano si sarebbe presto avverato come il restaurato regno politico di Israele, ma l’utopia è la malattia di chi non riesce a fare i conti con la realtà. «Fratelli», esorta quindi il Papa, «il desiderio di potere e di gloria è il modo più comune di comportarsi di coloro che non riescono a guarire la memoria della loro storia e, forse proprio per questo, non accettano nemmeno di impegnarsi nel lavoro del presente. E allora si discute su chi ha brillato di più, chi è stato più puro nel passato, chi ha più diritto ad avere privilegi rispetto agli altri. E così neghiamo la nostra storia, “che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 96)».
Meglio allora non fuggire dalla realtà, perché senza di essa perdiamo di vista anche il Signore. Prendendo spunto dal gesto con cui Gesù fa sedere un bambino in mezzo ai discepoli, Francesco chiede ai moltissimi presenti: «Chi metterà in mezzo oggi, qui, in questa mattina di domenica? […] Forse sono le minoranze etniche della nostra città, o quei disoccupati che sono costretti a emigrare. Forse sono gli anziani soli, o i giovani che non trovano un senso nella vita perché hanno perso le loro radici», accenno, quest’ultimo, molto significativo essendo oramai prossima l’apertura del Sinodo sui giovani e sul discernimento vocazionale.
Tramite quelli che il Vangelo chiama i “piccoli” è Cristo stesso a essere accolto e i fedeli purificano il proprio sguardo, riuscendo a vedere la Sua presenza anche là dove essa sembra negata e calpestata poiché Egli è il Vittorioso.