di Marco Invernizzi
A chi ha vissuto l’epoca sovietica la Lituania ricorda la Collina delle croci, simbolo della resistenza cattolica alla violenza totalitaria di un governo che per tre volte fece spianare le decine di migliaia di croci che una tradizione popolare lituana aveva depositato su quella piccola collina nei pressi della cittadina di Siauliai e che durante l’occupazione sovietica si erano moltiplicate. Ma ciò che il cardinale Vincentas Sladkevičius (1920-2000) ha definito il «cuore della Lituania aperto all’Altissimo» continua anche dopo la caduta del regime comunista e oggi su quella collina si ergono 400mila croci a testimoniare l’identità profonda del Paese.
In questa nazione baltica, Papa Francesco è stato il 22 e il 23 settembre nell’ambito di un viaggio apostolico che ha previsto anche la visita di Lettonia ed Estonia.
La Lituania ricorda anche altri eventi importanti, a cominciare dall’esposizione a Vilnius, la capitale del Paese, nel 1935, della prima immagine dell’icona della Misericordia fatta dipingere da santa Faustina Kowalska (1905-1938), la “segretaria” della Divina Misericordia che ha portato al mondo questa straordinaria devozione con la quale Dio ha voluto opporre un limite al male, secondo quanto san Giovanni Paolo II (1920-2005) ha testimoniato nel suo ultimo libro, Memoria e identità (2005).
Ma nei numerosi discorsi rivolti ai lituani, Papa Francesco è andato oltre e ha portato l’attenzione degli interlocutori soprattutto sui problemi di oggi: in particolare sulla difficoltà che pare essere subentrata, così come in altri Paesi usciti dalla dominazione comunista, nella trasmissione della fede alle nuove generazioni, nella testimonianza di una carità cristiana che era più facile manifestare, paradossalmente, nella vita sia intellettuale sia ordinaria, quando c’era un nemico che opprimeva addirittura avendo a disposizione la forza dello Stato.
Perciò il Pontefice invita chi ha subito la persecuzione a trasmettere quella esperienza e i giovani, in particolare i giovani sacerdoti e religiosi, a custodire questa memoria: «Siete figli di martiri, questa è la vostra forza. E lo spirito del mondo non venga a dirvi qualche altra cosa diversa da quella che hanno vissuto i vostri antenati. Ricordate i vostri martiri e prendete esempio da loro: non avevano paura».
Ma quale sarebbe questo «spirito del mondo» penetrato nel cuore di giovani che hanno scelto di consacrarsi al Signore per sempre? Il Papa risponde con una indicazione precisa: «Lo spirito della secolarizzazione, della noia per tutto quello che tocca la comunità è la tentazione della seconda generazione. I nostri padri hanno lottato, hanno sofferto, sono stati carcerati e forse noi non abbiamo la forza di andare avanti. Tenete conto di questo!
La Lettera agli Ebrei fa un’esortazione: “Non dimenticatevi dei primi giorni. Non dimenticatevi dei vostri antenati” (cfr 10,32-39). Questa è l’esortazione che all’inizio rivolgo a voi».
L’indicazione vale certamente per i lituani della seconda generazione e in generale per quei popoli che, usciti dall’esperienza comunista, si trovano alle prese con le difficoltà del relativismo e del consumismo che spegne gli ideali cambiandone la direzione, concentrando le attenzioni solo su se stessi per immaginare che la felicità risieda là dove non c’è. Ma probabilmente vale anche per noi occidentali: «Forse la società del benessere ci ha resi troppo sazi, pieni di servizi e di beni, e ci ritroviamo appesantiti di tutto e pieni di nulla; forse ci ha resi storditi o dissipati, ma non pieni. Peggio ancora: a volte non sentiamo più la fame».
Esiste un rimedio contro questa «tristezza spirituale» che, dice il Papa, «è una malattia», che entra nell’anima togliendole le forze per amare e per fare il bene, della quale dobbiamo avere paura perché la «semina il diavolo»?
Il Santo Padre indica due strade per ritrovare la forza di evangelizzare, «ragione della nostra speranza e della nostra gioia».
La prima. «Nessuna informazione immediata, nessuna comunicazione virtuale istantanea può privarci dei tempi concreti, prolungati, per conquistare […] un dialogo quotidiano con il Signore attraverso la preghiera e l’adorazione. Si tratta di coltivare il nostro desiderio di Dio, come scriveva san Giovanni della Croce. Diceva così: “Sia assiduo all’orazione senza tralasciarla neppure in mezzo alle occupazioni esteriori. Sia che mangi o beva, sia che parli o tratti con i secolari o faccia qualche altra cosa, desideri sempre Dio tenendo in Lui l’affetto del cuore” (Consigli per raggiungere la perfezione, 9)». Può sembrare scontato: bisogna “pregare sempre”, come spiega bene il grande gesuita Raoul Plus (1882-1958) nel libro che ha questo stesso titolo. Ma è la realtà: perché chiunque abbia un minimo di vita interiore, capisce che tutto dipende da Dio, come insegna sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), e gli uomini devono soltanto abbandonarsi fiduciosi, come insegna un altro grande gesuita, Jean Pierre de Caussade (1675-1751), nel suo capolavoro L’abbandono alla Divina Provvidenza.
La seconda è la fedeltà alle radici: «La violenza usata su di voi per aver difeso la libertà civile e religiosa, la violenza della diffamazione, il carcere e la deportazione non hanno potuto vincere la vostra fede in Gesù Cristo, Signore della storia. Per questo, avete molto da dirci e insegnarci, e anche molto da proporre, senza dover giudicare l’apparente debolezza dei più giovani. E voi, più giovani, quando davanti alle piccole frustrazioni che vi scoraggiano tendete a chiudervi in voi stessi, a ricorrere a comportamenti ed evasioni che non sono coerenti con la vostra consacrazione, cercate le vostre radici e guardate la strada percorsa dagli anziani».
A volte il Papa viene frainteso, altre volte non riesce a farsi capire, ma il rimedio al male nel mondo, che insidia anche la Chiesa Cattolica perché la Chiesa non vive sulla Luna ma appunto nel mondo, è sempre Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre. E Cristo si incontra davanti al Tabernacolo e ascoltando i padri saggi, le radici forti che permettono di progredire.
Mercoledì, 26 settembre 2018